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18 Aprile 2024

In Togo: carcere, speranza e rinascita

In questo piccolo Paese dell'Africa occidentale storie di resilienza si intrecciano con la vocazione di don Oreste Benzi
In Togo: carcere, speranza e rinascita
Foto di Pierpaolo Flesia
Per il Togo non è un momento facile: il presidente Faure Gnassingbé, in carica dal 2005, ha posticipato ancora una volta le elezioni. Dovevano tenersi il 20 aprile, ma sono state rinviate senza nemmeno una data. In questa situazione instabile, le storie di rinascita che vi presentiamo possano essere un seme di speranza.
Dadoh è una ragazza semplice, cresciuta come ha potuto tra Nigeria e Togo. Mentre frequenta un ragazzo scopre di essere incinta, ma proprio in quel periodo lui finisce in carcere. Siccome non ha un posto dove andare, nella sua semplicità Dadoh decide di accamparsi proprio fuori dal carcere, in attesa che il suo ragazzo finisca di scontare la pena. Un giorno una macchina la investe e in ospedale le devono amputare una gamba. Incinta, sola e senza una gamba… come riuscirà sopravvivere?
Carlos invece finisce in carcere che è ancora minorenne perché rubacchiava qua e là. Deve vivere in carcere insieme agli adulti, perché in Togo non ci sono reparti per i minorenni. Il suo futuro è già finito prima di iniziare?
Dadoh e Carlos hanno avuto la fortuna di essere accolti nella famiglia di Charles e sua moglie Hortènse, che da qualche anno fanno parte della Comunità Papa Giovanni XXIII in Togo. Insieme a loro sono riusciti a scrivere un finale diverso per la loro storia. Ora il bimbo di Dadoh ha 4 anni, lei ha una protesi alla gamba e ha fato un corso per diventare parrucchiera. Attualmente sta facendo il tirocinio per imparare il lavoro che le piace. Carlos oggi ha 21 anni e frequenta una scuola professionale dove gli stanno insegnando a usare il computer. Gli insegnanti dicono che riuscirà a prendere il diploma.

La vocazione di don Benzi arriva in Togo

Togo charles
In Togo Charles e Hortense sono una coppia di sposi che ha scelto di vivere la vocazione della Comunità Papa Giovanni XXIII. La loro famiglia accoglie persone in difficoltà e dà loro una nuova speranza di vita.
Charles e Hortènse sono sposati dal 1992, hanno tre figli ormai grandi e, oltre aver accolto Dadoh e Carlos, hanno aperto la loro famiglia anche a Beaudouin, di 14 anni, e alla piccola Marie di 10 anni.

Charles, che ufficialmente si chiama Kossi Togbè Akakpo ma che dopo il battesimo ha assunto anche un nome cristiano, aveva sentito parlare della Comunità Papa Giovanni XXIII circa 20 anni fa, grazie a una suora italiana missionaria. Nel 2018 ha incontrato Paolo Ramonda durante un incontro in Zambia e da lì ha iniziato insieme alla moglie un cammino alla scoperta della vocazione di don Benzi.
«Quello che mi ha colpito della Comunità è salvare la vita degli abbandonati, cioè dei carcerati, dei bambini di strada, degli orfani» spiega Charles. In questi anni Charles e sua moglie hanno radunato alcune persone interessate a conoscere meglio la Comunità Papa Giovanni XXIII, come ad esempio
Abidi Etsin, che da battezzato si chiama Stephan, e sua moglie Elisabeth: «Quello che più mi colpisce – dice Stephan, che lavora come insegnante – è come questa vocazione sia la risposta alle beatitudini di Dio: eliminare la povertà nel mondo stando vicini agli ultimi, condividendo la vita con loro, facendo che i problemi e i fardelli degli altri diventino i propri».
Charles, Stephan e una decina di altre persone tutte le settimane vanno a visitare i carcerati in due prigioni: una è ad Aneho, una città sul mare, l’altra si trova a Vogan, un piccolo paese.
gruppo togo
In Togo il gruppo di volontari interessati ad approfondire la vocazione di don Benzi si è ritrovato per un ritiro di preghiera guidato dal diacono permanente Pierpaolo Flesia a marzo 2024.
Foto di Pierpaolo Flesia

