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12 Luglio 2022
Ultima modifica: 12 Luglio 2022 ore 08:57

Sopravvissuta

La storia vera di un inferno domestico diventato malattia psichica
Sopravvissuta
Abusata e maltrattata dal padre fin da quando aveva 3 anni, Antonella ha un disturbo della personalità e vari disturbi psicosomatici. Ritrovare fiducia in se stessa e nella vita è stato possibile solo attraverso una rete sociale di supporto.
Lviolenza sulle donne è un fenomeno diffuso e sempre più rilevante anche se sommerso. È anche uno dei fattori che influiscono più pesantemente e negativamente sulla salute psicofisica della donna. La violenza è un’esperienza traumatica, legata spesso ad un vissuto d’impotenza nei confronti del maltrattante. Per questo il percorso di uscita dalla violenza consiste in un cammino lungo e difficile che le donne riescono ad intraprendere solo dopo aver raggiunto un alto grado di consapevolezza. Infatti, in molti casi, è compito degli operatori cogliere i “segnali sottotraccia” della violenza perché non sempre la donna ha la forza di far emergere la situazione o di denunciare il suo aggressore.
E se, i maltrattamenti e gli abusi iniziassero già nell’infanzia, quali conseguenze a breve e a lungo temine può determinare una violenza di questo tipo? Come si può sostenere una donna che ha subito questo genere di violenze e accompagnarla verso una vita piena e soddisfacente, nonostante tutto?
Ecco la testimonianza di una giovane donna, abusata fin da bambina, che racconta la sua storia, il suo percorso fatto di alti e bassi, di incertezze e di rabbia, però sicuramente di tanto coraggio e tanta voglia di vivere.

La storia di Antonella, abusata fin da piccola

«Mi chiamo Antonella e sono una sopravvissuta. 
Scrivo questa testimonianza per aiutarmi a tirare fuori tutto lo schifo che ho dentro, ma lo faccio con serenità perché voglio condividere la mia esperienza per essere d’aiuto a persone che magari hanno vissuto cose simili ma non riescono ad elaborarlo.
Quando ero piccola, io e il mio fratellino siamo stati abusati da nostro padre.
Ha iniziato quando io avevo 3 anni e mio fratello solo 1 anno, e l’incubo è continuato fino a quando ho compiuto 6 anni d'età. Nel momento in cui ho raccontato questa cosa ad alta voce, mi hanno allontanata da casa e mi hanno affidata ad altri genitori. Mi ricordo che c’è stato un processo lunghissimo in cui io ho dovuto anche testimoniare; è stato orribile, io mi ero nascosta sotto al tavolo e parlavo da lì. Comunque, alla fine mio padre ha pagato per ciò che ci ha fatto ma mio fratello è rimasto insieme a mia madre e di questo ancora mi sento in colpa».
 
Il padre di Antonella, che era una guardia giurata incensurata, ha fatto un brevissimo periodo in carcere e poi è stato messo agli arresti domiciliari; ha pagato una multa e ha perso la patria potestà; la madre invece, dopo un breve periodo in una comunità madre-bambino insieme al figlio più piccolo, è tornata a vivere in autonomia, trovando altri compagni violenti fino a quando anche il figlio più piccolo le è stato tolto. Antonella ancora non riesce a perdonarsi di non aver salvato prima suo fratello che oggi ha un ritardo mentale grave e disturbi psichiatrici invalidanti dovuti agli abusi fisici e psicologici che ha subìto nei suoi primi anni di vita. 
Noi potremmo pensare: «Ma lei cosa poteva fare? Era una bambina!». Eppure i sensi di colpa e la vergogna sono degli stati emotivi molto diffusi tra le persone abusate e se non vengono prontamente elaborati si radicano talmente in profondità nella persona che possono modificare la percezione del vissuto di violenza e causare disturbi psicopatologici gravi. Questo va ad inficiare o comunque ostacolare un eventuale percorso di uscita dalla violenza.
 
