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29 Novembre 2022

Cristiani e yazidi non tornano a casa

Nord dell'Iraq, ottobre 2022. Viaggio esplorativo nelle terre liberate al Daesh
Cristiani e yazidi non tornano a casa
Foto di Antonio De Filippis
Alcuni missionari e volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII, che è presente a Baghdad dove opera al fianco delle persone con disabilità, hanno incontrato gli sfollati del Nord del Paese. Qui un tempo vivevano le prime comunità cristiane. Dopo le persecuzioni organizzate dal Daesh, e la liberazione del 2017, solo in pochi hanno deciso di ritornare a cercare la propria casa e provare a ricostruirsi una vita, in questa terra arida.
Il nord Iraq, a differenza del Centro-Sud del Paese, vive una maggiore instabilità politica. Il governo centrale, con le sue divisioni interne, non è in grado di garantire un efficace controllo del territorio, cosi in queste terre sono presenti i curdi della Turchia del Pkk, bombardati dall’aviazione turca, le milizie sciite filo iraniane, i membri dell’Isis (Leggi Daesh, ndr) spalmati capillarmente nei tanti campi profughi, e mimetizzati tra la gente. In questa parte di territorio ci sono anche campi di profughi siriani.
Italiani in visita nel campo profughi iraqueno
Campo profughi di Esyan, in visita fra gli sfollati Yazidi
Foto di Antonio De Filippis

Nonostante il governo centrale abbia liberato dall’Isis questi territori nel 2017, la maggioranza di quanti sono dovuti scappare (yazidi, cristiani e musulmani) vive ancora nei campi profughi di cui è disseminato il nord dell’Iraq, perché al loro interno si sente protetta e gode di aiuti che altrimenti perderebbe. Una minoranza, appartenente alle classi medio e alte si è trasferita nei paesi occidentali, una piccola percentuale ha provato a rientrare nelle proprie case. I rientri sono pochi oltre che per l’insicurezza del territorio, anche per la mancanza di qualsiasi aiuto in caso di rientro. Il problema maggiore è la mancanza di lavoro e di prospettive di sviluppo.

Nella parte Nord-Est dell’Iraq c’è il Kurdistan, territorio in cui vivono i curdi iracheni, che gode di una ampia autonomia. Qui si respira stabilità politica, relativa calma, qui operano tutte le ong.  Anche qui ci sono tanti campi profughi. Nei pochi giorni in cui siamo stati abbiamo incontrato il popolo yazide e i cristiani rientrati nella Piana di Ninive.

Incontriamo il popolo yazide

Visita al IDP campo di Esyan di sfollati Yazidi.

E’ composto da 2500 famiglie tutte provenienti da Sinjar. In Duhoc ci sono altri 14 campi per Yazidi e 5 campi per siriani.  Chi ha potuto si è spostato all’estero o in altra sede.  Il 90% di loro ancora nei campi. Il campo è uno spazio protetto e sovvenzionato: chi è al campo può cercarsi lavoro fuori. Nel campo fatto di piccole strutture in muratura e di tende, tutti usufruiscono gratuitamente di elettricità e di acqua. Ricevono aiuti da Wfp, Unhcr, Caritas, dal governo curdo che ha piacere che rimangano nei campi così può affermare di avere una popolazione più alta.
Papà con bambino in un campo profughi nel Nord dell'Iraq
Campo profughi di Esyan, in visita fra gli sfollati Yazidi
Foto di Antonio De Filippis

Dentro al campo c’è la scuola fino a 18 anni. Per il resto i profughi devono provvedere con il loro lavoro. Devono pagarsi il cibo vestiti e altro così i maschi adulti si spostano nei vari luoghi del Kurdistan per cercare impiego.  

Al campo ci sono 126 disabili. Non fanno niente, ci sono sia piccoli che adulti. Non c’è nessuno che faccia delle attività con loro, se non una piccola associazione.

Visita al Tempio di Lalesh, cuore della religione yazida.

