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25 Novembre 2023

«Tu non uscirai viva da questa casa»: la storia di A.

Il racconto in prima persona di una donna scampata alla morte.
«Tu non uscirai viva da questa casa»: la storia di A.
Foto di Ryan McGuire
Il 25 novembre è la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Invece di esporre opinioni o pareri, preferiamo raccontare la storia di una ragazza che poteva essere l'ennesima "Giulia", ma è riuscita a scampare alla propria morte in seguito alle percosse di un uomo che diceva di amarla.
Quando i volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII l’hanno incontrata all’ospedale, A. aveva il volto tumefatto e il suo corpo era pieno di ecchimosi. Ma non era solo il fisico a soffrire, era psicologicamente distrutta. A. è stata accolta in una struttura di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII per poi entrare in una casa rifugio. Non scriviamo di quale struttura si tratti, né il luogo, per evitare di poterla identificare.
Il referto del pronto soccorso riferiva così le sue condizioni: «Trauma cranio-facciale con ematoma periorbitario bilaterale, trauma toracico con infrazione 10ª costa sinistra, trauma distorsivo del rachide cervicale e del 5° dito della mano sinistra a seguito di aggressione».
referto pronto soccorso

Invece di esporre opinioni o pareri, preferiamo lasciar parlare direttamente lei, che è riuscita a scampare alla propria morte in seguito alle percosse di un uomo che diceva di amarla. A. era arrivata in Italia per scappare dalla guerra, ma purtroppo ha trovato qualcosa che forse è peggio. 

«Mi ha picchiato fino a farmi perdere i sensi»

«Mi chiamo A., vengo dall’Ucraina e sono arrivata in Italia un anno fa a causa della guerra. Circa 6 mesi fa ho conosciuto il signor P. nato in Romania ma ora residente in Italia.
Fin da quando ci siamo conosciuti, P. ha sempre cercato di avere una relazione sentimentale con me, ma io ho sempre rifiutato le sue avance. Lo scorso settembre avevo intenzione di far venire mia madre in Italia perché compivo 30 anni e volevo festeggiare con lei. In quel periodo però non avevo una abitazione per poter ospitare mia madre, allora P. si è offerto spontaneamente di ospitare sia me che mia madre per il tempo che ci serviva. Spinta dalla necessità ho accettato e sono rimasta nella sua abitazione con mia madre per circa 2 settimane. Quando poi mia madre è partita per tornare in patria, io ho perso il lavoro da barista e mi sono trovata in grosse difficoltà. P. si è offerto di continuare ad ospitarmi. Ho accettato la sua offerta perché non avevo altre alternative e all’inizio il suo comportamento è stato tranquillo, anche se continuava a chiedermi se volevo stare con lui, però non mi obbligava.

Poi però all’inizio di ottobre, P. è rientrato a casa in uno stato evidente di alterazione, credo che avesse assunto stupefacenti come a volte faceva. Siamo usciti insieme sul balcone della camera per fumare una sigaretta. Dopo aver finito di fumare siamo rientrati in camera e una volta dentro P. ha iniziato da prima a toccarmi per farmi il solletico, ma poi le sue azioni sono cambiate, ha iniziato a spogliarsi sino a rimanere nudo davanti a me, poi mi ha spinta sul letto e si è buttato sopra di me cercando di baciarmi. Io mi sono messa a urlare e mi sono divincolata fuggendo al piano di sotto. Dopo 10 minuti P. mi ha raggiunta al piano terra e si è scusato del suo comportamento. Anche il giorno successivo P. si è scusato del suo comportamento, dicendo che era colpa della droga e che non ricordava esattamente cosa avesse fatto. 

Poi però, dopo una settimana, siamo andati a comprare delle sigarette e siamo entrati in un bar. Lui si è messo a consumare bevande alcoliche e a giocare ai video poker. Io gli ho chiesto se poteva riaccompagnarmi a casa, ma lui mi ha detto che dovevo aspettare che lui terminasse di giocare. A quel punto ho deciso di tornare a casa a piedi. Sono uscita dal bar e dopo un’ora e mezzo ero quasi arrivata alla casa di P. A quel punto ho visto P. che arrivava in macchina, insieme a un’altra persona che non conoscevo. P. ha iniziato a rimproverarmi perché ero andata via da sola a piedi: mi ha detto che aveva fatto 3-4 volte avanti e indietro il tragitto per cercarmi. Ha iniziato a dire che io avrei dovuto rispettare le sue decisioni, cioè aspettare che lui finisse di giocare. Siamo entrati in casa tutti e tre e a quel punto P. ha iniziato a offendermi, dicendomi: “sei una puttana, devi fare quello che ti dico, se ti dico che devi aspettare, tu lo devi fare” e il suo atteggiamento diventava sempre più minaccioso. Sentendomi umiliata, in un attimo di rabbia, gli ho tirato uno schiaffo sul volto e lui mi ha colpito con due schiaffi così violenti che mi ha fatto cadere per terra. 

