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23 Giugno 2024

San Giuseppe Cafasso

Il 23 giugno la Chiesa celebra il patrono dei carcerati
San Giuseppe Cafasso
«Felici noi se versiamo il nostro cuore dentro quello di Dio»
Nacque nel 1811 a Castelnuovo d’Asti (4 anni prima del compaesano Giovanni Bosco) da una famiglia contadina. Entrò in seminario di Chieri (TO) per uscirvi sacerdote nel 1833, a 22 anni. Viene accolto dal teologo Luigi Guala nel convitto ecclesiastico da lui aperto a Torino, il quale lo spinse a compiere opera di catechesi verso i giovani muratori e i carcerati, poi lo volle a fianco nella cattedra di teologia morale. Nei 24 anni di insegnamento formò molti sacerdoti e si dedicò ai carcerati e ai condannati a morte. Dal 1841 al 1860 fu direttore spirituale di Giovanni Bosco e lo aiutò moralmente e materialmente nella sua missione. Dopo una breve malattia morì all’età di appena 49 anni il 23 giugno del 1860. Pio XII lo riconobbe modello di vita sacerdotale, padre dei poveri, consolatore degli infermi, sollievo dei carcerati, salute dei condannati al patibolo e lo canonizzò nel 1947. È patrono dei carcerati e la Chiesa lo festeggia e ricorda il 23 giugno.

Nelle esecuzioni capitali, si vedeva a Torino un pretino piccolo e gobbo seguire il condannato, parlargli, salire con lui sul patibolo, abbracciarlo ed esserne abbracciato: era don Giuseppe Cafasso, denominato per questo “il prete della forca”. Come ha detto Papa Benedetto XVI: «Egli usava immensa misericordia, possedendo un’intuizione prodigiosa dei cuori e trattava i suoi “santi impiccati” come galantuomini, tanto che il colpevole sentiva così forte l’amore paterno da piegarsi e desiderare di morire per arrivare presto in Paradiso con Gesù, come il buon ladrone, crocefisso sul Calvario. Don Giuseppe conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico. Nella Torino ottocentesca i carcerati vivevano in luoghi disumani e disumanizzanti e lui fu sempre il buon pastore, comprensivo e compassionevole: qualità percepita dai detenuti, che finivano per essere conquistati da quell’amore sincero, la cui origine era Dio stesso».
Direttore di anime, consigliere di vita ascetica ed ecclesiastica, formatore di sacerdoti, a loro volta formatori di altri preti, religiosi e laici, non ha fondato alcuna congregazione o istituto religioso, ma è ricordato per la forza di ciò che è stato.

Per tutti, anche per gli increduli, un incontro con don Giuseppe segnava una svolta della vita.
Giovanni Bosco lo definì: “Modello di vita sacerdotale” e Papa Benedetto XVI ha riferito quanto sopra riportato proprio in chiusura dell’anno sacerdotale, nel 2010.
Don Giuseppe amava in modo totale il Signore, era animato da una fede ben radicata, sostenuto da una profonda e prolungata preghiera. Il suo segreto era semplice: essere un uomo di Dio che, nelle piccole azioni quotidiane, desidera dargli gloria, proprio secondo il consiglio di san Paolo ai Colossesi: «Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l’eredità. Servite a Cristo Signore» (Col 3,23).