A marzo il Coronavirus arriva anche in Bangladesh, probabilmente portato dai bengalesi rientrati dall'Europa, e mette in ginocchio un Paese già provato dalla miseria.
Vi scrivo dal Bangladesh, dalla nostra grande missione, il Villaggio a Chalna, che dista 300 km da Dhaka, la capitale. Anche noi siamo in quarantena dalla metà di marzo poiché i primi giorni del mese sono stati registrati i primi tre pazienti ufficiali. Qui nel Villaggio siamo 95 in totale con un numero considerevole di bambini e disabili sia fisici che psichici. Siamo tre missionari e una fisioterapista volontaria italiana e i membri della Comunità e i volontari bengalesi che ci aiutano nella gestione delle persone accolte.
Come gran parte del mondo anche il Bangladesh è stato colpito dal Coronavirus. Il Bangladesh è un Paese molto popoloso: la sua superficie è circa la metà di quella dell’Italia, ma la sua popolazione è quasi il triplo di quella italiana. Ha poche risorse ed è segnato fortemente dai cambiamenti climatici, la gente è in condizioni di grande miseria. Anche se ha visto una forte industrializzazione a partire dagli anni 2000, gran parte del sistema industriale, per lo più tessile, trova la sua forza nella manodopera a basso costo. Molte materie prime provengono dalla Cina e il prodotto terminato è spesso venduto in occidente (Europa e Stati Uniti), proprio per questo il colpo economico dato dal coronavirus si preannuncia particolarmente devastante per l’economia bengalese.
Alcune fabbriche del settore tessile si sono riconvertite con prodotti per la protezione individuale mentre altre hanno chiuso e sono moltissimi gli operai che hanno perso il lavoro, dal momento che non esistono particolari garanzie a livello di contratto.
Com’è arrivato il coronavirus in Bangladesh
Periferia di Dhaka in Bangladesh
Foto di Elisa Pezzotti
Il 26/03/2020, in maniera determinata, il governo bengalese ha imposto il lockdown totale con la chiusura di porti e aeroporti ai passeggeri: molti bengalesi hanno però avuto il tempo di rientrare in patria dall’Europa, portando con sé in alcuni casi il temuto virus. Il Bangladesh ha il primato di essere il Paese a più alta densità di popolazione del mondo e per il cittadino medio la casa è una piccolissima capanna e culturalmente la vita si svolge all’esterno e a contatto con gli altri. Nonostante questo la polizia e l’esercito hanno imposto alle persone di non muoversi. Considerato che la maggior parte della popolazione non ha un contratto di lavoro e lavora a giornata, la conseguenza di queste restrizioni è stata pesantissima su tante persone: hanno iniziato a patire la fame, visto che ognuno acquista il cibo necessario per sfamarsi per quel giorno, in base a ciò che guadagna.
Le strutture sanitarie del Paese, già al collasso in situazioni normali, in questa emergenza vivono situazioni inimmaginabili. Dalla comparsa dell’epidemia già 180 medici sono risultati infetti e per questo è sempre più difficile trovare personale sanitario che sia disposto a visitare i pazienti. Molti medici sono scappati abbandonando il posto di lavoro e rifugiandosi in casa spaventati dalla completa mancanza di protezioni. Tante cliniche private, che normalmente sostengono il sistema sanitario pubblico, sono state chiuse per paura del contagio.
Come viviamo la quarantena in Bangladesh
All’interno della missione, noi missionari abbiamo da subito attivato buone pratiche igieniche e l’isolamento, l’unico contatto con l’esterno è la spesa che ci viene consegnata al cancello. Alcune donne che lavorano presso la mensa e alcuni guardiani hanno scelto di vivere con noi questo tempo di quarantena e ci aiutano nella gestione della quotidianità. I bambini e i ragazzi seguono le lezioni sulla televisione statale. Nonostante questo non mancano le difficoltà nel gestire i nostri ragazzi, abituati ad una routine scandita e chiara col supporto degli educatori e senza i quali si acutizzano i loro disturbi psichiatrici.
Nostro malgrado, siamo stati obbligati a sospendere tutti i nostri progetti esterni: l’asilo, il doposcuola, le classi speciali, la fisioterapia, l’ambulatorio, l’assistenza nutrizionale ai neonati, la mensa.
Abbiamo continuato a elargire gli stipendi a tutti i dipendenti legati ai progetti e il sostegno economico ai nostri studenti universitari, ma sono comunque centinaia i poveri che si sono visti sospendere il sostegno della Comunità da un giorno all’altro. Dopo un primo momento di incertezza sulle modalità di azione ci siamo organizzati per fornire un sostegno alimentare e prodotti per l’igiene a tutti i beneficiari dell’adozione a distanza e a quelle situazioni particolarmente vulnerabili.
Come sostenere i missionari in Bangladesh
Da subito abbiamo attivato l’adorazione eucaristica per tutta la giornata, organizzandoci con dei turni, perché è proprio nella prova che ci è richiesto di stare in ginocchio. Il Governo ha deciso per il momento di mantenere lo stato di lockdown per tutto il Ramadam (che è iniziato il 25 aprile) e fino al termine delle prossime festività mussulmane con la celebrazione dell’Eid al Fitr prevista per fine maggio.
Noi continuiamo a pregare e chiediamo anche a voi di pregare per il popolo bengalese perché si fermi il contagio in questo contesto così fragile. Per chi volesse aiutarci in questo momento di emergenza, può sostenerci tramite le adozioni a distanza, con cui aiutiamo attualmente più di 500 bambini e ragazzi delle famiglie più povere.