Una volta a terra sono riuscita a prendere una bottiglia che su un tavolino per difendermi da lui, perché vedevo che era fuori di sé. Ho lanciato la bottiglia che avevo in mano contro di lui e l'ho colpito al collo ma senza che la bottiglia si rompesse. Intanto l'altro uomo, che aveva detto di essere suo cugino, implorava P. di non fare quelle cose davanti a lui e poi se n’è andato via. Una volta rimasti soli, l'atteggiamento di P. è diventato ancora più violento: io ero ancora per terra, P. si è buttato su di me e ha iniziato a colpirmi con i pugni sulle tempie in modo violento. 
Io cercavo di proteggermi dai colpi e di divincolarmi dal suo corpo per poter fuggire da quella violenza. Sono riuscita a prendere il mio telefono per chiedere aiuto, ma P. se n’è accorto e mi ha strappato di mano il telefono mettendoselo in tasca. 

Ho cercato di scappare di casa, ma P. aveva chiuso la porta a chiave e mi impediva di uscire. Io ho iniziato ad urlare chiedendo aiuto, nella speranza che qualcuno mi sentisse, ma senza alcun risultato. Poi P. si è accorto che, durante la lotta, si era rotto un piatto che i suoi figli gli avevano regalato e a quel punto è diventato una furia: mi ha spinto per terra ed ha ricominciato a picchiarmi con forza tirandomi pugni sulla faccia, tanto da farmi perdere i sensi per 3 volte, ma ogni volta che rinvenivo P. mi prendeva a calci. È andato avanti così, a picchiarmi fino a farmi perdere i sensi da mezzanotte fino al mattino. Mentre mi picchiava, sono riuscita a riprendere il mio telefono dalla sua tasca e senza che se ne accorgesse sono riuscita a fare delle riprese mentre mi afferrava per il collo, ma poi lui se n’è accorto, mi ha tolto il telefono e ha ricominciato a picchiarmi. 

Ad un certo punto P., forse stanco, si è seduto sul divano e ha tirato fuori dal suo portafogli una busta, credo che contenesse cocaina, l’ha versata sul tavolino e si è messo a sniffare quella polvere. Mentre lui sniffava, io sono riuscita a trovare le chiavi di casa e le ho nascoste in una delle mie scarpe. Approfittando di una sua distrazione, sono riuscita ad aprire la porta di ingresso e sono uscita in strada chiedendo aiuto ma, visto l'orario, non ho trovato nessuno che potesse aiutarmi. 
Lui è uscito fuori, mi ha presa per i capelli e mi ha trascinata in casa, poi ha ricominciato a picchiarmi e mi ha urlato questa frase: "Tu non uscirai viva da questa casa; se non mi ha mandato in galera mia moglie, mi ci mandi tu".

In un momento in cui ho ripreso i sensi, erano credo le 4 del mattino, P. era ritornato in sé e ha iniziato a dire che non avevo nulla, che mi sarebbe passato tutto e di stare calma. Io piangevo, avevo male dappertutto, mi sono messa in ginocchio e ho pregato P. di accompagnarmi in ospedale. Prima lui non voleva, ma poi vedendo le mie condizioni, ha acconsentito. 
Siamo saliti sulla sua auto ma prima di arrivare in ospedale, si è fermato e mi ha detto che era meglio se tornavamo a casa, perché sarei stata bene. Io ho cercato di aprire lo sportello ma era bloccato. Ad un certo punto lui a sbloccato la chiusura ed io sono riuscita a scendere per chiedere aiuto alle altre auto che transitavano, ma nessuno si è fermato, mentre lui dalla sua auto sorrideva. Allora lui mi raggiunta per strada con il suo veicolo e mi ha detto di rientrare in macchina dicendomi di farla finita e di tornare a casa.

Quando sono salita in macchina ho perso di nuovo i sensi e quando mi sono svegliata, eravamo arrivati davanti all'ingresso del pronto soccorso. Sono scesa dall'auto e mi sono recata all'interno del pronto soccorso mentre lui è rimasto in auto. Una volta dentro ho chiesto subito aiuto al primo medico che mi ha accolto. Il medico facendo cenno verso l'esterno in direzione di P. mi ha chiesto se tutte le lesioni me le avesse fatte lui e a quel punto P. è andato via.
P. fino ad oggi non ha mai smesso di inviarmi messaggi e chiamate, chiedendomi di ritornare a casa da lui, dicendomi di amarmi e che la casa senza di me gli sembra vuota.
Io ho tanta paura, temo per la mia incolumità. Mi sono rivolta ad un centro di antiviolenza e al momento sono sotto protezione».