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24 Gennaio 2024
Ultima modifica: 26 Gennaio 2024 ore 11:27

Violenza in gravidanza: le esperienze

Gli eventi curati dalla Comunità Papa Giovanni XXIII illuminano una forma di violenza sommersa e taciuta
Violenza in gravidanza: le esperienze
Foto di Daria Nepriakhina
Le donne hanno in sé il valore della "cura", quella cura che vuol dire pace, amorevolezza e anche inclusione: uno sguardo speciale che parte dalla cura dei propri figli e che diventa assunto universale. Ma cosa accade quando la gravidanza accende la violenza?
Il lungo percorso delle donne verso la parità e il riscatto da un ruolo di sottomissione e sfruttamento contiene in sé la chiave della salvezza nella società, ma nonostante i tanti passi avanti nel contrasto alla violenza sulle donne, dai dati emerge il ritratto di una società italiana ancora intrisa di pregiudizi e violenza contro le donne.

A Rimini, il 26 novembre scorso, nell'evento "Vite Spezzate" (link alla registrazione) curato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII è stata gettata luce su un tipo di violenza strettamente connessa alla generatività del corpo femminile, una violenza ancora sommersa e taciuta, una violenza che si scatena quando la creatività della donna si fa carne nel suo corpo. La violenza contro le madri in gravidanza. All'evento, Eugenia Roccella Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, oltre che al saluto del Presidente della comunità Matteo Fadda, ha introdotto con un suo intervento a video la riflessione; nel corso del convegno alcune drammatiche testimonianze di donne vittime sono state lette alla platea dall'attrice Mara Di Maio con molta commozione in sala.
 


I terribili casi di cronaca ed i femminicidi, da tempo, hanno sfatato il pregiudizio che la gravidanza costituisca in qualche modo una protezione nei confronti dell'abuso: i dati dimostrano invece con chiarezza che la violenza non risparmia affatto questa fase della vita e anzi, può cominciare o inasprirsi, proprio in questo periodo, si pensi al terribile caso della giovanissima mamma, Giulia Tramontano.

Il fatto che la donna in gravidanza sia più vulnerabile, abbia minore autonomia, sia emotiva che finanziaria, può essere vissuto dal partner o dai familiari violenti come un'opportunità per stabilire più potere e controllo sulla donna. Si è posta l'attenzione sulla c.d. violenza riproduttiva come costrizione all'aborto, una tipologia a sé stante o che si può unire in un coacervo di abusi con la violenza psicologica, fisica, economica, sessuale, o affiancarsi ai maltrattamenti familiari e gli atti persecutori o ancora manifestarsi quando il rifiuto della donna ad abortire venga vissuto, dai familiari, come da altre persone, (es. i datori di lavoro), come un atto di autodeterminazione, inaccettabile da parte di una persona ritenuta incapace di valutazioni autonome.

Questo tipo di violenza contro le donne è inoltre orribilmente e sistematicamente praticata nel sistema prostituente nei confronti delle vittime di prostituzione che quindi subiscono violenze multiple e gravissime.

La Comunità da anni (1997) al fianco delle donne in gravidanza con la gestione del numero verde 800 035 036 "Non sei sola" e solo nell'anno 2023 (gennaio- settembre) ha riscontrato 51 casi approfonditi di violenza come costrizione all'aborto nei nostri percorsi di assistenza. La coercizione nelle decisioni sull'aborto è una minaccia urgente e immediata per la salute e il benessere delle donne ed è una forma di abuso familiare e domestico spesso non riconosciuta.

L'epidemia nascosta di aborti non voluti è reale e molto più grande di quanto la maggior parte delle persone immagini e riguarda anche la interruzione della gravidanza nei percorsi sanitari.

Da una valutazione ponderata dei dati della Comunità Papa Giovanni XXIII raccolti nel corso degli anni, e solo rispetto ai casi che hanno permesso agli operatori un approfondimento di cura, risulta che almeno il 15% delle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG), volontarie non lo sono state affatto; tante donne hanno subito uccisioni non volute del proprio bambino prenatale. I dati e le testimonianze, riportano traumi indicibili e conseguenze psicologiche e sociali difficili– se non impossibili- da superare.

L'esperienza ed i dati dell'esperienza del numero verde sono state inoltre portate anche all'attenzione della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere lo scorso 12 gennaio in sede di audizione dei rappresentanti della Comunità nel corso della quale sono state anche portate diverse proposte, non come soluzioni semplicistiche a problemi complessi, ma sicuramente come vie di percorsi oramai indispensabili verso un cambiamento, tra cui:

  • il potenziamento di tutti i tipi di supporto alle donne in gravidanza vittime di violenza con uno specifico stanziamento di fondi da parte del Dipartimento alle Pari Opportunità agli enti che le tutelano e le accolgono.
  • un sostegno economico alle vittime più corposo e prolungato nel tempo, fino ad una reale autonomia.
  • al di là di ogni ideologia la previsione, nei consultori, di nuovi meccanismi di referral per individuare induzioni/costrizioni al consenso che non possono essere sicuramente lasciate ad una formale firma apposta su un foglio. Dietro quella firma ci sono spesse violenze indicibili dalle quali la donna in gravidanza non può liberarsi e uccisioni non volute del proprio bambino prenatale.
  • una nuova tipologia di reato più adeguata per le gestanti che subiscono violenza, idonee a punire chi esternamente le induce e le costringe a prestare ai sanitari un consenso solo apparente all'interruzione volontaria di gravidanza (IVG).
  • percorsi di protezione immediata, anche senza denuncia, qualora la segnalazione di pericolo avvenga tramite enti autorevoli ed accreditati alla tutela degli interessi della donna in gravidanza.
  • L'introduzione dell'educazione alla nonviolenza in modo strutturale nei curricula scolastici da parte del Ministero dell'istruzione.

Sono spunti offerti in Commissione che potrebbero avere un impatto importante per continuare a sostenere le donne in gravidanza e proteggere le vittime e supportare gli enti che si impegnano nella loro tutela.

Nella Comunità Papa Giovanni XXIII infatti, e nonostante le profondissime ferite, tante donne con cui si è  condiviso il cammino, hanno saputo rinascere, in quelle piaghe hanno trovato la forza per ricostruire il proprio sé accettando il dolore, ed insieme ad altre donne al loro fianco hanno ritrovato impronte di sogni di speranza.

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