«Dai 6 ai 18 anni ho vissuto con questi due nuovi genitori che erano fantastici, però la scuola andava molto male perché tiravo fuori tutto quello che avevo imparato da mio padre. Per farmi voler bene e per farmi nuove amicizie, o quantomeno per essere accettata, ero iper-sessualizzata, facevo vedere tutto (ma il risultato era che venivo solamente derisa, scartata e bullizzata).
Ho cominciato a fumare e a bere molto presto, ma non avendo i soldi per mantenere questi vizi, spesso li rubavo in giro.
Alle superiori continuavo a subire atti di bullismo e ho avuto due momenti di buio totale con atti di autolesionismo e pensieri suicidi.
Dunque, ho dovuto cambiare ambiente e dai 18 a 26 anni mi hanno trasferita in un’altra città del Nord Italia. Ho passato alcuni anni pensando di divertirmi ma in realtà sono sempre stata USATA, come effettivamente aveva fatto mio padre anni prima. Trovavo sempre gli uomini sbagliati, proprio come mia madre». 

L’albero genealogico del disagio familiare

La madre di Antonella è orfana dall’età di 5 anni; è stata adottata, ma il padre adottivo era maltrattante; è comunque deceduto quando la madre di Antonella aveva 10 anni e da allora lei ha vissuto con la madre adottiva, che aveva limiti cognitivi ed emotivi evidenti. A proposito del ciclo della violenza… A volte sembra impossibile per certe persone uscirne. Si può riuscire a spezzare questa catena attraverso una presa di consapevolezza profonda e una rete sociale di supporto.
 
«Sapete come mi sentivo quando questi uomini si approfittavano di me? Sporca, uno straccio da buttare via, un oggetto del piacere per gli uomini. Nel febbraio del 2011 mi hanno convinta, non so come, a frequentare un corso ad Assisi e da lì ho cominciato a riprendermi la mia vita e la mia fede. Per la prima volta ho capito di non essere un oggetto alla mercé degli uomini ma, una donna con la sua dignità… Ecco, mio padre non è riuscito a rubarmi la dignità. Ma il mio percorso non è stato lineare da lì in poi. Ho avuto molti alti e bassi. 
Nel 2016 mio papà affidatario si è ammalato di Alzheimer e per me è stata una miccia: sono caduta di nuovo nell'alcool e nelle droghe leggere. Mi stavo autodistruggendo: non mangiavo, non dormivo, e le mestruazioni si erano interrotte. Ma a me non importava e sono tornata di nuovo dalla mia madre naturale: lì potevo fare quello che volevo. Ma è durata poco: 3 settimane, perché poi ho avuto un brutto crollo fisico, emotivo e psicologico; mi hanno ricoverata e ho cambiato di nuovo città».
 
Purtroppo questi spostamenti sono stati necessari per la sicurezza di Antonella, perché la sua vulnerabilità la portava a mettersi in situazioni di reale pericolo.
 
«In ospedale mi hanno diagnosticato un disturbo bipolare e un disturbo di personalità borderline, per cui, da allora, prendo molti farmaci».
 
Antonella prende quotidianamente 2 farmaci per prevenire episodi maniacali e/o depressivi, un ansiolitico e un sonnifero ad azione ipnotica per trattare la grave insonnia. Grazie ai farmaci è piuttosto compensata, ma rimane una donna vulnerabile a livello cognitivo e psicologico, non riesce a gestire bene le emozioni e le manifesta in modo esagerato e teatrale. Ciclicamente presenta alcuni disturbi psicosomatici (tipo colite spastica, emicrania, perdita della voce, aumento e diminuzione del peso corporeo). Bisogna considerare e tenere sempre bene a mente che, oltre al trauma originale di violenza perpetrata ripetutamente nei suoi confronti nei primi anni di vita (i più importanti, in cui il sistema cognitivo, la personalità, l’attaccamento e l’affettività sono in pieno sviluppo), lei ha avuto anche altri traumi durante la vita, altri abusi; ha dovuto cambiare diverse famiglie, città e terapeuti.