Una breve e intensa visita a questo sito. La religione che caratterizza questo popolo ha origine antichissime pre cristiane e preislamiche. Incontriamo il responsabile del Jrs (Jesuite Refugee Service) molto coinvolto nel sostegno agli Yazidi.
Archi di ingresso in mattoni al Tempio di Lalesh
Ingresso nell'area del Tempio di Lalesh
Foto di Antonio De Filippis

Gli yazidi sono un gruppo religioso minoritario, la cui maggioranza vive nel nord dell'Iraq, principalmente nel Governatorato di Niniveh, oltre che in Siria e in Turchia. Gli yazidi sono prevalentemente di etnia curda e parlano un dialetto condiviso della lingua curda chiamato Kurmanji. Quella degli yazidi è una religione chiusa, che non accetta la conversione di persone estranee alla sua fede. 

Due donne vestite di nero con foulard bianco.
Donne nel Tempio di Lalesh.
Foto di Antonio De Filippis
Nell'agosto 2014, dopo che l'Isis ha attraversato il confine dalla Siria, circa 400.000 yazidi  su 450.000 circa sono stati catturati, uccisi o costretti a fuggire dalla loro patria situata a nord ovest dell’Iraq. Le Nazioni Unite hanno riconosciuto il trattamento riservato agli yazidi come genocidio.  Attualmente si ha notizia di circa 45.000 di loro. Appena hanno i soldi iniziano il viaggio da clandestini verso l’Europa, diventando nuovamente vittime.

Il popolo yazida è diviso in caste, come in India. La situazione delle donne è molto difficile, anche perché i maschi si possono sposare innumerevoli volte, senza limite di numero.

I bambini rapiti dall’Isis sono dovuti diventare bambini soldato. Hanno ucciso tagliando le gole alle loro vittime. Finita la guerra, anche alla luce della complessità della propri situazione, molti di loro sono rimasti legati all’Isis.  Dopo 8 anni di vita jaidista, quando e se tornano a casa, sono considerati membri dell’Isis, parlano solo arabo e hanno molti problemi con la comunità di provenienza: solo i ragazzi più grandi ricordano che precedentemente erano parte della comunità yazida, i più piccoli non hanno questi ricordi.

Le ragazze e le donne sono dovute diventare schiave del sesso, spose dell’Isis, costrette anche a costruire bombe e ad uccidere.

Molti adolescenti fanno ancora parte dell’ll’Isis, 3000 - 4000 di loro sono dispersi. Molti maschi tra i 20 e i 40 anni sono tornati tra le file dell’Isis. L’isis è più punti del nord Iraq e della Turchia. I suoi membri si nascondono in tutti i campi mimetizzandosi tra i profughi.

Le donne stuprate devono lasciare i figli dello stupro perché così chiede la loro religione e così impone il governo iracheno, se vogliono ottenere documenti regolari. I figli, abbandonati a se stessi, aiutati un po' dalle ong, da Jrs, spesso vivono per strada. Capita di incontrarli Mosul e altrove.  A volte le mamme preferiscono rintracciare i propri figli e riunirsi a loro.

Il Jrs (dei Padri gesuiti) fa un intenso lavoro psicologico e riabilitativo con i ragazzi e i giovani per farli rientrare dall’esperienza traumatica, in un percorso che dura 1 o 2 anni e che vede coinvolti psicologi, social workers, con cui oltre a percorsi psicoterapici fanno anche attività artistiche e sportive. Per queste persone è importante provare a condividere le storie, rielaborarle, non tenerle dentro, per quanto possibile. In 1 o 2 anni i ragazzi possono cambiare, ma perché questo cambiamento avvenga c’è bisogno di molto amore: una relazione intensa nei loro confronti li può aiutare a staccarsi lentamente dai loro mentori dell’Isis, con cui sono comunque in contatto e a scegliere definitamente il cambiamento e la chiusura con il passato.

