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14 Luglio 2020
Ultima modifica: 30 Dicembre 2020 ore 12:01

Una missione per smantellare l'isola di plastica

Nelle acque a nord dell'Oceano Pacifico, c'è un'enorme isola, la Great Pacific Garbage Patch, composta da 3 milioni di tonnellate di rifiuti galleggianti. Ma la missione scientifica Kasei sta cercando di smantellarla.
Una missione per smantellare l'isola di plastica
Sono sette le isole di spazzatura sparse in tutto il mondo e ce n'è una anche in Italia, tra l'Isola d'Elba e la Corsica che mette in pericolo il Mediterraneo.
Nelle acque a nord dell’Oceano Pacifico c’è un’enorme isola — l'isola di plastica più grande del mondo — di rifiuti galleggianti. La chiamano Great Pacific Garbage Patch e si stima che la sua grandezza vada da un’estensione pari a quella dell’isola iberica fino a un’area più estesa della superficie degli Stati Uniti. Che è come dire che il 5,6% dell’Oceano Pacifico sia coperto di spazzatura, per lo più di plastica. Plastica galleggiante, visibile da satellite che, per effetto delle correnti, si è formata a partire dagli anni ‘80 tra il Giappone e la costa californiana.
La buona notizia è che adesso c’è chi tenta di smantellarla: la missione scientifica Kasei, progetto lanciato dall’Ocean Voyages Institute (OVI) della California, ha già portato via più di 100 tonnellate di detriti. 

Un'isola composta da tre milioni di tonnellate di rifiuti

Nata nel 2009 con lo scopo di preservare le specie marine, nel 2020 OVI ha scelto la nave Kwai per combattere l’isola di plastica più grande del mondo. 170 tonnellate di plastica possono sembrare poche davanti alle oltre 3 milioni di tonnellate che compongono questo enorme ammasso di rifiuti ma il numero di oggetti monouso ritirati in due tranche (giugno e agosto) finora - in un anno caratterizzato dalla pandemia - rimane un record per qualsiasi spedizione. E l’obiettivo è di rimuoverne 450 milioni di tonnellate. La nave Kwai scelta per la spedizione scientifica è lunga 42 metri ed è dotata di radiofari galleggianti e droni che attraverso un gps permettono di controllare l’area e rendono più facili le azioni di recupero dei detriti, che infine vengono affidati alle filiere del riciclo, in special modo a impianti che la trasformano in combustibile o che la trasformano in materiali isolanti. Il vascello è partito dal porto di Hilo, nelle Hawaii ed è approdato poi a Honolulu, dopo 48 giorni, subendo fin da subito gli effetti della pandemia. Tra pochi mesi la OVI affiancherà alla Kwai una seconda nave. 

L'isola spazzatura che c'è fra Isola d'Elba e Corsica

Quella situata nel nord del Pacifico, oggetto di raccolta della Kwai, non è purtroppo l’unica isola di plastica e di rifiuti a galleggiare negli oceani: attualmente sono sette le isole di spazzatura sparse in tutto il mondo e ce n’è una anche in Italia, nel Mediterraneo, tra l’Isola d’Elba e la Corsica.
Questa isola è alimentata in larga parte dai rifiuti provenienti dall’Arno, dal Tevere e dal Sarno. Lunga per il momento poche decine di chilometri la macchia di spazzatura continua a espandersi e in maniera anche più densa di quella dell’oceano Pacifico.

Plastica di casa nostra

Il Mar Mediterraneo è uno dei mari più a rischio: su questo mare si affaccia circa il 10% della popolazione mondiale e il suo bacino è uno dei più trafficati e riceve le acque di fiumi che attraversano aree densamente popolate, come il Nilo, l’Ebro e il Po. Il fatto preoccupante è che il Mar Mediterraneo è uno dei mari più caldi, dove si concentra il 7% di tutta la microplastica – ovvero di frammenti dal diametro inferiore ai 5 millimetri – del mondo. 

La quantità di plastica galleggiante nel Mediterraneo non è superiore agli oceani, per una semplice ragione legata allo spazio a disposizione. Ma l’accumulo di detriti di plastica è legato sia alla elevata presenza umana del bacino sia al suo particolare meccanismo di "circolazione dell’acqua", che agisce come fosse una trappola per i detriti di plastica galleggianti. Infatti, non ci sono vie di fuga in superficie: l’unico sbocco del Mediterraneo è lo Stretto di Gibilterra, che misura solo 14 chilometri. Così finisce che la plastica galleggiante più pesante finisca sui fondali marini e, non ricevendo più luce, possa rimanere intatta per secoli o rilasciare microframmenti molto lentamente.
L’impatto della nostra civiltà sarà misurabile in futuro anche dalla plastica presente sul fondo del nostro mare.