Topic:
17 Gennaio 2022

Tassonomia europea: gas e nucleare tra le energie green?

La Commissione europea inserisce gas e nucleare nella tassonomia UE, etichettandoli come tecnologie verdi per «facilitare la transizione verso un futuro prevalentemente basato sulle energie rinnovabil». In Europa non tutti sono d'accordo.
Tassonomia europea: gas e nucleare tra le energie green?
Foto di Foto di mhollaen da Pixabay
La bozza ora è al vaglio di due gruppi di stakeholders che rappresentano sia delegati degli Stati Membri che esperti tecnici esterni per iniziare un breve periodo di consultazione che si concluderà - forse - entro il mese di gennaio 2022.
L’idea che l’energia nucleare sia indispensabile per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030 — percentuale che ci permetterebbe di centrare l’obiettivo di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi in più rispetto ai livelli preindustriali — continua a circolare da ormai parecchio tempo.

Dobbiamo interrompere il prima possibile la generazione di elettricità da fonti fossili, lo sappiamo, poiché il 35% delle emissioni totali sono prodotte bruciando carbone, gas e petrolio. Per questo motivo, c’è chi pensa che oltre a puntare alla crescita delle fonti da energia rinnovabile sia il caso di annoverare l’energia nucleare tra le fonti “pulite”.

La proposta si è fatta via via più concreta fino a quando la Commissione europea ha pubblicato a fine 2021 una bozza del nuovo atto delegato della tassonomia verde europea - sistema di classificazione che stabilisce quali attività economiche siano ecosostenibili - al fine di includere il gas e il nucleare. La bozza è stata fatta circolare tra due gruppi di stakeholders che rappresentano sia delegati degli Stati Membri (per l’Italia la rappresentanza è in capo al Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze) che esperti tecnici esterni per iniziare un breve periodo di consultazione che si concluderà - forse - entro il mese di gennaio 2022.
 

Nucleare VS Rinnovabili

Quanta CO2 emette una centrale nucleare?

Se ci limitiamo a considerare le emissioni di CO2 in atmosfera, è vero che le centrali nucleari si contraddistinguono per uno dei valori più bassi. Le centrali più recenti, di terza e quarta generazione, emettono — al massimo — 110 grammi di CO2 equivalente per kWh, secondo le valutazioni pubblicate dal gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), contro i 910 del carbone, 650 del gas, 420 delle biomasse.
Addirittura il solare utility-scale, cioè su larga scala, ne emette 180.

Prendendo, però, tutte le altre fonti rinnovabili nella tabella pubblicata dall’Ipcc, notiamo che rispetto al nucleare esistono forme di produzione energetica molto più “leggere”: 79 grammi per un kWh prodotto con il geotermico, 63 per i sistemi di concentrazione solare, 60 per i pannelli fotovoltaici sui tetti, 56 per l’eolico on-shore e 35 per quello off-shore. In sostanza, quindi, possiamo dire che le rinnovabili emettono meno emissioni rispetto all’energia nucleare.

Ma c’è il problema della capillarità delle energie rinnovabili e le loro intermittenze: il solare produce energia quando c’è il sole, l’eolico quando c’è vento. Vero è che si stanno affermando sul mercato sistemi di accumulo, ma per soddisfare il fabbisogno energetico di un’intera nazione quale l’Italia è necessario accelerare l’implementazione di questa tecnologia.

Dove smaltire le scorie radioattive?

Nel frattempo, dal lato dei “nuclearisti”, la centrale nucleare permette di produrre molta energia, come abbiamo appena visto con basse emissioni, e senza interruzioni. Ma un grosso problema mai davvero risolto riguarda lo smantellamento delle scorie. In Italia stiamo vivendo questa problematica proprio in questo periodo storico: la Sogin, la società incaricata dal governo italiano di smantellare le centrali nucleari chiuse in seguito al referendum del 1986, ha pubblicato una mappa per l’individuazione di aree idonee a ospitare il deposito nazionale delle scorie radioattive.

Tutti i territori selezionati si sono ribellati, perché nessuno vuole ospitare le scorie sul proprio territorio.

A quanto appena detto, qualcuno potrebbe obiettare che anche il fotovoltaico produce scarti da smantellare. Questa è ancora una filiera alle sue prime armi, ma già esistono progetti per riciclare materiali di questo tipo, una volta usati.

Invece le scorie nucleari, semplicemente, non sono riutilizzabili. Al momento, in Italia, abbiamo circa 95 mila tonnellate di materiale radioattivo, che a sua volta si divide in 78 mila tonnellate di scorie “a bassa intensità” e 17 mila “ad alta intensità”. Le prime sono scorie che rimarranno radioattive per i prossimi 300 anni circa; per il secondo tipo di scorie ci vorranno migliaia di anni prima che perdano la loro carica radioattiva (tra questi elementi c’è il plutonio, per il quale si calcolano più di 24.000 anni!).

Quanto costa una centrale nucleare?