I due centri principali degli yazidi sono ad Ovest del Paese, nelle città di Sinjar e di Snuny. Proprio da qui molti di loro sono stati cacciati dall’Isis; perché adesso non rientrano a casa? Perché c’è molta insicurezza e instabilità politica. Turchia, Iraq, Iran, Siria non vogliono che gli yazidi tornino a Sinjar. Inoltre se lasciano i campi profughi non potranno più usufruire di nessun aiuto. In Iraq ci sono un sacco di divisioni; nessuno vuole coinvolgersi con gli yazidi.

Libri consigliati:

  • Nadia Murad (Yazida, Nobel per la pace 2018) L’ultima ragazza;
  • Patrick Desbois The terrorist Factory.

Visita piana di ninive: villaggi di Karakosh, Karemless, Bartella

La Piana di Ninive è famosa per essere un territorio che ha visto una grande presenza dei cristiani fin dai primissimi secoli del cristianesimo. Cristiani di lingua siriaca, di tradizione siro cattolica e caldeo-cattolica. Attualmente pochi di loro sono rientrati. Come per gli azidi, quanti hanno potuto sono scappati all’estero, alcuni sono tornati, molti vivono ancora nei capi profughi.

Qaraqosh.

A Qaraqosh abbiamo visitato il centro pastorale della chiesa siro-cattolica San Paul di cui è responsabile padre Bashar, dove si fa attività di catechesi ma anche di laboratori lingua siriaca e di inglese, artistici e di disegno. A questi laboratori partecipano giovani cristiani e musulmani. Il centro St. Paul è stato distrutto dall’Isis e da poco rifatto nuovo. Qui c’è anche Radio Peace Voice, radio cattolica.
Campanile crollato a Qaraqosh
Qaraqosh, chiesa cristiana crollata durante l'invasione del Daesh.
Foto di Antonio De Filippis

Visita al centro Khiymat al Mahabba Wa al Faraj.

È un centro voluto dall’arcivescovo caldeo Paulos Faraj Rahho che lo ha aperto nel 1987 contro il parere degli altri vescovi, dicendo che senza l’aiuto ai poveri il vangelo sarebbe stato vuoto. Questo vescovo è stato ucciso in un attentato nel 2008; come un seme che dà vita il centro da lui creato ha aperto tante sedi nel Nord del Paese e nei paesi della diaspora (Usa, Canada, Australia ecc). Il centro è aperto tre giorni la settimana e all’interno si prega, si svolgono attività di fisioterapia, di studio. Poi c'è la merenda.

Visita al centro disabili Saint Joseph center for disability children.

Lo gestiscono le suore Missionary sisters of Mary of the most Blessed Sacrament, una congregazione locale e rientra sotto la diocesi siro-cattolica di Mosul. Abbiamo parlato con Suor Angham. Durante la nostra visita le suore stavano facendo attività con i bambini e i ragazzi disabili, una disabilità non grave che permetteva loro di partecipare alla costruzione di piccoli presepi in legno, candele e tanti altri oggetti che poi vendono. Il centro è aperto da lunedì al giovedì mattina. All’interno si respira un ambiente vivace, vivo, attivo, allegro. La chiesa siro cattolica in generale è la più vivace e capace di agire attivamente con il mondo della disabilità.
Una suora mostra i lavori realizzati dalle persone disabili
Centro educativo per le persone con disabilità a Qaraqosh.
Foto di Antonio De Filippis

Battella.

È un villaggio molto insicuro a causa della presenza di milizie sciite. Qui abbiamo mangiato ospiti della famiglia cristiana di M. A. da poco tempo rientrata a casa, dopo aver trovato rifugio in Kurdistan per qualche anno. Abbiamo ascoltato le preoccupazioni dei genitori per il futuro dei figli, nonostante al momento abbiano tutti un lavoro.

Karamles.