I carcerati, poveri tra i più poveri

Pierpaolo Flesia, missionario in Olanda insieme alla propria famiglia dal 2008, va periodicamente a visitare il Togo per conto dell’ONG della Comunità Papa Giovanni XXIII. «A fine gennaio sono andato a incontrare i carcerati insieme ai nostri volontari del posto – spiega Pierpaolo –. Facciamo colloqui con loro, offriamo un accompagnamento spirituale e leggiamo la Bibbia insieme a chi vuole. Sogniamo un futuro migliore con queste persone». 
Nadia Andruccioli, già missionaria in Zambia e poi in Australia, ha accompagnato Pierpaolo in questa visita in Togo: «È la secondo volta che vado. L’esperienza in carcere è sempre molto forte, ti prende dentro. Vedi queste persone tutte ammassate, private della loro dignità. Eppure hanno una forza incredibile: riescono ad adattarsi in ogni situazione e a rimanere loro stessi. Alcuni si sono avvicinati a noi e la loro accoglienza nei nostri confronti è sempre disarmante: invece di essere arrabbiati, li ho visti cantare e danzare. Per loro ogni occasione è buona per fare festa, noi occidentali questa cosa l’abbiamo persa. Poi quelli che sono stati con noi ci hanno ringraziato per essere andati a trovarli. Nei loro occhi vedi la speranza che qualcosa possa cambiare». 

Allevare polli per rimanere libero

«Prima che andassimo via mi si è avvicinato R., 40 anni. Voleva parlarmi in disparte – racconta Pierpaolo –. Gli hanno dato 18 anni e ne ha già passati 16 lì dentro. Spera di ottenere la grazia e uscire prima, anche se non gli è rimasta una vita fuori dal carcere. Aveva una moglie che però lo ha lasciato, aveva dei figli, che ora non vogliono più vederlo. Ha paura di come potrà essere la sua vita una volta fuori dal carcere. Mi ha detto: “Rischio di morire presto o di tornare subito qui dentro”. R. vorrebbe aprire un pollaio, un’attività piuttosto redditizia, e ci chiede un aiuto per iniziare questa attività quando sarà libero». Non è semplice cominciare una nuova vita dopo il carcere, ma Gloria Gozza, responsabile della presenza in Zambia e in Togo della Apg23 e missionaria in Africa dal 1995, è convinta che attraverso un progetto di micro-credito sarà possibile sostenere R., come in passato è stato fatto per altri carcerati rimessi in libertà: «È fondamentale sostenere queste persone, sia quando sono in carcere, sia quando escono. I nostri volontari in Togo, con la loro presenza in questi due carceri, sta facendo la differenza per tante persone». Chi volesse contribuire, può visitare il sito di Condivisione fra i Popoli e fare una donazione.

Quale speranza per l'Africa?

Non è facile essere ottimisti sul futuro dell’Africa in generale e del Togo in particolare.
«C’è carestia ovunque, ma il problema più grande nel nostro Paese – dice Charles – è che non c’è lavoro. I giovani hanno il diploma, ma non trovano lavoro; imparano diversi mestieri, ma rimangono disoccupati, il che li spinge a diventare piccoli ladri, piccole prostitute di strada». È un dato di fatto: i governi africani pensano poco ai giovani, che però sono il 70% della popolazione.
In Africa parlare del governo è sempre un argomento complesso. Il Togo ha ottenuto l’indipendenza nel 1960; l’attuale presidente, Faure Essozimna Gnassingbe, è salito al potere nel 2005 dopo la morte del padre Eyadema, che aveva governato il Paese per 38 anni. Proprio a marzo 2024 dovevano avvenire le elezioni legislative, ma sono fatte slittare ad aprile, prima il 3, poi fissate per il 20 aprile, infine posticipate a data da destinarsi.
L’opposizione accusa il governo di non voler organizzare un voto trasparente e democratico. Nigrizia, la nota rivista che si occupa del continente africano, non ha parole morbide per il presidente: «Faure si è ritagliato all’estero l’immagine di uomo di pace, per far dimenticare che il governo (civile solo nel nome) è schiacciato dallo strapotere dei militari».

Su questa questione delicata, Charles esprime così il suo pensiero: «Tutti vogliono il cambiamento ma, secondo me, in Togo non esiste un vero avversario. Sul futuro del Paese però non posso dire nulla: affidiamo tutto nelle mani del Signore».
Anche se la situazione sembra senza vie di uscita, la speranza non manca mai, soprattutto in chi crede nella forza della condivisione con gli ultimi. «La Comunità non propone un percorso verbale, ma attraverso le azioni: quello che si dice poi si fa» dice Stephan. Ed è proprio così: anche in Togo, poveri tra i poveri.