Topic:
25 Maggio 2022

Restituiamo l'Africa agli africani

25 maggio: giornata mondiale dell'Africa
Restituiamo l'Africa agli africani
Foto di Stefano Amadei
Nella mentalità occidentale l'Africa è il continente dai mille problemi, un luogo da aiutare perché non ce la farebbe da solo, o peggio una terra da sfruttare. Ma probabilmente è vero il contrario: l'Occidente non ce la farebbe senza l'Africa. Simone Ceciliani, missionario in Kenya dal 2011, ci spiega perché.
La giornata mondiale dell’Africa è l’annuale commemorazione della fondazione dell’Unione Africana (25 Maggio 1963) e di riflesso è la festa della liberazione dell’Africa dal colonialismo europeo oltre che celebrazione della ricchezza e delle culture di un intero continente. E non solo. È un po’ una festa anche per il resto del mondo visto che è dall’Africa (tra Etiopia, Kenya e Tanzania), da quelle savane, che l’umanità ha mosso i suoi primi passi per andare poi a occupare ogni angolo del pianeta.
C’è un po’ d’Africa in ognuno di noi perché è da lì che veniamo e, forse per questo, ogni volta che ci torniamo è un po’ in fondo come tornare alle origini, e quando la lasciamo sentiamo quel mal d’Africa che solo chi veramente ha camminato insieme alla gente di quel continente può sperimentare.

L'Occidente senza l'Africa ce la farebbe?

«L’Africa agli africani» diceva Daniele Comboni. Frase questa, potremmo dire, di una banalità inverosimile, ma il fatto che Comboni abbia dovuto pronunciarla dimostra quanto profonda e dannosa sia stata la colonizzazione del continente da parte degli europei, non solo a livello territoriale ma anche e soprattutto a livello culturale. 
Nell’immaginario occidentale l’Africa è sempre stata il continente dai mille problemi, un continente da sfruttare nei peggiori dei casi o da aiutare paternamente, perché da sola non ce la farebbe. 
Ironia della sorte è che l’Africa ce la faceva benissimo da sola prima che il resto del mondo decidesse di invaderla e dividerla, e l’Africa ce l’ha sempre fatta sia durante che dopo la colonizzazione. Siamo piuttosto noi occidentali ad esserci convinti che questo continente non ce la possa fare a camminare senza di noi, senza accorgerci del fatto che i nostri stili di vita sono basati sullo sfruttamento e abbassamento dei loro stili di vita. 

Non è azzardato quindi dire che forse è il contrario: l’Occidente non ce la farebbe senza l’Africa.
L’unica cosa che forse l’Africa chiede è di smetterla di usarla, sfruttarla o trattarla da subalterna, come una bambina da educare e aiutare a crescere.
Certo, non tutte le colpe sono dell’Occidente, e senz’altro oltre alle tante luci e speranze, l’Africa ha diverse ombre, a partire da una classe politica spesso corrotta e inefficiente, una iniqua distribuzione della ricchezza fra la popolazione, il tribalismo, un processo di urbanizzazione spesso fuori controllo e che sradica la popolazione dalle sue radici culturali minando alla base le istituzioni fondamentali delle culture dei popoli africani, come la famiglia allargata, il legame con la terra, la solidarietà tra la gente. 
Si vede questo nella lacerata periferia di Nairobi, dove continuano a riversarsi persone dalle campagne, in cerca di un futuro migliore, che però spesso si ritrovano in una gabbia di cemento e lamiere. Le baraccopoli si affiancano a quartieri ricchissimi e per certi versi questa enorme città rappresenta in modo emblematico il mondo intero, dove pochi ricchi hanno tutto, e molti poveri rimangono con lo stretto indispensabile e anche meno.

La Comunità Papa Giovanni XXIII in Africa

Tutto questo però, non toglie alle persone la forza di lottare fra tante difficoltà quotidiane, la forza di continuare a sorridere e danzare, nonostante tutto, malgrado le avversità. «Hakuna matata» dicono in Kenya, cioè «Nessun problema». Un modo per dire che anche fra tanti problemi, non ci si ferma, non ci si arrende.
La Comunità Papa Giovanni XXIII, camminando a fianco degli ultimi, in mezzo alla gente, ha un approccio unico e diverso dalle molte ONG che lavorano nel continente. Dire che la Comunità contribuisca in modo forte a lasciare l’Africa agli africani forse è troppo, nel senso che questo avverrà solo quando noi ce ne andremo o per lo meno quando cederemo tutte le responsabilità dei progetti ai locali. Quello però che conta è questo camminare insieme, pur fra mille difficoltà e a volte incomprensioni. Non come chi dirige e comanda dall’alto ma piuttosto come chi decide di fare un pezzo di cammino insieme, aiutandosi a vicenda lungo la strada, poiché non c’è chi salva e chi è salvato. E se certamente è vero che la Comunità Papa Giovanni XXIII sta aiutando con la sua presenza, le sue case, i suoi progetti, dall’altra parte è innegabile che anche noi siamo aiutati dalla gente d’Africa a comprendere quello che altrimenti non avremmo mai capito stando a casa, e a ritrovare anche aspetti della nostra vocazione che sono connaturali e già presenti in molte culture africane. Sono loro spesso i nostri maestri, non perché poveri, ma perché ricchi di quella umanità che in Europa abbiamo un po’ perso per strada.