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9 Maggio 2019

Europa. Perché è importante votare

I vescovi: «Momento giusto per esprimere scelte politiche che potranno rinnovare la fratellanza tra popoli e persone, rilanciando il progetto europeo».
Europa. Perché è importante votare
Foto di Riccardo Ghinelli
Il 26 maggio saremo chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento europeo. La sfida non &egrave; pi&ugrave; solo tra centrosinistra e centrodestra ma tra sovranisti ed europeisti, presenti in entrambi gli schieramenti. Qualcosa nell&rsquo;Europa di oggi va cambiato, ma a chi affideremo il cambiamento?&nbsp;<br /> &nbsp;

Non è casuale che i vescovi del “Comece”(Commissione episcopale dei paesi dell’Unione Europea) abbiano stilato un documento stringato, ma anche molto chiaro, per esprimere pubblicamente una opinione sulle prossime elezioni europee, manifestando una preoccupazione per risultati che vadano eventualmente in senso contrario ad una maggiore integrazione. 
Il documento, pubblicato il 9 marzo, esordisce con una affermazione solenne: «La Chiesa cattolica è stata parte della costruzione dell’Europa per oltre due millenni, dalle sue radici sino ad oggi, dando un contributo con la sua Dottrina sociale». Per aggiungere subito dopo che si avverte nel sentire comune un certo disincanto e che c’è il rischio di una massiccia astensione, mentre le elezioni arrivano «nel momento giusto per esprimere scelte politiche che potranno rinnovare la fratellanza tra popoli e persone, rilanciando il progetto europeo».
Di qui l’invito pressante rivolto a credenti e a tutti gli uomini di buona volontà, di andare alle urne, evitando la tentazione del ripiegamento ed esercitando il diritto di contribuire all’edificazione di un’Europa che sia all’altezza della difficile congiuntura. 
I vescovi riconoscono che «la UE non è perfetta e probabilmente ha bisogno di una nuova narrazione di speranza che coinvolga i suoi cittadini in progetti percepiti come più inclusivi e meglio orientati al bene comune». Però la preoccupazione che emerge è quella condivisa da molti che vedono il pericolo di un arretramento nella costruzione di un’Europa più integrata e, nello stesso tempo, rispettosa dell’irrinunciabile principio di sussidiarietà. In maniera più esplicita, si tratta di dare rilevanza concreta all’espressione molte volte ripetuta, vale a dire “l’unità nella diversità”, il che «implica regole comuni che tengano conto della legittima promozione e protezione delle libertà e delle opportunità attraverso processi democratici che manifestino responsabilità, trasparenza e una giusta realizzazione dello Stato di diritto».

Sovranisti ed europeisti

C’è insomma la consapevolezza che si giochi una partita i cui esiti avranno un’incidenza sul futuro prossimo, non solo a livello europeo, ma anche in quello globale. Il rischio è che si accentui la frattura politica di questi mesi: sovranisti ed europeisti si stanno confrontando duramente in vista delle elezioni di un parlamento che sinora si era diviso tra partiti del centro sinistra e del centro destra, entrambi europeisti. Ora si assisterà probabilmente a uno spostamento dello scontro tra sovranisti edeuropeisti,una distinzione diventata trasversale all’interno dei partiti, con prese di posizione nei raggruppamenti di centro-destra (PPE) contro il partito ungherese Fedesz, guidato da Orban,e all’interno dei partiti di centro sinistra (PSE) contro il Partito socialdemocratico rumeno di Liviu Dragnea. 
Per i sovranisti, una volta che la Brexit ha mostrato come non vincente la ventilata secessione dall’Unione Europea, la strada da perseguire ora è quella di chiedere autonomia dall’Europa riguardo a certe politiche interne come l’immigrazione e, nello stesso tempo, di poter continuare ad utilizzare le ingenti risorse del bilancio europeo. Mentre, paradosso davvero insostenibile, si dà tutta la responsabilità all’Europa per le difficoltà economiche interne.
Gli europeisti sono stati invece troppo timidi nel riconoscere che la disaffezione di molti cittadini dipende dal fatto che l’integrazione è rimasta in sospeso e che per queste ragioni la crisi finanziaria e quella legata alle immigrazioni sono state affrontate in maniera contradditoria e incerta. 

La governance dell’Europa richiede una revisione

La governance dell’Europa richiede una profonda revisione istituzionale, giacché la sua struttura ha impedito un’azione coerente nel corso della crisi finanziaria e dell’euro che ha coinciso con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009), e delle crisi successive: dei rifugiati e del terrorismo. Entrambe esplose a partire dal 2012. 
Il Trattato di Lisbona aveva stabilito un doppio modello di governo della Comunità Europea: una Costituzione sovranazionale per la gestione delle politiche collegate al mercato comune e un modello per le politiche “storicamente sensibili” per la sovranità nazionale: le decisioni sono state centralizzate in due istituzioni (il Consiglio europeo e il Consiglio dei ministri) che coordinano i governi degli Stati membri della Unione Europea. Entrambe hanno mostrato la loro inadeguatezza. Basandosi nelle decisioni sul principio dell’unanimità, è prevalso il potere di veto; non essendovi vincoli costringenti, ogni politica di convergenza può essere (ed è stata più volte) disattesa. 
Com’è accaduto per l’accoglienza dei rifugiati: nonostante il consenso unanime sulla loro distribuzione negli Stati membri sulla base di criteri oggettivi, alcuni stati si sono poi rifiutati di dare loro ospitalità in base alla quota ad essi attribuita creando risentimenti e reciproche accuse. Inoltre, nel processo decisionale paesi come la Francia e la Germania hanno avuto un peso più forte di altri sulle politiche finanziarie e su quelle della sicurezza. Com’è stato scritto da un attento osservatore, «la logica intergovernativa ha portato a decisioni poco efficaci, prive dei basilari requisiti di legittimazione democratica, causando così l’insoddisfazione diffusa tra i cittadini di molti paesi europei» (Fabbrini). 

Un'unione federale europea

Bisogna allora andare a votare per l’Europa perché rappresenta un grande valore e una grande speranza per le nuove generazioni, avendo però ben chiaro che il voto è pure in funzione di un nuovo modo di governare che richiederà una revisione del Trattato di Lisbona.
Per rendere più efficace e più democratica l’Europa, per superare la disaffezione di molti cittadini ed evitare il rafforzarsi di pericolosi nazionalismi, si dovrà riscrivere un inedito patto costituzionale, che renda davvero protagonista il Parlamento europeo nelle politiche riguardanti il mercato comune e favorisca una più stretta unione politica tra i paesi che hanno aderito all’eurozona. Unione politica fondata sul principio del rapporto tra eguali, in modo da prevenire la formazione di maggioranze improprie, di decisioni unilaterali, di gerarchie istituzionali tra gli Stati membri, senza togliere quote di sovranità agli Stati stessi su precisi ambiti. 
Si tratta di creare un’unione federale e non uno Stato europeo e nemmeno un’associazione di Stati europei. Una difficile scommessa, da vincere se si vuole che l’Europa continui a vivere in pace e prosperi nel mondo globalizzato.
Per dirla con i vescovi del Comece: «Votare non è solo un diritto e un dovere, ma anche un’opportunità per dare concretamente forma all’Unione Europea»