Topic:
3 Settembre 2023
Ultima modifica: 5 Settembre 2023 ore 09:04

Le frasi più belle di Papa Francesco in Mongolia

Durante il suo viaggio apostolico il Pontefice pone l'accento su alcune tematiche importanti
Le frasi più belle di Papa Francesco in Mongolia
Foto di Remo Casilli
L'impegno pastorale che rischia di diventare sterile erogazione di servizi, il vescovo visto come manager: ecco alcuni rischi dai quali Papa Francesco mette in guardia nei discorsi in Mongolia
Durante il suo viaggio apostolico in Mongolia, Papa Francesco ci ha regalato delle frasi molto significative. Ecco le più belle.

Nel pomeriggio di sabato 2 settembre, parlando a sacerdoti e religiosi, Francesco li ha invitati a guardare al punto da cui tutto è nato:
«Al tempo stesso vi invito a gustare e vedere il Signore – gustare e vedere il Signore –, vi invito a tornare sempre e di nuovo a quello sguardo originario da cui tutto è nato. Senza di esso, infatti, le forze vengono meno e l’impegno pastorale rischia di diventare sterile erogazione di servizi, in un susseguirsi di azioni dovute, che finiscono per non trasmettere più nulla se non stanchezza e frustrazione. Invece, rimanendo a contatto con il volto di Cristo, scrutandolo nelle Scritture e contemplandolo in silenzio adorante – in silenzio adorante – davanti al tabernacolo, lo riconoscerete nel volto di quanti servite e vi sentirete trasportati da un’intima gioia, che anche nelle difficoltà lascia la pace nel cuore.»

Un vescovo cardinale, così siete più vicini a Pietro

«Vi invito a vedere nel vescovo non un manager, ma l’immagine viva di Cristo buon Pastore che raduna e guida il suo popolo; un discepolo colmato del carisma apostolico per edificare la vostra fraternità in Cristo e radicarla sempre più in questa nazione dalla nobile identità culturale. Il fatto, poi, che il vostro Vescovo sia Cardinale vuol essere un’ulteriore espressione di vicinanza: voi tutti, lontani solo fisicamente, siete vicinissimi al cuore di Pietro; e tutta la Chiesa è vicina a voi, alla vostra comunità, che è veramente cattolica, cioè universale, e che attira la simpatia di tutti i fratelli e le sorelle sparsi nel mondo verso la Mongolia, in una grande comunione ecclesiale.»

La comunione non è una strategia, è una questione di fede nel Signore

«E sottolineo questa parola: comunione. La Chiesa non si comprende in base ad un criterio puramente funzionale: no, la Chiesa non è una ditta funzionale, la Chiesa non cresce per proselitismo, come ho detto. La Chiesa è un’altra cosa. La parola “comunione” ci spiega bene cos’è la Chiesa. In questo corpo della Chiesa, il vescovo non fa da moderatore delle diverse componenti magari basandosi sul principio della maggioranza, ma in forza di un principio spirituale, per cui Gesù stesso si fa presente nella persona del vescovo per assicurare la comunione nel suo Corpo mistico. In altre parole, l’unità nella Chiesa non è questione di ordine e di rispetto, e nemmeno una buona strategia per “fare squadra”; è questione di fede e di amore al Signore, è fedeltà a lui. Perciò è importante che tutte le componenti ecclesiali si compattino intorno al vescovo, che rappresenta Cristo vivo in mezzo al suo Popolo, costruendo quella comunione sinodale che è già annuncio e che tanto aiuta a inculturare la fede.

Discepoli-missionari intorno alla Madre vicina agli scarti della società 

«Carissimi, in questo cammino di discepoli-missionari avete un sostegno sicuro: la nostra Madre celeste, che – mi è piaciuto tanto scoprirlo! – ha voluto darvi un segno tangibile della sua presenza discreta e premurosa lasciando che si trovasse una sua effigie in una discarica. Nel luogo dei rifiuti è comparsa questa bella statua dell’Immacolata: lei, senza macchia, immune dal peccato, ha voluto farsi così vicina da essere confusa con gli scarti della società, così che dallo sporco della spazzatura è emersa la purezza della Santa Madre di Dio, la Madre del Cielo.»
 