Incontro con parroco caldeo Adday della chiesa di St Adday. A Karamles ci sono 330 famiglie cristiane, 90 musulmane, il clima è tranquillo. Due terzi dei cristiani non sono rientrati: vivono all’estero o in Kurdistan per lavorare. La sfida più grossa è il lavoro e il futuro. Il prete vanta un master in salute pubblica e lavora con i disabili mentali.

Lui, con diversi giovani della parrocchia del centro don Bosco, segue un gruppo di ragazzi disabili dal nome Gioia e Amore promosso da Mons. Warduni. Svolgono diverse attività: il centro propone sport, preghiera, attività di animazione. I ragazzi del centro don Bosco producono miele, fanno candele, rosari, e con il ricavato aiutano i poveri.

Il ritorno agli antichi monasteri

Questo viaggio è stata occasione per visitare alcuni monasteri molto antichi di tradizione siriaco- orientale. Quest’area, che comprende anche parte dell’attuale Siria e dell’attuale Turchia sud-orientale, ha visto nel primo millennio svilupparsi la floridezza di presenza e di vita delle prime comunità cristiane. Il territorio era ai confini dell’impero romano, terra contesa nei secoli tra i romani e i persiani prima, e tra i musulmani e Bisanzio poi. E poi ancora dagli ottomani.
Anfore antiche all'interno dell'area sotterranea del Tempio di Lalesh.
Antiche afore per l'olio, utilizzato per i riti all'interno del Tempio di Lalesh.
Foto di Antonio De Filippis

Resti di queste comunità di lingua siriaca, figlia dell’aramaico parlato ai tempi di Gesù, sono i siro cattolici e i cattolici caldei ancora presenti, a Nord, nella piana di Ninive e un po’ in tutto l’Iraq. I monasteri sono i luoghi di custodia e di diffusione di questa tradizione. Abbiamo visitato il monastero di Mart Barbara a Karamles, il Monastero e convento di Mar Benham e Sara, i monasteri di Rabban Hormidz e di Nostra Signora dei Raccolti ad Alqosh, dell’ordine caldeo antonino di St. Hormizd. Oggi i monaci spesso fanno servizio nelle parrocchie e lavorano sui manoscritti antichi.
Muro diroccato alle cui spalle emerge una statua della Madonna
Edifici diroccati nella Piana di Ninive
Foto di Antonio De Filippis

L'incontro con Caritas: conosciamo Zeyad.

Abbiamo fatto un incontro con Zeyad, un signore iracheno della Caritas della Repubblica Ceca. L’Ong della Comunità Papa Giovanni XXIII, Condivisione tra i Popoli, si è aggiudicata un bando dell’Aics, in partenariato con la Caritas ceca che è l’ente gestore del progetto sul campo. Si tratta di un progetto di sviluppo a favore ei cristiani rientrati nella Piana di Ninive e che vedono nella mancanza di lavoro e di prospettive di sviluppo a livello economico la difficoltà più grande.
Persona anziana seduta sul letto.
Famiglia rientrata a Qaraqosh dopo la liberazione dal Daesh, nella casa da poco restaurata.
Foto di Antonio De Filippis

È un progetto che sta per partire e che vede 240 famiglie vulnerabili coinvolte nella produzione di beni agricoli con metodi e tecniche volte a migliorarne la produzione, la conservazione e la capacità di commercializzazione senza passare da intermediari. Altri 120 capi famiglia saranno coinvolti nella nascita e nella gestione di piccole e medie imprese. Zeyad era molto fiducioso sul buon risultato.

Visita al Monastero Deir Al-Adhra nel Kurdisan della comunità di Padre Paolo Dall’Oglio.

Qui abbiamo trascorso 24 ore. Un’oasi di accoglienza e di pace, di ospitalità senza confini, di incontro e dialogo specialmente con il mondo musulmano, posta nel centro storico della città di Sulaymanya. Molte le attività con i giovani del posto, attività di studio dell’inglese, del curdo, di altre materie a loro utili ma anche attività di teatro e quanto altro. Qui vive padre Jens e sorella Federica che, aiutati da alcuni volontari, animano la vita di questo luogo.