Quando questi uomini si approfittavano di me, mi sentivo sporca, uno straccio da buttare via, un oggetto del piacere per gli uomini.
Antonella

Uscire dall’inferno si può, ma non da soli

«Oggi mi sento meglio, sono più stabile in tutti gli aspetti della mia vita, vivo in una casa famiglia della Papa Giovanni XXIII, frequento il Centro di Aggregazione Giovanile della Comunità dove ho amici che mi accettano esattamente per quella che sono. Insieme ad alcuni di loro frequento anche una cooperativa sociale dove facciamo lavoretti di artigianato e bigiotteria. In più, sono seguita dal Centro di Salute Mentale in cui ho conosciuto anche la mia migliore amica; mi trovo molto bene con la mia psichiatra e con la psicoterapeuta, e frequento un gruppo di auto mutuo aiuto».
 
Antonella, nonostante ciò che ha subìto, vuole essere aiutata, reagisce e ha molte risorse: è creativa, giocosa, disponibile ad aiutare gli altri, affettuosa. 
 
«Credo anche di aver trovato l’uomo della mia vita. Un uomo che mi rispetta, che mi ama e con cui riesco a condividere tutto, le gioie e le paure più profonde. Non è stato semplice imparare a fidarmi di nuovo degli uomini, ma con lui sento di poter avere un futuro sereno, nonostante tutto».
 
Il ragazzo di Antonella è stato incluso nei vari gruppi che lei frequenta e anche in un percorso psicoterapeutico di coppia, per potersi assicurare che sia effettivamente una relazione positiva e di crescita; allo stesso tempo è un modo per accompagnali verso l’autonomia che tanto desiderano.
 
Antonella ci ha detto molto di sé, ci ha affidato la sua storia perché ne facessimo buon uso.
Penso che in qualche modo ci abbia fornito anche molti spunti di riflessione su ciò che va bene e ciò che è da migliorare nel nostro lavoro, sull’importanza di lavorare in rete con tutti i servizi del territorio (quelli pubblici e quelli privati), sull’importanza di dare continuità ai percorsi che facciamo iniziare senza segmentarli o delegarli, per il bene della persona che abbiamo preso in carico, con la quale abbiamo instaurato un rapporto di fiducia e che si affida a noi perché in quel momento della sua vita, magari, non ce la può fare da sola e ha bisogno di un punto di riferimento. 
 
Il supporto psicosociale nei casi di violenza di genere è fondamentale per la buona riuscita di un percorso di reinserimento e di empowerment. Ancora di più per tutte quelle donne che riportano anche una condizione di disabilità fisica, cognitiva o psichiatrica dovuta ai traumi subiti.
Bisogna orientarsi verso un supporto di tipo globale (olistico), riuscire ad offrire uno spazio sicuro e facilitare lo sviluppo di legami che consentano alla donna di parlare di ciò che le è accaduto: quindi ridurre l’isolamento, rafforzare l’identità e l’autostima per andare verso un percorso di realizzazione del sé.
Per fare questo, è necessario che tutti i nodi della rete considerino questo percorso un transito verso l’autonomia, un avvicinamento alla libertà. Ciò implica il superamento di approcci tecnici standardizzati e definiti a priori, a favore di un metodo che preveda il fatto di strutturare insieme ad ogni singola donna, (quindi non solo per la donna, ma con la donna), un progetto di ridefinizione e riorganizzazione della propria vita che sia condiviso sotto ogni aspetto (bisogna essere creativi!)
 
Concludo con una frase che Antonella ci teneva che scrivessi: «Auguro a qualunque donna che si trovi o si sia trovata in una situazione di violenza, di riuscire a chiedere aiuto e di avere il coraggio di riprendere in mano la propria vita e ricominciare a fidarsi del genere umano perché ne vale la pena. La vita è bella, spremete ogni secondo che vi è concesso di viverla e non permettete a nessuno di farvi credere che questo non sia vero!».

Questa storia è stata raccolta all'interno del progetto "MIRIAM. Free Migrant Women from GBV, through identification and access to specialized support service", finanziato dal "Justice Programme" e dal "Rights, Equality and Citizenship Programme" dell'Unione Europea e finalizzato, attraverso il partenariato di Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Differenza Donna in Italia e Fundaciòn de Solidaridad Amaranta in Spagna, a potenziare i servizi per le donne vittime di violenza, con una particolare attenzione alle donne straniere vittime di sfruttamento sessuale, violenza domestica e matrimoni forzati. 

Per saperne di più: www.apg23.org/it/progettomiriam/
Per info e richieste di aiuto, scrivere a: progettomiriam@apg23.org