F. ha venticinque anni e una storia che si porta addosso come una giacca troppo stretta, cucita con fili di speranza e di errori. La sua vita si apre su una scena di apparente serenità: una famiglia adottiva che lo accoglie a tre anni, e che ha fatto di tutto per renderlo felice. Estati in Calabria tra i nonni, viaggi, feste con gli amici di famiglia. Una scuola che lo vede, a suo dire, tra i migliori. Ma sotto la superficie, qualcosa si muove, silenzioso e inesorabile.
F. oggi è alla fine del percorso terapeutico in una comunità di recupero dalle dipendenze della Papa Giovanni XXIII, per mettere un punto fermo, un argine invalicabile a quel fiume in piena che è stata la sua dipendenza. E nella Giornata internazionale contro l'abuso e il traffico illecito di droghe, oggi, che ha trovato una via da seguire, ci vuole restituire la sua storia così come è stata, con i traguardi raggiunti fino ad ora.
La storia di F. non ha ancora un lieto fine, perché la sua battaglia non è finita, ma i suoi «no» sono già una vittoria. In questo 26 giugno 2025, F. è a Roma con altri ragazzi provenienti dalle Comunità Terapeutiche di tutta Italia accompagnati dai loro operatori, per incontrare Papa Leone XIV nel cortile di San Damiaso - Città del Vaticano.
Il primo inciampo arriva alle superiori. Un indirizzo che non gli piace, meccanico, e una bocciatura. Poi la svolta, il grafico, e finalmente il primo vero anno di liceo. La tentazione si cela dietro un sorriso, quello di una «bellissima ragazza» - racconta F., incontrata alla festa di fine anno. «Rimasi ammaliato dalla sua bellezza». Lei, di un anno più grande, lo invita a casa sua per una bevuta tra compagni. E quella sera qualcosa si insinua in lui. «Fu la prima volta che mi fumai una canna e da lì continuai a fumare per almeno 2,3 anni».
F. non è solo. I dati della Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia raccontano che nel 2024, il consumo di sostanze psicotrope tra i giovani è diminuito, sì, ma solo leggermente. Nuove sfide per la salute pubblica e la sicurezza. La cannabis è sempre la droga più diffusa tra i ragazzi. Dai dati rilevati tramite lo Studio ESPAD®Italia 2024 che ha coinvolto 20.201 studenti, quasi 910 mila giovani tra i 15 e i 19 anni, il 37% della popolazione studentesca, ha consumato una sostanza psicoattiva illegale almeno una volta nella vita e 620 mila studenti, sempre tra i 15 e i 19 anni (25%), ne ha fatto uso nel corso dell’ultimo anno Ma dietro ogni numero c’è una storia, e quella di F. è una di queste.
Da quel momento la scuola inizia a scivolargli dalle mani, i voti a precipitare, la voglia di studiare a svanire. Saltava le lezioni, andava a fumare con gli amici. Due bocciature, e poi l'abbandono. Un lavoro da fruttivendolo per «tenersi le giornate più occupate possibili». Dire dei no diventa ogni giorno più difficile.
Il Serd, dopo che la polizia lo ferma con della marijuana in tasca, diventa una formalità. «Andavo per i controlli mensili, ma i controlli delle urine erano sempre positivi alla marijuana. Tutto era praticamente inutile». Fino a quando trova una nuova passione, la scuola per orafi, che riesce persino a terminare. Ma la trappola è sempre lì: un amico d’infanzia lo introduce alla cocaina. Ancora una volta, dire di no sembra impossibile.
La sostanza diventa compagna, rifugio, abitudine. «A metà del 2ª anno di questa scuola, per caso rincontrai un mio carissimo amico d’infanzia, il quale scoprii che faceva uso di cocaina già da un bel po’ di tempo, cosi iniziai ad uscire con lui e la sua compagnia fino a fare uso, pure io, di quella sostanza».
Finita la scuola, il baratro si allarga. Poi, la scintilla, la voglia di risalire. Contatta il Serd, che gli propone di entrare in una comunità. «Ero molto spaventato al tempo. Non sapevo cosa fossero, e nessuno me ne aveva parlato bene. Sapevo solo che ci sarei dovuto rimanere a lungo».
Eppure, nonostante la paura, nonostante una fidanzata da due anni, fa le valigie ed entra in una comunità maschile. Arriva la stanchezza, la nostalgia, il richiamo di casa; decide, così, dopo sette mesi, di uscire.
Inizia a lavorare come barista in un famoso bar della sua città. Un lavoro che ama, clienti, soddisfazione, e tanti soldi.
«Ero molto contento di non far più uso di sostanze». Ma una sera, un cliente, una festa, la tentazione è di nuovo dietro l’angolo. Ancora una volta, dire di no sembra impossibile. «Cosi decisi di andarci ma in quella serata ci ricascai e feci uso di crack. Da quel momento non ho più smesso di farne uso. Ricordo che la compravo a quantità molto elevate». Un anno e mezzo dopo essere uscito dalla comunità è di nuovo intrappolato. «Il peggio era che facevo uso di sostanze e nonostante tutto riuscivo a fare veramente molto bene il mio lavoro». Questa volta la discesa è più rapida.
Tre anni dopo, il corpo presenta il conto. Una serata di «sballo totale mischiato ad alcol, crack, cocaina». E poi il buio. «Mi ritrovai in coma all’ospedale. È stato un momento veramente terribile della mia vita, non avevo assolutamente coscienza che sarebbe potuto succedere una cosa del genere».
Si risveglia in ospedale, dopo essere stato in coma. Attorno a lui, il dolore di chi lo ama. Ma tutto questo non basta. Si ribella, stacca tutte le flebo, e se ne va dall’ospedale.
I mesi successivi? Un'agonia di crack, un'incoscienza folle, nonostante abbia sfiorato la morte. Poi, un giorno, un lampo, una voce interiore. «Non so come mi dissi: “F., adesso basta!”». Entra nella comunità terapeutica della Papa Giovanni XXIII. Qui trova un luogo dove ricominciare, dove imparare a conoscersi, dove il “no” alle sostanze diventa un esercizio quotidiano, una lotta contro se stesso e contro i fantasmi che lo inseguono. Impara tecniche nuove, come la DBT (Terapia Dialettico Comportamentale), «molto efficace per resistere» - dice e si mette alla prova con il servizio civile, riscoprendo il valore di sentirsi utile.
Ora, dopo quasi due anni di comunità, F. guarda al futuro con occhi diversi. Sa che la tentazione non sparirà, che il rischio di ricadere sarà sempre lì, ma ha imparato a riconoscere i segnali, a chiedere aiuto, a non vergognarsi della propria fragilità. Sa che il vero coraggio non è non cadere mai, ma rialzarsi ogni volta, e che dire “no” non è solo una rinuncia, ma una conquista quotidiana.
«Sto facendo davvero un grosso lavoro su me stesso. Se potessi cambiare qualcosa, in realtà non cambierei niente, perché se non avessi conosciuto la Papa Giovanni a quest’ora penso che non sarei stato qui, ma smaccato in giro per qualche strada o morto».
La storia di F. non ha ancora un lieto fine, perché la sua battaglia non è finita. Ma oggi, il suo “no” pesa più di mille “sì” detti per paura di restare fuori. E in questo, forse, c’è già una vittoria.