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30 Giugno 2021

Lingua dei segni: sarà insegnata al Liceo?

Ultima in Europa, l'Italia ha riconosciuto la propria lingua dei segni. Ora servono i decreti attuativi perché sia conosciuta e usata.
Lingua dei segni: sarà insegnata al Liceo?
Foto di Fizkes
L'italiano ha una propria lingua dei segni, diversa da quella di altri Paesi. Ma solo da poco l'Italia l'ha riconosciuta come una vera lingua. Ora servono i decreti attuativi. Il commento di Patricio Castillo, unico udente in una famiglia di sordi, che di questo riconoscimento ha fatto una missione.
Grazie ad un emendamento al Decreto Sostegni, nelle settimane scorse è stata ufficialmente riconosciuta la Lingua italiana dei segni. È importante specificare “italiana” perché ogni Paese ha una propria lingua dei segni, con una struttura, una morfologia e un vocabolario diversi da quelli di altre nazioni.

«È stata riconosciuta una identità, una cultura»

La lingua dei segni da qualche anno non è più un fenomeno strano o poco conosciuto. A tutti è capitato di partecipare ad un evento o di seguire una trasmissione televisiva in cui c’è l’interprete che traduce per le persone sorde. L’abbiamo visto anche al Festival di Sanremo.
«Il riconoscimento ufficiale - afferma Patricio Alberto Castillo Varela, dagli amici chiamato semplicemente Pato - è molto importante perché è il riconoscimento di una comunità specifica che si esprime con una propria lingua. È stata riconosciuta una identità, una cultura. La legge da poco approvata in Italia è arrivata a rendere giustizia ad anni di attivismo, di lavoro di base, di associazionismo, di battaglie, di marce, di rivoluzioni culturali in tutto il mondo.»
Interprete LIS covid
Patricio Castillo impegnato nella traduzione simultanea in lingua dei segni durante un incontro pubblico

Unico figlio udente in una famiglia di sordi

Pato, cileno residente a San Marino, 47 anni, sa bene cosa vuol dire per i sordi poter avere uno strumento di comunicazione come la LIS, l’acronimo che appunto sta per lingua italiana dei segni. Lui è il solo figlio udente di genitori sordi.
Nei primi anni della sua infanzia la famiglia andò a vivere con i nonni che erano udenti. La circostanza ha consentito che Pato imparasse contemporaneamente lo spagnolo e la lingua cilena dei segni. «Crescendo mi sono accorto che ero un diverso rispetto alla mia famiglia - racconta -. Ci sono stati problemi anche a scuola. Però ho avuto la fortuna di crescere in due mondi diversi, di diventare bilingue.»
Arrivato in Italia ha cominciato a frequentare la comunità sorda di Rimini, ha frequentato i corsi fino al terzo livello, specializzandosi poi anche come interprete. Impegnato nella Comunità Papa Giovanni XXIII, ha collaborato con l'Associazione sordi sanmarinese per promuovere il riconoscimento della LIS a San Marino, avvenuto due anni fa, e continua a impegnarsi su questo fronte.

Una lingua dalla storia antica

«La lingua dei segni è diventata visibile di recente - prosegue Pato - ma ha una storia antica. Negli ultimi anni si è affermata anche una sorta di Deaf Pride, di orgoglio sordo. Tutto nasce negli anni Ottanta negli Stati Uniti dove all’università di Gallaudet sono tutti sordi, studenti, bidelli, docenti. In quel periodo c’era un rettore udente: lo hanno mandato via per averne uno sordo, che capisse meglio i loro problemi, che condividesse le loro situazioni. Ma se si vuole andare indietro nel tempo un evento fondamentale è stato il congresso di Milano del 1880 dove Gallaudet, quello dell’università americana, sostenne che per i sordi i segni sarebbero stati aiuti molto preziosi per comunicare. Andando ancora più indietro arriviamo al Cinquecento, in Spagna, dove l’abate Ponce de Leon insegnò a due figli sordi del conestabile di Castiglia. Poi nel Settecento in Francia abbiamo Michel de l'Epée, anche lui abate, che fece ulteriori passi verso la lingua dei segni.»
Le battaglie per il riconoscimento giuridico della lingua dei segni sono invece dei nostri anni Duemila. Solo l’Italia mancava ancora all’appello in Europa.

Cosa cambia con il riconoscimento della lingua dei segni

Ed ora questo riconoscimento che effetti pratici avrà?  «Il primo risvolto pratico – spiega Pato - è la diffusione di questa lingua nelle agenzie, nelle strutture dove si trasmette la cultura, dove si insegna. Potrebbe essere la volta buona che, come già accade in Cile, si possa includere la Lis come lingua da insegnare a scuola. Nei licei linguistici potrebbe essere introdotta al pari di un’altra lingua, accanto all’inglese, al francese, ecc. Finora si faceva ricorso alle legge 104 sull’handicap, ma non sempre in tutte le scuole veniva applicata, o per mancanza di fondi o per altre ragioni burocratiche.»
Quindi il riconoscimento giuridico più che un traguardo è la tappa di un cammino. È solo il seme di una pianta che deve crescere.
«Sì - osserva Pato - questo è importantissimo ricordarlo. Come per altre leggi, occorrono i decreti attuativi, che realizzino il diritto stabilito nella concretezza delle diverse situazioni. Questi decreti attuativi devono incrementare la vita e i diritti di una minoranza culturale, come è giustamente considerata dal punto di vista sociologico e antropologico la comunità sorda.»