Parlando sabato mattina alle autorità mongole, papa Francesco prende spunto da Ger, la tenda dei nomadi per parlare del senso religioso: 

«Ho saputo che dalla porta della Ger, di prima mattina, i bambini delle vostre campagne stendono lo sguardo sul lontano orizzonte per contare i capi di allevamento e riferirne il numero ai genitori. Fa bene anche a noi abbracciare con lo sguardo l’ampio orizzonte che ci circonda, superando la ristrettezza di vedute anguste e aprendoci a una mentalità dal respiro globale, come invitano a fare le ger che, nate dall’esperienza del nomadismo delle steppe, si sono diffuse su un territorio vasto, divenendo elemento identificativo di diverse culture vicine.
Entrati in una ger tradizionale, lo sguardo è portato a elevarsi verso il punto centrale più alto, dove c’è una finestra sul cielo. Vorrei sottolineare questo atteggiamento fondamentale che la vostra tradizione ci aiuta a riscoprire: saper tenere gli occhi rivolti in alto. Alzare gli occhi al cielo – l’eterno cielo blu da voi sempre venerato – significa restare in un atteggiamento di docile apertura agli insegnamenti religiosi. C’è infatti una profonda connotazione spirituale tra le fibre della vostra identità culturale ed è bello che la Mongolia sia un simbolo di libertà religiosa. Nella contemplazione degli orizzonti sterminati e poco popolati da esseri umani, si è affinata infatti nel vostro popolo una propensione al dato spirituale, a cui si accede dando valore al silenzio e all’interiorità.»

La libertà religiosa aiuta il progresso di una comunità 

«Di sguardo verso l’alto e di ampie vedute furono invece protagonisti molti dei vostri leader antichi, i quali dimostrarono una non comune capacità di integrare voci ed esperienze diverse, anche dal punto di vista religioso. Un atteggiamento rispettoso e conciliante era infatti riservato anche alle molteplici tradizioni sacre, come testimoniano i diversi luoghi di culto – tra cui uno cristiano – tutelati nell’antica capitale Kharakhorum. È stato dunque quasi naturale per voi arrivare alla libertà di pensiero e di religione, sancita dalla vostra attuale Costituzione; superata, senza spargimento di sangue, l’ideologia atea che credeva di dover estirpare il senso religioso, ritenendolo un freno allo sviluppo, vi riconoscete oggi in quel valore essenziale dell’armonia e della sinergia tra credenti di fedi diverse, che – ognuna dal proprio punto di vista – contribuiscono al progresso morale e spirituale.»

Il contributo della piccola comunità cattolica

«In tal senso, la comunità cattolica mongola è lieta di continuare ad apportare il proprio contributo. Essa ha cominciato, poco più di trent’anni fa, a celebrare la sua fede proprio all’interno di una gere pure la cattedrale attuale, che si trova in questa grande città, ne ricorda la forma. Sono segni del desiderio di condividere la propria opera, in spirito di servizio responsabile e fraterno, con il popolo mongolo, che è il suo popolo. Sono perciò contento che la comunità cattolica, per quanto piccola e discreta, partecipi con entusiasmo e con impegno al cammino di crescita del Paese, diffondendo la cultura della solidarietà, la cultura del rispetto per tutti e la cultura del dialogo interreligioso, e spendendosi per la giustizia, la pace e l’armonia sociale.» 

Per camminare serve lo sguardo rivolto verso il cielo

Parlando, domenica 3 settembre 2023, ai rappresentanti delle altre religioni, papa Francesco si è soffermato ancora una volta sul senso religioso dell’uomo.
«L’umanità, nel suo anelito religioso, può essere paragonata a una comunità di viandanti che cammina in terra con lo sguardo rivolto al cielo. È significativo in proposito quanto un credente, venuto da lontano, affermò della Mongolia, scrivendo che vi viaggiò “Non vedendo niente se non cielo e terra”[1]. Il cielo, così limpido, così azzurro, qui abbraccia infatti la terra vasta e imponente, evocando le due dimensioni fondamentali della vita umana: quella terrena, fatta di relazioni con gli altri, e quella celeste, fatta di ricerca dell’Altro, che ci trascende. La Mongolia ricorda insomma il bisogno, per tutti noi, pellegrini e viandanti, di volgere lo sguardo verso l’alto per trovare la rotta del cammino in terra.» 

