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9 Agosto 2023

Export di armi senza più freni?

La migliore riforma sarebbe la creazione di un Ministero della Pace per il disarmo
Export di armi senza più freni?
Foto di ARTFULLY-79
Il Consiglio dei ministri ha approvato qualche giorno fa un disegno di legge che introduce modifiche alla legge n. 185 del 1990, che regola il controllo delle movimentazioni internazionali del materiale di armamento. Con il provvedimento viene istituito un comitato interministeriale ad hoc per gli scambi di materiali di armamento. Cosa cambia mettendo nelle mani della politica questo comitato?
In questi giorni il governo ha approvato il disegno di legge che modifica la Legge 185 del 1990 sull'import-export di armamenti riportando sostanzialmente nelle mani della politica, e non più dell'agenzia indipendente, le decisioni riguardanti i criteri per il commercio di armamenti. Grandi sono i timori e lo sconcerto della società civile.

«Armi italiane uccidono in tutto il mondo»: cominciava così l’appello che dette vita alla campagna nata per contrastare i commerci di armi che vedevano il nostro paese in prima fila, spesso nei traffici illeciti e clandestini. 
La legge 185 è un presidio di civiltà frutto della società civile amante della pace; solo grazie alla forte mobilitazione di un ampio movimento della società civile e dell’associazionismo laico e cattolico con la campagna “Contro i mercanti di morte” si ottenne questa legge con un sistema di controllo avanzato, conforme ai trattati internazionali e che ispirò gli indirizzi europei in materia.
Prima dell’entrata in vigore della Legge 185 del 1990, l’esportazione di armamenti in Italia era considerata alla stregua di qualunque altro commercio con l’estero e con un vero e proprio boom delle esportazioni. Per le resistenze politiche e commerciali, la sua compiuta attuazione si completò solo nel 2013 e con una radicale evoluzione civica dell’impianto di autorizzazione e controllo dell’export mediante l’attribuzione di competenze indipendenti all’Autorità Nazionale dell’Unità per l’Autorizzazione dei Materiali d’Armamento (UAMA) in seno al Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Con questa legge si poté davvero avere uno strumento per valutare se le azioni di mercato fossero in contrasto con i diritti umani ed illecite (ex art. 11 Cost. ed ex art. 41 Cost.) e fermare ogni spregiudicata pratica commerciale che rendesse il nostro Paese esportatore di “warfare” piuttosto che di “welfare”.

Il valore dell’indipendenza UAMA, presidio di democrazia

La prima grande ragione dell’indipendenza dell’organo di controllo della L.185 è la protezione dei diritti sensibili: questi ultimi non meritano di subire le incertezze delle maggioranze politiche. Le autorità indipendenti regolano materie “sensibili”, nelle quali vanno protetti diritti altrettanto “sensibili”. Ciò non significa che la politica debba restare al di fuori della sfera di azione delle autorità indipendenti, ma che venga stabilito chiaramente il confine fondamentale di queste possibili incursioni della politica.
La nascita delle autorità indipendenti contrassegna, sul piano storico e sociale, il passaggio da un modello amministrativo accentrato e piramidale ad uno policentrico, pluralistico e partecipativo. Un sistema democratico non implica solo efficienza o la velocizzazione di iter, ma è fatto di freni e contrappesi che sanno controbilanciare i poteri, i ruoli e le responsabilità, soprattutto in materia di armamenti.
La necessità di avere nel nostro ordinamento soggetti pubblici aventi i caratteri di indipendenza ed autonomia nasce per una funzione di regolazione e di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti: smantellarle vuol dire allargare le possibilità di aggiramento e costituisce il venir meno di conquiste umane e giuridiche, per un vero progresso del Paese verso la piena tutela della pace.

La miglior riforma: un Ministero della Pace per il Disarmo

Da tempo, in direzione opposta e contraria a quanto approvato dal Consiglio dei Ministri, la società civile amante della pace con la Rete Pace e Disarmo, segnalava il progressivo tentativo di svuotamento della L.185 con una progressiva perdita di informazioni sulle esportazioni militari - contemporaneamente ad una sensibile crescita nel volume delle armi vendute e da uno slittamento di forniture verso Paesi sempre più problematici - e chiedeva un adeguamento ai criteri stringenti dell'ATT, il Trattato ONU sul commercio delle armi ratificato dall’Italia dieci anni fa, e quelli della Posizione comune del Consiglio dell'Unione Europea del 2008.
Ma anche rispetto alla Politica, il mondo civile, religioso e scientifico[1] da tempo auspica una nuova visione di politica strutturale per la pacecon l’istituzione di un nuovo Ministero della Pace, un nuovo assetto dell’organizzazione ministeriale che si dedichi e riparta dalla sussidiarietà circolare, fatta di vera co-progettazione per la Protezione delle persone, per la Pace Positiva, per un nuovo paradigma di sicurezza e solidarietà universale e che dia finalmente Casa e Dignità ai costruttori di Pace.

Legittimo è infatti chiedersi come si possa chiedere ai governi di turno con i Ministeri dell’Interno o della Difesa - i cui compiti sono concentrati sul proteggere il Paese da qualsiasi invasione dall'esterno con strategie “militari”, politiche di produzione e commercio di armamenti e strategie di controllo da aggressioni-  di occuparsi di una politica strategica e strutturale di Pace “proattiva” ed in specifico, di Disarmo, di promozione dei Diritti umani e dello Sviluppo sostenibile e, ancora, di Difesa Civile Non Armata.
Un nuovo Ministero, per la pace, dunque sì, potrebbe, in collaborazione con la “sua” Agenzia indipendente, scoraggiare ogni erosione della legge 185/90 sviluppandone la portata, occupandosi degli interessi del disarmo, con il monitoraggio dell’attuazione degli accordi internazionali, con studi e ricerche per la graduale razionalizzazione e riduzione delle spese per armamenti, con l’elaborazione strategica della progressiva riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa e «contro i mercanti di morte».
L’attività economica, e la sua necessaria compatibilità con l'utilità sociale, la salute, l’ambiente e la dignità umana sancite dall’art. 41 della Costituzione segna la frontiera dell’iniziativa privata e pubblica e stabilisce dove essa cessa di essere legittima. 
La doverosità di uno specifico monitoraggio pubblico ed indipendente, che garantisca che la produzione bellica non sia solo legata al profitto va presidiata e auspichiamo che ogni intervento governativo non possa che uniformarsi a questi principi.