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12 Aprile 2023

Sette milioni in fuga per il clima

Migrazioni climatiche, chi sono i profughi del clima e dove vanno a finire
Sette milioni in fuga per il clima
Foto di ANSA/WILLIAM WEST CD
Fra il 2014 e il 2020 il Mar Mediterraneo ha contato oltre 21 mila morti, il numero più tragico fra le rotte migratorie. Molte di queste persone fuggivano a causa di disastri ambientali a lento sviluppo, anche se forse loro non l'avrebbero raccontata così.
Il Rapporto Mondiale sulle Migrazioni dell'Oim (l'Organizzazione internazionale sulle migrazioni) pubblicato ad inizio anno illumina l'umanità con un capitolo di approfondimento sulle possibilità di adattamento dei popoli ai cambiamenti climatici che ci attendono, ormai inevitabili, all’orizzonte. Ci abitueremo ad assistere all'innalzamento del livello dei mari, all'aumento della desertificazione, del numero degli allagamenti e degli incendi. Ricollocamenti pianificati di migliaia persone stanno già avvenendo in più di 60 Paesi e territori di tutti i continenti.


E anche se la fuga resta una soluzione di ultima istanza, il pianeta Terra vedrà nelle prossime decadi un numero sempre maggiore di persone sfollate per motivi climatici. La maggior parte degli spostamenti avverrà all'interno di singoli Paesi, ma diventerà necessario aprire a ricollocazioni attraverso i confini, affrontando complesse sfide legali internazionali.

Infografica: crescita delle persone migranti nel mondo
Crescita di persone migranti arrivate nei diversi continenti. La crescita maggiore avviene in Europa.
Foto di Iom, World Migration Report 2022
Infografica: numero delle persone migranti nei Paesi del mondo. Stati Uniti in testa
Infografica: numero delle persone migranti nei Paesi del mondo.
Foto di Iom, World Migration Report 2022


Nel 2020 si contavano nel mondo 281 milioni di persone migranti. Erano meno di un terzo (84 milioni) nel 1970: tenendo conto della crescita della popolazione mondiale, il numero di migranti è aumentato di poco più di un punto percentuale dagli anni ‘70. Oggi (stime per difetto) 26 milioni sono i rifugiati, 4 milioni i richiedenti asilo. Sono migrate in un altro Paese 4 persone su 100.
A questi numeri vanno aggiunti i 55 milioni di persone che vivono da sfollate rimanendo all'interno del proprio Paese di origine, numero che è quasi raddoppiato dal 2000 ad oggi. Nel 2020 nel mondo 7 milioni di sfollati sono stati messi in fuga dai disastri naturali.

Mentre è chiaro comprendere perché una persona scappi da guerra e persecuzioni, è più difficile entrare nella definizione di “migrante climatico” o “rifugiato ambientale”. Non sono diciture previste dalle convenzioni di Ginevra. Le persone migranti stesse non sono consapevoli di essere in fuga dal cambiamento climatico, e molto spesso vedono alla base dell’abbandono della propria terra motivi diversi e più complessi. Ma alla fine, a ragionarci, sono molti i viaggi della speranza ad avere come denominatore comune la “rotta climatica”.

Le inondazioni in Asia

Abdul ha 24 anni, è nato in Pakistan, nel Punjab, da una famiglia di contadini, e vive oggi in Italia: «Nel mio Paese negli ultimi anni le inondazioni erano all’ordine del giorno». Ad un certo punto la terra diventa incoltivabile: lui, i 6 fratelli e i loro genitori non hanno più di che vivere. Attorno a loro cresce in modo esponenziale la violenza sociale. «Più si ha bisogno, più crescono litigi, attacchi, violenze; tanti che prima consideravo amici, improvvisamente non lo sono stati più. Un giorno, dopo aver ucciso gli ultimi animali, i miei genitori mi hanno detto: “Vai”. Ho imboccato la strada per l’Europa con la speranza di poter fare qualcosa per me e per la mia famiglia».

Abdul viaggia a piedi, per giorni, all’inizio con poche decine di uomini. Man mano che attraversa confini e macina i chilometri, si aggiungono attorno a lui altre persone, intere famiglie, bambini. «Molti muoiono, ogni tanto per strada trovi cadaveri. E poi gente disperata; spesso non capisci la loro lingua ma non hai lo spazio ed il tempo neppure per piangere insieme a loro. Non esiste amicizia lungo le rotte delle migrazioni. Non mangi, non bevi, dormi poco o nulla, muori di freddo. Ogni tanto devi fermarti da qualche parte, trovare un lavoretto, un escamotage per guadagnare qualcosa e continuare il viaggio. Non poter comunicare con la propria famiglia è la cosa peggiore. I tratti più difficili? Il confine turco ed il viaggio attraverso i Balcani».

