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17 Dicembre 2020

Quei bambini buttati nel cassonetto

Arrestato il padre che aveva abbandonato il neonato in un sacchetto dell'immondizia.
Quei bambini buttati nel cassonetto
Foto di Charles Deluvio
A novembre hanno fatto riflettere i destini di due neonati abbandonati a distanza di pochi giorni. Cosa scatta nella testa di un genitore per arrivare a questo gesto?
Il 5 novembre, a Ragusa, un neonato è stato ritrovato in un cassonetto e si è salvato; il giorno dopo a Trapani un altro neonato è stato lanciato dal balcone e non ce l’ha fatta.
Cos’hanno in comune queste storie?
Genitori che hanno sentito la necessità di sbarazzarsi dei loro figli o almeno di provarci.
Ma cosa scatta nella testa di un genitore per portarlo a compiere un atto tanto disumano e contro natura?
Non si può giudicare, né generalizzare, ma di certo si possono fare delle riflessioni profonde.
I drammatici dati del Rapporto Eures sugli omicidi in ambiente domestico evidenziano che negli ultimi 4 anni, in Italia, una vittima su dieci è un minore e il 6,2% ha meno di 5 anni: 42 bambini assassinati dai genitori. I figlicidi, dopo aver registrato un’inquietante recrudescenza nel 2018 (da 20 a 33), sono scesi a 19 nel 2019, con un’incidenza del 12,1% sul totale. Dalle statistiche sfuggono alle rilevazioni le donne trafficate con gravidanze inaspettate, alle quali poi pongono rimedio i loro ‘protettori’ e tutti neonati abbandonati nei cassonetti…
Don Fortunato Di Noto, che da anni guida l'associazione 'Meter' contro la pedopornografia, parla di bambinicidio, termine per indicare «una strage perpetrata spesso nel silenzio».

Cosa si cela dietro a questi drammi familiari?

Complesse vicende umane accomunano questi neonati e bambini da un lato a causa di una situazione di profonda solitudine e disperazione delle loro mamme e dei loro padri (quando ci sono), dall’altro a causa di un sistema che ha delle falle.
Il filo rosso è la solitudine che genera sentimenti di totale disperazione e nella quale si consumano questi drammi. Ognuna di queste terribili vicende ha le sue circostanze particolari. Ciascuno di questi genitori figlicidi o abbandonici ha la sua storia, le sue crisi, i suoi lati oscuri. Non si può puntare il dito senza provare ad interrogarsi sulle ipotetiche cause comuni di questi drammi e sugli interventi che occorrerebbe mettere in atto. C’è chi parla di ignoranza, chi di gravi problemi economici, ma spesso il fenomeno si presenta trasversale alle diverse classi sociali. Sono genitori e famiglie sole di fronte alle mille criticità di una quotidianità che – proprio perché isolata – si presenta insostenibile e schiacciante.
Si parla spesso di povertà economica, ma la forma di povertà più emergenziale è la povertà relazionale che dilaga e che porta a gesti disperati. Questa desertificazione delle relazioni sociali e la scarsità di strategie e percorsi che favoriscano la vicinanza tra le persone è la nuova emergenza dei nostri giorni.
«Avevo paura di dire ai miei genitori che ero incinta» ha affermato la giovanissima madre trapanese. Viene da chiedersi dove fossero il padre del bambino, i genitori della ragazza, gli amici, i vicini di casa e la scuola. In generale ci si chiede dove fossero la rete sociale primaria (famiglia) e quella secondaria sia formale (istituzioni) che informale (rete di prossimità territoriale: parrocchia, associazioni e le varie realtà di quartiere)
La crisi relazionale che attraversa i contesti sociali contemporanei manifesta la diffusa difficoltà delle persone di oggi a “vivere vicine”. I dati Istat ci dicono che i tassi di fiducia tra le persone sono ai minimi storici (quattro italiani su cinque dichiarano che occorre “stare molto attenti” nei confronti del prossimo). Che negli ultimi trent’anni si è quasi dimezzato il numero di nuclei familiari che ricevono aiuti dai vicini.

In ascolto delle mamme in difficoltà

Con il giusto supporto istituzionale e una rete familiare e di prossimità attenta e pronta molte di queste vicende si sarebbero potute evitare.
Di fronte a tutto questo ci chiediamo quali possano essere le possibili soluzioni e strategie.
Un primo step potrebbe essere l’implementazione di iniziative concrete da parte dei servizi sociali e delle istituzioni per favorire l’incontro, la condivisione, la solidarietà tra gli individui. Centri relazionali intorno ai quali riattivare la prossimità tra le persone.
Molte associazioni e servizi hanno attivato dei numeri verde per l'ascolto e l’aiuto alle gestanti in difficoltà. Quello della Comunità Papa Giovanni XXIII è il seguente 800035.036. maggiore visibilità e conoscenza di tali servizi potrebbe essere un buon supporto.

Parto in anonimato: cos’è?

Oggi poi, grazie al DPR  396/2000 (art. 30, comma 2), esiste il parto in anonimato: una madre può non riconoscere il proprio bambino e lasciarlo nell’ospedale in cui è nato, affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto «nato da donna che non consente di essere nominata». Le madri segrete sono spesso donne giovanissime, che hanno alle spalle vicende familiari e vissuti personali faticosi. Sebbene non siano nelle condizioni di poter accudire il proprio figlio scegliendo il parto in anonimato donando la vita due volte: la prima nel decidere di portare avanti la gravidanza, la seconda recandosi in ospedale per partorirlo, permettendo così al bambino di nascere in sicurezza e vivere amato da una famiglia adottiva. Al neonato non riconosciuto la legge assicura specifici interventi per garantirgli la dovuta protezione: la dichiarazione di nascita, resa entro i termini massimi di 10 giorni dal parto, che attribuisce l’identità anagrafica, l’acquisizione del nome e la cittadinanza.

Le culle per la vita

Le culle per la vita sono un’altra importante forma di tutela del nascituro, ancora troppo poco diffusa. In Italia sono 56, presenti in non tutte le regioni. Un servizio fondamentale che va incontro alla mamma in difficoltà e al nascituro. La culla funziona premendo un pulsante che apre la nicchia dove depositare il neonato e allontanarsi senza essere inquadrati dalle telecamere. Viene rilevata la presenza del neonato all’interno del vano e, attraverso un sensore, viene segnalata la presenza del bambino al personale sanitario. La culla garantisce l’anonimato di chi vi lascia i neonati e una serie di dispositivi (riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo 24 ore su 24) permettono il pronto intervento per la salvaguardia del bambino.