La Chiesa offre il suo tesoro a tutti gli uomini

«Io vorrei confermarvi che la Chiesa cattolica vuole camminare così, credendo fermamente nel dialogo ecumenico, nel dialogo interreligioso e nel dialogo culturale. La sua fede si fonda sull’eterno dialogo tra Dio e l’umanità, incarnatosi nella persona di Gesù Cristo. Con umiltà e nello spirito di servizio che ha animato la vita del Maestro, venuto nel mondo non «per farsi servire ma per servire» (Mc 10,45), la Chiesa oggi offre il tesoro che ha ricevuto ad ogni persona e cultura, rimanendo in atteggiamento di apertura e ascolto di quanto le altre tradizioni religiose hanno da offrire. Il dialogo, infatti, non è antitetico all’annuncio: non appiattisce le differenze, ma aiuta a comprenderle, le preserva nella loro originalità e le mette in grado di confrontarsi per un arricchimento franco e reciproco. Così si può ritrovare nell’umanità benedetta dal Cielo la chiave per camminare sulla terra. Fratelli e sorelle, abbiamo un’origine comune, che conferisce a tutti la stessa dignità, e abbiamo un cammino condiviso, che non possiamo percorrere se non insieme, dimorando sotto il medesimo cielo che ci avvolge e ci illumina.» 

Siamo un deserto, dentro di noi una sete di felicità

Nell’omelia della messa domenicale alla Steppe Arena il papa ha svolto il tema: la sete che ci abita e l’amore che ci disseta.
«Il salmista grida a Dio la propria arsura perché la sua vita assomiglia a un deserto. […] Il deserto evocato dal salmista si riferisce, dunque, alla nostra vita: siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, di un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività che portiamo avanti ogni giorno; e soprattutto siamo assetati di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene – l’amore ci fa stare bene –, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita. Cari fratelli e sorelle, la fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati: no! Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi.»

Gesù vuole condividere la nostra vita, la nostra sete di felicità

«Questo è il contenuto della fede cristiana: Dio, che è amore, nel suo Figlio Gesù si è fatto vicino a te, a me, a tutti noi, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità. È vero, a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua, ma è altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità. Quest’acqua ce la dona Gesù.»

Solo l’amore disseta l’uomo

«Al cuore del cristianesimo c’è questa notizia sconvolgente, notizia straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità in servizio, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene. E abbiamo bisogno di pace interiore. Questa è la verità che Gesù ci invita a scoprire, che Gesù vuole svelare a voi tutti, a questa terra di Mongolia: non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici: no! Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia. E questa è la via che Gesù ci ha insegnato e ha aperto per noi.»

Dove c’è accoglienza si respira il profumo di Cristo

Lunedì 4 settembre 2023, prima di ripartire per Roma, papa Francesco ha inaugurato e benedetto la Casa della Misericordia, un’iniziativa di carità della Chiesa mongola destinata all’accoglienza dei più poveri. 
«Eccoci dunque dentro questa casa che avete costruito e che oggi ho la gioia di benedire e inaugurare. È un’espressione concreta di quel prendersi cura dell’altro in cui i cristiani si riconoscono; perché dove c’è accoglienza, ospitalità e apertura all’altro si respira il buon profumo di Cristo (cfr 2 Cor 2,15). Lo spendersi per il prossimo, per la sua salute, i suoi bisogni primari, la sua formazione e la sua cultura, appartiene fin dagli inizi a questa vivace porzione del Popolo di Dio. Da quando i primi missionari sono arrivati a Ulaanbaatar negli anni novanta, hanno sentito subito l’appello alla carità, che li ha portati a prendersi cura dell’infanzia derelitta, di fratelli e sorelle senza fissa dimora, dei malati, delle persone con disabilità, dei carcerati e di quanti nella loro condizione di sofferenza chiedevano di essere accolti.»

Casa della Misericordia: è la definizione della Chiesa

«Casa della Misericordia. In queste due parole c’è la definizione della Chiesa, chiamata a essere dimora accogliente dove tutti possono sperimentare un amore superiore, che smuove e commuove il cuore: l’amore tenero e provvidente del Padre, che ci vuole fratelli, ci vuole sorelle nella sua casa. Auspico allora che possiate trovarvi tutti attorno a questa realizzazione, che le varie comunità missionarie vi partecipino attivamente, impegnando personale e risorse.»

[1] Guglielmo di Rubruk, Viaggio in Mongolia, XIII/3, Milano 2014, 63