Oltre 10.000 "salvati" in 45 anni di attività. I numeri ed il lavoro della Comunità Papa Giovanni XXIII a fianco delle persone che cadono nel tunnel delle droghe e dei comportamenti patologici.
«Il tossicodipendente è un malato d’amore, ha delle istanze profonde... Chi non trova ciò per cui spendere l’esistenza - che è l’infinito - entra nella noia e per fuggire dalla noia assume sostanze». A parlare in video è don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII che - con il suo modo diretto e spiazzante - racconta la sua visione della tossicodipendenza.
Siamo al secondo giorno del convegno "Kronos e Kairos" promosso dalla Comunità per affrontare in due giorni, con esperti del settore e giovani provenienti dalle scuole del riminese, il tema complesso e continuamente in evoluzione della dipendenza.
Da quando si è partiti, 45 anni fa, ne è passata di acqua sotto i ponti: dal quello che era chiamato volgarmente "tossico" negli anni '70 e '80, che si faceva di eroina o cocaina, alla poliassunzione dei giorni nostri, al gioco d'azzardo, ad internet e tutte le nuove dipenze senza sostanze, alle doppie diagnosi che coinvolgono sofferenze mentali importanti accanto a comportamenti di dipendenza.
Un cambio di paradigma. Dalla cura della malattia alla condivisione
In questo secondo giorno si racconta del "cambio di paradigma" che ha operato don Benzi con il suo metodo: non un malato da curare ma una persona che deve trovare come esprimere i propri talenti per uscire da «una vita senza senso» come gli aveva confidato un tossicodipendente che non ce l'ha fatta.
Ciò che salva è la relazione di condivisione e «bisogna svegliarli - ha continuato il sacerdote nel documento video - perché quando li inconrtriamo sono "cotti come le biscie". Per questo occorre avvicinarli, con decisione ma con amore».
Quella della Comunità Papa Giovanni XXIII - ha spiegato Emanuela Frisoni che accompagnava i video del "don" - è una visione olistica che considera l'essere umano dal punto di vista della sua natura biologica, psichica ma anche spirituale.
L’uomo,è sempre il pensiero di don Oreste, oltre ad una fame biologica, come gli animali, ha una fame psichica e una fame spirituale, il bisogno di assoluto, la risposta alle domande di senso: «Perché sono al mondo?» «Faccio bene o male?».
Il libro Legami Invisibili
Ugo Ceron ed Ivana Conterno autori del libro "Legami Invisibili"A quel punto, insieme agli autori Ugo Ceron e Ivana Conterno, ha presentato quello che è il primo libro della Comunità Papa Giovanni XXIII sul tema delle dipendenze, appena uscito con l'Editore Sempre: "Legami invisibili. Viaggio tra sostanze, dipendenze e storie di recupero".
Un manuale scientifico dal lessico familiare, che tocca trasversalmente gli aspetti psicologici, relazionali e neurobiologici delle dipendenze, tratta sia le classiche dipendenze da sostanze che quelle da comportamenti addittivi, e parla anche dell'esperienza delle Comunità Terapeutiche nate dall'opera di don Benzi.
Proporre un cambio di vita
Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità, si è descritto simpaticamente: «Vorrei essere un ottimo marito, un buon papà, un discreto cristiano, un sufficiente lavoratore»
«La salvezza per tutti noi non è qualcosa ma qualcuno, e la nostra società ci misura su qualcosa. La nostra società cerca di costruire individui, non persone, a massimizzare il profitto individuale. Più ho quantità più valgo. Una logica egocentrica e prestazionale che produce scarti perché se non produci puoi essere scartato, soprattutto le persone più fragili. In questo contesto per i giovani è facile che passino di delusione in delusione fino a fare scelte di morte».
«Bisogna cambiare paradigma - ha continuato - dalla somministrazione di prestazioni a proposta di cambio di vita».
Non offire la "banalità del bene"
Gli ha fatto eco Don Claudio Burgio, fondatore della comunità Kairos e cappellano dell’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” di Milano, che suggerisce, rapportandosi con i giovani, di «promuovere il bene più che abbattere il male».
«Per farli cambiare o meglio camminare bisogna partire dall’ascolto incondizionato. E dentro questo cammino fatto insieme scoprire i talenti su cui far leva per arrivare ad un cambiamento».
L'importante è «non offrire la "banalità del bene" che si riassume nell'invito "Fai il bravo!"».
I numeri, in Italia e all'estero
Ma quante persone con dipendenza ha incontrato la Comunità Papa Giovanni XXIII in questi 45 anni?
«Più di 10.000 in Italia - ha snocciolato i dati Bartolomeo Barberis - e più di 1.600 all’estero (Argentina, Albania, Bolivia, Brasile, Cile, Croazia, Russia)».
Per il 79% sono uomini e per il 21% donne, e questo riflette i dati in letteratura.
Negli anni è cresciuta l’età del primo ingresso: dai 24 anni negli anni ’80, fino ai 36 di oggi.
Quanti abbandonano? Il 37% abbandona, e chi abbandona in genere lo fa nei primi 3 mesi. Una lunga permanenza in comunità terapeutica è una prognosi favorevole. Qualcuno sceglie di tornare in carcere perché lo ritiene "meno restrittivo" del lavoro in comunità.
Le conclusioni
«Dobbiamo passare - ha concluso Ugo Ceron, coordinatore del convegno - da un atteggiamento mentale di contrapposizione, ad un atteggiamento di cooperazione. Questo ha molto a che fare con la prevenzione universale. La contrapposizione produce incertezza e disaffezione rispetto al proprio contesto sociale. Quando incontriamo i giovani sentiamo un forte senso di smarrimento. Le frammentazioni sono fattori predisponenti alla ricerca di consolazioni. Dobbiamo cercare ciò che unisce piuttosto di ciò che ci divide. Se faremo questo instilleremo nella nostra cultura l'idea che ce la si può fare».
Riguardo al contrasto all'uso di sostanze Ceron rileva la necessità di fare una scelta di campo e decisa a favore della prevenzione, con politiche di medio e lungo raggio e non annuali o biennali come adesso avviene.