La maggior parte delle ricollocazioni interne avvenute in Asia nel 2020 è stata dovuta ai disastri naturali; hanno lasciato la propria abitazione 5 milioni di cinesi, 4 milioni di filippini.
Le inondazioni causate dai monsoni, da smottamenti e da cicloni hanno sconvolto il Bangladesh (4 milioni di persone), l’India (4 milioni) e il Viet Nam (1 milione). Per riferimento, 2 milioni erano nel 2020 gli esuli del conflitto siriano, circa 400 mila i rifugiati dall’Afghanistan. 140 mila persone sono fuggite nell’anno dalla guerra in Yemen, per aggiungersi agli oltre 200 mila sfollati a causa delle forti piogge, in una situazione umanitaria particolarmente drammatica.

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La siccità in Africa

All’estremo Nord-Ovest del Kenya vive il popolo Turkana, da sempre dedito alla pastorizia. È una regione geograficamente e storicamente abbandonata, dove da sempre, letteralmente, si muore di fame. I dati del governo del Kenya e delle organizzazioni ambientaliste denunciano annualmente l’aumento delle temperature medie nel Paese: le minime e le massime sono aumentate tra 2 e 3 °C negli ultimi 50 anni. Le precipitazioni sono scarse: per settimane si superano i 45°C; non piove anche per tre o quattro mesi di fila.

Il nord del Kenya è zona vulcanica, fondamentalmente pianeggiante eccetto piccoli rilievi e qualche piccola catena montuosa. Nel 2012 vennero scoperti alcuni giacimenti petroliferi nell’area di Lodwar, capitale della contea, e iniziò così la corsa all’accapparrarsi lotti di terreno da parte delle multinazionali. Interi ettari vennero espropriati con la forza, sottratti al pascolo di bestiame e rivenduti. La vita divenne presto insostenibile; i Turkana hanno dovuto cercare alternative e sempre più famiglie hanno iniziato a spostarsi dall’entroterra verso le coste del lago Turkana, striscia lunga 257 chilometri che raggiunge il sud dell’Etiopia.

Uccelli volano sulla battigia in Turkana, colori emozionanti
Uccelli volano sulla battigia in Turkana, in Kenya
Foto di Simone Ceciliani
Sudafrica hippo roller
Hippo Roller è una tanica che rotola, consentendo alle persone in Sudafrica di trasportare facilmente acqua dal pozzo alle proprie abitazioni.
Bambina con acqua in Turkana
Una bambina Turkana inizia il suo cammino per arrivare alle sorgenti d’acqua
Foto di Gianluca Uda


Simone Ceciliani è missionario della Comunità Papa Giovanni XXIII a Nairobi: «Rientro adesso dal nord del Kenya, dal villaggio di Bubisa nella diocesi di Marsabit. È una zona semi arida, colpita fortemente dalla siccità e dai cambiamenti climatici. Nel villaggio di Bubisa ho trovato cimiteri a cielo aperto disseminati di carcasse di animali morti. Erano soprattutto pecore e capre, unica forma di sostentamento per i popoli di queste zone. Le bestie muoiono perché non piove e non hanno niente da mangiare. Non avendo più animali e quindi neanche più soldi, molte famiglie hanno smesso di mandare i bambini a scuola. Come Comunità Papa Giovanni ci stiamo interrogando su come poter dare acqua potabile al villaggio di Moite sul lago Turkana. Qui in Africa i cambiamenti climatici stanno facendo disastri».

Più a nord, il Sahel (una fascia di terra a sud del deserto del Sahara) oggi è l’emblema della migrazione per povertà. Lungo le aree costiere del Senegal, a causa della tremenda siccità che ha spinto la popolazione rurale a spostarsi, è aumentata la pressione demografica. Lo sfruttamento esasperato delle risorse ha trasformato quindi quella che era un’area fertile in un territorio afflitto da siccità e fame. A causa del mutamento dell’ecosistema sono cambiate poi le correnti marine e sono sparite diverse specie di pesci.

Babacar ha lavorato per diverso tempo in Italia come venditore ambulante, in estate sulle spiagge, poi arrangiandosi con la raccolta dei pomodori in Campania o in Sicilia. Inviava alla famiglia in Senegal la maggior parte dei guadagni. Racconta: «Per me arrivare in Italia non è stato complicatissimo; ho invece amici che sono finiti nelle mani dei trafficanti di migranti a Saint-Louis, nel nord del Paese, alla frontiera con la Mauritania».

