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1 Settembre 2023

La casa famiglia 2.0 si presenta

Appuntamento il 3 settembre in provincia di Vicenza
La casa famiglia 2.0 si presenta
Elena e Giovanni, nati in una casa famiglia e in una famiglia aperta, dopo il loro matrimonio hanno voluto raccogliere l'eredità di accoglienza che hanno ricevuto. Una condivisione che si rinnova.
Elena e Giovanni: una casa famiglia che accoglie nel cuore di una parrocchia, e che il 3 settembre si presenterà nell'ambito degli eventi per celebrare il 50esimo anniversario delle case famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Appunamento per messa, pranzo, e spettacolo teatrale (Qui il link all'evento).

Chi sono Elena e Giovanni?

La storia di ogni realtà di accoglienza è affascinante, tessuta nelle trame della vita di chi la sceglie, ma quella di Elena e Giovanni è anche una storia di freschezza e rinnovamento. 33 anni lei e 35 lui, vicentini, immersi nella condivisione si sono conosciuti, si sono poi innamorati, e hanno costruito un progetto di vita aperta agli altri che ha poi assunto la forma della casa famiglia.
Entrambi sono “figli” nati in realtà di accoglienza: la casa famiglia di Arciso e Teresa, e la famiglia aperta di Francesco e Silvana.
«I miei – racconta Giovanni – sono stati la prima casa famiglia in Veneto, la settima in comunità. Io e mio fratello Leonardo siamo cresciuti in questa realtà e devo dire che non è stato difficile. O – meglio – non era difficile la casa famiglia ma a volte il rapporto il mondo esterno, perché alcuni facevano fatica ad accettare le scelte dei miei genitori. L’ho sofferto soprattutto nella fase delle elementari, poi crescendo sempre meno. La famiglia era numerosa e movimentata: c’eravamo io, mia mamma e mio papà, mio fratello, e poi Cristina, Angelisa e Mario, poi tantissime persone che sono passate, Michela e Debora…» 
Non si deve pensare che il cammino di Giovanni sia stato lineare, senza criticità: «Fino ai 18 anni – spiega – ero tentato di entrare anch’io a far parte della Comunità Papa Giovanni XXIII, poi facevo fatica ad accettare alcuni aspetti della Comunità e ho abbandonato l’idea. Però – paradossalmente – partecipavo ai campi di condivisione d’estate. Era un po’ un rapporto di amore ed odio. In un certo periodo sono stato critico delle scelte dei miei genitori, però ho fatto il Servizio Civile in una casa di pronta accoglienza a Montecchio Maggiore, sempre nel Vicentino, che è stata una bella esperienza a livello personale. Finito il servizio civile sono andato a lavorare come OSS (ho fatto il corso con la scuola superiore) alla Cooperativa “L’Eco”, sempre della Comunità, nella quale sono rimasto 10 anni».
«I miei genitori – racconta Elena – hanno cominciato a far parte della Comunità Papa Giovanni XXIII quando io avevo 14 anni, come famiglia affidataria; hanno fatto affidi di bambini e ragazzini, una ragazza madre, un ragazzo con grossi problemi psichiatrici, tutti minorenni che hanno accompagnato fino alla maggiore età».

Le chiacchierate online dalla Russia

«Durante le scuole superiori io ero molto attiva con l'Operazione Mato Grosso, ma a fine delle superiori un’amica di famiglia, Mirella, missionaria in Zona Russia, mi aveva invitata a fare un periodo da lei. Ho fatto un mese estivo in Russia ed è stato un mese sconvolgente, che mi ha aperto gli occhi su tante cose che non conoscevo. Al ritorno ho fatto un test per entrare nella facoltà di Ostetricia, ma il mio cuore voleva tornare in Russia. Il test l’ho passato alla terza graduatoria ma ci ho rinunciato – l’avrei riprovato qualche anno più tardi – e sono partita per il Servizio Civile in Russia».
«Pur appartenendo le nostre famiglie alla stessa Comunità – spiega Elena – io e Giovanni non ci eravamo mai visti. Un giorno nel 2010, in cui ero tornata in Italia dal Servizio Civile, Mirella me lo ha presentato. Poi io sono tornata in Russia per un altro anno».
«Così abbiamo cominciato a sentirci via Skype, tenendo anche conto del fuso orario – racconta Giovanni – e le nostre chiacchierate online sono state per noi un’occasione di approfondimento della nostra relazione. Poi sono andato a trovarla in Russia. Andare in Russia mi ha anche aperto gli orizzonti rispetto alla Comunità, che non era solamente la comunità di Vicenza e le persone che conoscevo. Comunque quando lei è tornata dalla Russia abbiamo iniziato il cammino come fidanzati. Abbiamo fatto anche un corso fidanzati ma non è bastato e ne abbiamo fatto un altro, con con don Guido della Comunità. Nel frattempo abbiamo organizzato un campo di lavoro in Russia con dei nostri amici».

 Una famiglia senza sicurezze, se non quella di accogliere

«Nel 2012 ho passato test per entrare all’Università e sono diventata membro della Comunità. Il nostro rapporto cresceva, e per noi non valeva la pena aspettare di avere tutto a posto: casa, finire gli studi, trovare un lavoro, e così nel 2014 abbiamo deciso di sposarci, mentre io facevo il terzo anno di università, e di andare a vivere in un appartamento in affitto. Poco dopo sono rimasta incinta di Gioele, il nostro primo figlio».
«Fin da subito come famiglia avevamo il desiderio di vivere un progetto di condivisione, avevamo l’idea di avere una famiglia aperta, ma eravamo in un mini appartamento. Però abbiamo fatto il corso affido».
Poi gli eventi si susseguono, ed Elena e Giovanni rispondono prontamente alle chiamate che la vita fa loro. Un sacerdote di Schio propone loro di andare a vivere nella sua canonica che era libera, e così nel 2016 si trasferiscono. Arriva la richiesta di accoglienza di una ragazzina di 11 anni per un affido a lungo termine. A fine 2017 Elena si laurea in Ostetricia ed erano già in attesa del secondo figlio Elia che nasce nel 2018. Nello stesso anno arriva Simone, bambino con disabilità grave, e passano altre persone per periodi brevi. Nel 2020 arriva la terza figlia, Lucia, e nel 2021 un ragazzino di 11 anni e un’altra ragazzina di 11 anni in affido breve.
Pur appartenendo alla zona di Vicenza, come comunità all’inizio frequentano la zona di Padova «per vivere la Comunità staccati dai genitori, per non essere considerati solo i “figli di”» e trovare una loro dimensione. «Poi quando ci siamo sentiti sicuri di quello che eravamo siamo tornati nella zona di Vicenza», spiegano.
Nel 2021 Vilma che faceva casa famiglia a Torrebelvicino, rimasta vedova ha offerto loro la casa e si sono trasferiti lì, con i loro figli naturali e quelli – come diceva don Oreste – “rigenerati nell’amore”.
Elena e Giovanni dimostrano che le eredità che lasciano i genitori non sono solo quelle materiali.
«Dalla mia famiglia ho ereditato il senso di accoglienza e condivisione – spiega Giovanni –. A volte mi stava stretta ma mi ha dato un gran bagaglio. Un bagaglio che ritengo necessario per non chiudermi nelle mie piccolezze quotidiane. Mi aiuta a camminare verso qualcosa di più grande».
«La condivisione ci ha smosso verso questo obiettivo comune – conclude Elena –. I miei genitori ci supportano, sono orgogliosi, ci hanno sempre appoggiato e accompagnato».