Foto di Massimo Rossi
Dove per secoli c'è stato un convento, adesso c'è una Capanna di Betlemme che ospita persone in difficoltà. E qui ritrovano la dignità in un contesto di fraternità e di amicizia.
In Provincia di Cuneo, a Mellea di Farigliano, si trova il Santuario dedicato a Nostra Signora delle Grazie, luogo in cui si intrecciano storia, spiritualità e devozione, testimoniando forme di espressione artistica e condivisione di fede profonda, in un contesto naturale privilegiato.
A circa 38 Km tra le colline monregalesi, nella stessa Diocesi di Mondovì, si incontra un altro Santuario in cui è venerata la sacra immagine della “Madonna del Pilone di Vico”; luogo di devozione già attivo nella seconda metà del 1500 affidato ai Monaci Cistercensi.
Nell’antichità, le storie di questi due Santuari si sono intrecciate. Infatti, nel 1537 e nel 1637, a Mellea si verificano due miracoli mariani riconosciuti ufficialmente, che danno origine dapprima a un pilone votivo seguito da una cappella con annesso un locale per l’ospitalità, affidati alle Confraternite locali. L’affluenza dei fedeli cresce in modo impressionante e, secondo alcune fonti storiche, fra il 1642 e il 1647 questi edifici vengono affidati agli stessi Monaci Circestensi che offrono il loro servizio pastorale presso la “Madonna del Pilone di Vico”, oggi noto come Santuario di Vicoforte di Mondovì. Entrambi i Santuari diventano luoghi di spiritualità e di arte, ancora attualmente frequentati da numerosi pellegrini.
Nel 1647 a Mellea arrivano i Frati Francescani, che completano la costruzione del convento, ampliano la chiesa e per i successivi 362 anni assicurano al luogo ricchezza spirituale, zelo pastorale e profonda spiritualità. Il trascorrere del tempo e le numerose testimonianze di fede alimentano a Mellea un clima particolare, in cui si respirano la presenza di Nostra Signora delle Grazie e il contagio di essere comunità e Comunione, ma nel 2009 si rischia la chiusura; tuttavia, non vengono meno la devozione e la spiritualità di tante persone affezionate, le quali si impegnano con decisione per mantenere in vita questa meta di pellegrinaggi, che viene affidata alla Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi.
La “Capanna di Betlemme”, luogo di accoglienza
Sacerdote nativo di Rimini, Don Benzi (1925-2007) organizza diverse modalità di accoglienza per le persone che vivono gravi difficoltà, fra cui la Capanna Di Betlemme, luogo in cui le persone senza famiglia trovano un focolare domestico, incontrano qualcuno che fa respirare aria di casa e di cura, di amore e di condivisione.
A 15 anni dall’affidamento alla Comunità Papa Giovanni XXIII, nello stesso Convento in cui sono vissuti i Monaci Cistercensi e poi per diversi secoli i Frati Francescani, oggi c’è la sede di una Capanna Di Betlemme che mantiene la caratteristica di accoglienza verso le persone in difficoltà che desiderano sperimentare una ripartenza.
Le storie delle persone che vivono nella Capanna di Betlemme di Mellea, raccontano situazioni diversissime fra di loro ma con tratti simili.
Secondo i dati più recenti, negli ultimi anni in Italia cresce il numero delle persone rientranti nella soglia della povertà e aumentano anche le diverse forme di povertà, spesso con conseguenze devastanti sulla vita concreta delle persone.
Fa riflettere il fatto che Mellea dista circa 30 km da Alba, località cuneese in cui il tenore di vita è medio-alto, sul cui territorio sono attive aziende in crescita economica di livello internazionale.
La storia di Celestino
Da questo contesto di apparente benessere arrivano alcuni ospiti di Mellea, come Celestino, 60 anni: «Non è difficile ritrovarsi poveri. È successo che ero sposato, ho tre figli, poi debiti e non debiti, non si va tanto d’accordo, con mia moglie ci siamo separati e i finanzieri hanno fatto rapporto su di me; siccome lavoro in una grande azienda, che cosa hanno fatto? Hanno iniziato a prendermi 1/5 dello stipendio; attualmente me ne tolgono due. Questi debiti sono serviti a fare mobili nuovi, la cucina, la lavatrice, tutto insieme; anche la figlia più grande andava a scuola, pagarle i libri; un po’ di tutto».
Piccole rate che ad un certo punto diventano insostenibili, perché succede qualcosa di imprevisto come la separazione, per Celestino è stato un lento sprofondare fino a finire sulla strada, con l’unica compagnia dell’affettuosa cagnolina Camilla, da cui ancora oggi è inseparabile. Celestino continua il suo racconto: «Avevo visto dei senza tetto, ma proprio non mi aspettavo potesse succedere a me; eppure… Ringrazio di cuore la Comunità, dove mi hanno accolto, mi sono stati e mi stanno tutti vicini e attualmente sto seguendo un percorso in cui, piano piano, spero di riuscire a riprendermi».
Un Giubileo per ridare dignità
Il 2025 è l’anno del 30° Giubileo Ordinario, in cui i Cristiani sono chiamati a diventare “Pellegrini di Speranza”. Questo evento religioso, fin dalle sue radici storiche più antiche, è un richiamo di conversione, una possibilità per ripartire, per rimettere i debiti a chi è debitore e per ridare la libertà a chi è schiavo.
Questo anno 2025 offre altre due occasioni su cui riflettere: per la Comunità Papa Giovanni XXIII è un anno speciale, in cui si celebra il centenario della nascita terrena di Don Oreste Benzi (1925 - 2007); per Mellea, ricorrono 488 dalla prima apparizione di Nostra Signora delle Grazie ad Antonio Di Momigliano (20 maggio 1537) e 388 dalla seconda apparizione a Giovanni Ferrero.
Potrebbero essere “solo” ricordi di date, o anniversari, ma possono anche diventare momenti per “fare memoria” e fornire occasioni di ripartenza per le persone in difficoltà.
Analizzando l’attuale diffusione della povertà, il Diacono Giona Cravanzola, Responsabile della Capanna di Betlemme di Mellea, condivide una riflessione: «Cadere è davvero un attimo; sembra che non sia successo nulla e ti chiedono ancora conto; ti dicono “Tu non hai pagato …”; proprio oggi è arrivata una cartella a uno dei nostri accolti, cifre sproporzionate da pagare; tutte motivazioni valide, ma così arrivano i pignoramenti; a qualcuno hanno già preso l’alloggio, giustamente, perché aveva dei debiti; gli hanno preso tutto; ma che cosa possono ancora prendergli? Le scarpe che indossa? Cosa possono prendergli? Il rasoio con cui si fa la barba? Non ha niente. Quindi, bisognerebbe trovare una forma in cui almeno venga garantita la dignità di ogni persona. Se si riesce a fare un percorso di reinserimento, è già un vantaggio per tutta la società. Non si può continuare a chiedere conto. La povertà può davvero intaccare tutti, può toccare a me domani, può toccare a chiunque».
In quest’anno particolare del Giubileo, un invito a riscoprire in ognuno una persona con la sua dignità e con cui instaurare relazioni umane di amicizia, di condivisione, di crescita, di fraternità.