Anche dal punto di vista economico, lo smantellamento di una centrale nucleare pone una serie di interrogativi: come esempio bastino la centrale americana di Maine Yankee per il cui smantellamento si stanno spendendo 635 milioni di dollari, quando per costruirla ce ne sono voluti 230, 40 anni fa.

Oppure la centrale di Brennilis, in Francia, che attende di essere smantellata dal 1985 e, se tutto andrà bene, la fine dei lavori è data per il 2039 con una spesa di 850 milioni di euro. Edf, la società francese che gestisce lo smantellamento di 9 siti di questo genere, ha calcolato un investimento totale di oltre 3 miliardi di euro. 

E veniamo all’ultimo punto, quello relativo al mantenimento del combustibile. Dal 2009 al 2019, il costo del fotovoltaico al megawattora è diminuito del 89 per cento, passando da circa 300 euro a 30. Nello stesso periodo, un megawattora prodotto da energia nucleare è aumentato di circa il 26%, passando da 105 a 130 euro. Un megawattora, quindi, se prodotto con energia solare costa quattro volte meno rispetto allo stesso megawattora prodotto con il nucleare.

A questi calcoli vanno aggiunti i costi della realizzazione dell’impianto. Qualche anno fa, il nucleare sembrava pronto a vivere il suo revamping grazie ai reattori di quarta generazione che promettevano di riutilizzare le scorie come nuovo carburante, risolvendo in un solo colpo il problema dell’approvvigionamento e del costo dell’uranio e quello dello smaltimento dei detriti radioattivi.

Ma sulla scia dell’incidente di Fukushima, la realizzazione delle centrali di nuova generazione hanno subito rallentamenti e si sono alzati i costi dovuti a una crescente complessità e ai nuovi requisiti di sicurezza. La cosiddetta generazione di reattori III+ avrebbe dovuto avere una progettazione semplice e caratteristiche di sicurezza adatte a evitare il tipo di disastro visto in Giappone. Invece, a distanza di 10 anni, le progettazioni di nuovi reattori sollevano dubbi sul fatto che le scoperte siano troppo complesse e costose da realizzare senza aiuti di stato.
 
E a proposito di aiuti di stato: se i costi sociali e ambientali fossero a carico delle aziende proponenti, invece che sulla collettività (le spese di decommissioning sono infatti inserite sulla bolletta elettrica dei cittadini), allora il nucleare diventerebbe un investimento ancora più a perdere. Così come lo sarebbero tutte le fonti fossili se eliminassimo i sussidi ambientalmente dannosi, che ogni anno “regalano” — almeno in Italia — 20 miliardi a petrolio e gas.

Le centrali nucleari sono sicure?

Al tema delle scorie si aggiunge quello relativo alla sicurezza. L’esplosione della centrale di Chernobyl nel 1986 e il disastro di Fukushima - dove una centrale è stata sommersa da un maremoto - nel 2011 sono ancora lì a ricordarci che il nucleare è sicuro fino a quando non sopraggiungono problemi causati da errori umani o disastri naturali.

E le conseguenze possono protrarsi per un periodo indescrivibile: dopo 35 anni, il raggio di 30 chilometri intorno alla centrale di Chernobyl è ancora inabitabile e il nocciolo della centrale ucraina (che continuerà a bruciare per altri 100 anni), benché chiuso in un sarcofago di cemento armato, continuerà a emettere radiazioni mortali per l’uomo per almeno altri 300 anni (secondo Greenpeace saranno addirittura 20 mila).

L’innalzamento delle temperature, dovuto al cambiamento climatico, metterà sempre di più a dura prova i sistemi di sicurezza delle centrali, sia per via di eventi estremi sempre più frequenti, ma anche per un’altra, importante, ragione: l'aumento delle temperature porterà a un aumento del consumo di acqua, risorsa sempre più scarsa. Le centrali elettriche nucleari, che fanno affidamento su grandi quantità di acqua dolce per il raffreddamento del nocciolo, potrebbero non essere in grado di funzionare al massimo della loro capacità e potrebbero essere costrette a chiudere.

Se il nucleare entra nella tassonomia UE

Insomma, la proposta di inserire l’energia nucleare nella tassonomia verde europea (proposta inizialmente portata avanti da vari soggetti, tra cui la Francia la quale ha presentato, insieme ad altri 9 paesi dell’Europea orientale, una richiesta formale alla Commissione europea) è miope per tutti i motivi appena elencati.

In una sua intervista rilasciata al Corriere della sera il premio nobel Giorgio Parisi, studioso dei sistemi complessi, spiega che «un ritorno al nucleare sarebbe da valutare di paese in paese, ma da escludere in Italia a causa della densità di popolazione. Perché se Chernobyl fosse stata in Val Padana avrebbe provocato milioni di morti».

Piuttosto, per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2050, ci vuole un piano: «serve la lista precisa degli interventi da attuare, eliminare gli sprechi. Non vedo la gente che installa pannelli solari sui tetti. A Roma se facciamo una ricognizione, sui tetti vediamo più piscine che celle solari».