Soldato sorveglia un pozzo
L'acqua è un bene prezioso in Turkana: un guerriero Samburo sorveglia la cisterna d'acqua del suo villaggio.
Foto di Gianluca Uda


Il Covid ha provocato un aumento dell’emigrazione irregolare dal Paese verso la Spagna, approdo per l’Europa. «Prima in Senegal eravamo tutti pescatori e musicisti; ad un certo punto anche il mare è cambiato. Mio papà ci raccontava che non c’era più pesce, che la corrente lo spingeva altrove. Il mare era diventato una discarica e c’era spazzatura dappertutto». Nel Paese i processi di urbanizzazione troppo rapidi sono privi di una strategia adeguata di gestione dei rifiuti. Solo una parte di questi arriva nella discarica di Mbeubeuss, una delle più grandi dell’Africa; il resto finisce abbandonato ai bordi delle strade o sulle spiagge. Nel 2020 circa 21 milioni di africani vivevano da sfollati in altri Paesi africani; 19,5 milioni di persone erano invece emigrate fuori dal continente, per lo più (11 milioni) in Europa.

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Persone migranti con estinazione Europa

L’Europa è il primo continente di destinazione per le rotte migranti, con 87 milioni di persone (il 31% dell’intera popolazione migrante) accolte. Internamente, la maggior parte delle ricollocazioni nel 2020 ha visto come causa un disastro naturale. La Croazia ha contato nell’anno 42 mila sfollati; Grecia, Spagna e Francia hanno visto un totale di 23 mila persone fuggire dagli incendi. Gli uragani Gloria, Dennis e Bella hanno causato lo spostamento di un’altra decina di migliaia di persone.
Grafico degli arrivi via mare
Foto di Fonte: https://ec.europa.eu/

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Americhe: inondazioni e povertà

Gli Stati Uniti hanno registrato il maggior numero di sfollati del continente, arrivando a registrare 1,7 milioni di persone in fuga da allagamenti ed incendi nel 2020. Al Sud, la maggior parte di spostamenti sono dovuti ai disastri ambientali, piuttosto che alle violenze e ai conflitti. L’Honduras ha battuto i suoi pari contando quasi un milione di sfollati, seguito da Cuba (640 mila), dal Brasile (360 mila) e dal Guatemala (340 mila).
migranti lavano i panni in Messico
Migranti nel campo profughi di Ciudad Acuna, in Messico, il 22 settembre 2021.
Foto di EPA/ALLISON DINNER

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Incendi in Oceania

Incendio in Australia
Dicembre 2021. Dall'estate un'ondata di calore senza precedenti ha innescato una serie di incendi che hanno devastato un'area grande come il Belgio attorno a Sydney.
Foto di ANSA/WILLIAM WEST CD
Un'ottantina di isole si estendono fra le barriere coralline per 1300 chilometri: Vanuatu è la nazione del Sud Pacifico che ha contato nel 2020 il più alto numero di sfollati interni (80 mila), fuggiti per lo più dal ciclone Harold. L'Australia conta oltre 51 mila spostamenti, quasi tutti dovuti all'evacuazione preventiva dagli incendi boschivi. Il fuoco ha distrutto 3.000 abitazioni e conquistato 17 milioni di ettari di terra nel 2020.

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Adattamento climatico, responsabilità di tutti noi

Babacar oggi lavora in un’azienda agricola che produce verdura biologica: «Per me è un sogno realizzato, questa agricoltura pulita, e ho anche il tempo per suonare. Quando mi manca il mio Paese la musica è come una medicina».
Simone Ceciliani per il villaggio di Moite intravede due possibilità: «Potremo scavare un pozzo col rischio che l'acqua non sia dolce, anche se sarà sicuramente meglio che bere l'acqua del lago; oppure porteremo un depuratore ma dovremo poi confrontarci con le difficoltà di fare manutenzione. Stiamo valutando le variabili insieme agli esperti».

La strada più auspicabile per affrontare il futuro — spiega il rapporto Oim — va nella direzione di un ampliamento nella concessione ai migranti climatici dei visti per l’espatrio; di uno sviluppo di politiche per l'integrazione; di un sostegno a fughe verso città medio-piccole piuttosto che verso grandi metropoli.

I flussi migratori possono essere una parte della soluzione. 29 Paesi a basso reddito coprono con le rimesse, dollari inviati ai propri familiari dai migranti all’estero, oltre il 10% del proprio Pil. In Tagikistan si è dimostrato che i soldi mandati da chi migra finanziano lo sviluppo delle comunità locali. Il Messico ha un progetto per finanziare i progetti avviati dall’estero. E anche il Senegal concede prestiti a chi garantisce una copertura altrove. Sono piccoli segnali di speranza che possiamo tenere presenti mentre prepariamo le valigie. 

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