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2 Gennaio 2024
Ultima modifica: 2 Gennaio 2024 ore 10:02

2024: guerra o pace? Chi decide il futuro dell'umanità

Si allarga la "terza guerra mondiale a pezzi". L'ONU assiste inerme, bloccata da veti incrociati in attesa di una riforma che non arriva. Nel frattempo si sta affermando la multitrack diplomacy. Arriverà in tempo?
2024: guerra o pace? Chi decide il futuro dell'umanità
Su alcune guerre c'è un eccesso di informazione, su altre il silenzio. Ma quante sono le guerre nel mondo? E soprattutto: si prospetta un anno di pace o la situazione è destinata a peggiorare?
Nel 1945 i popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, si impegnarono a mantenere la pace e a prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali. In pratica scelsero la pace e la fraternità universale come nuovo paradigma della convivenza mondiale.
Oggi tuttavia, a quasi 80 anni dalla nascita dell’ONU, si sta diffondendo quella che Papa Francesco ha definito la “terza guerra mondiale a pezzi”. 
L'anno scorso, la guerra in Ucraina – causata dall'invasione russa nel febbraio 2022 – ha avvicinato la guerra al cuore dell’Europa riportandoci nel baratro delle nostre più grandi paure. Anche l'Unione europea – già definita da John Hume, premio Nobel per la pace (1998), il più potente simbolo di risoluzione dei conflitti nella nostra storia – sta subendo i contraccolpi di una deturpazione acuta e dolorosa nel continente, mentre le immagini della nuova guerra in Medio Oriente entrano nelle nostre case suscitando indicibile prostrazione e angoscia per le vittime del terrorismo e la sorte delle popolazioni civili.

Quante sono le guerre nel mondo

Se la narrazione che riguarda i conflitti armati registra perfino un eccesso di informazione su alcune guerre, fa da contraltare il silenzio assoluto su tante altre. Secondo i dati dell’Osservatorio internazionale Acled (The armed conflict location and event data project) le guerre nel mondo a marzo 2022, comprese quelle a bassa intensità, erano 59.  
Raffaele Crocco, direttore di Atlante delle guerre, nel recente Executive Summary 2023 delinea un ampio quadro geopolitico, e ne identifica almeno 31 principali
Il Report 2023 del Global Peace Index individua 79 Paesi che hanno visto un peggioramento della sicurezza a causa dei conflitti, con una crescita del 96% dei decessi legati alle guerre rispetto all'anno precedente. 
Nel 2022, l’ONU ha riportato come circa 2 miliardi di persone vivano attualmente in aree interessate da conflitti. Inoltre, tra il 2022 e il 2023, come affermato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, è stato raggiunto il numero più alto di conflitti dal 1945.
Dall’Afghanistan, alla Libia, al Myanmar, alla Nigeria, allo Yemen, al Tigray, al Sudan sono molte le popolazioni del mondo per cui la guerra è la tragica normalità. L’Africa è il continente più martoriato, in cui a volte è anche difficile definire i confini dei vari conflitti e isolarli gli uni dagli altri, si pensi ad esempio all’area di crisi del Sahel. Ci sono poi molte aree oggetto di altri drammatici eventi, si pensi a Iraq e Siria, alle FARC in Colombia, al Nord America con la guerra della droga in Messico. 
 

ONU: la riforma che non arriva

Nonostante oggi, costretti dagli eventi, abbiamo preso maggior consapevolezza sulla interdipendenza e interconnessione fra i popoli, sembra che ancora il mondo non si sia emancipato dall’era dei nazionalismi sfrenati e ciò nonostante sia chiaro che non possono esistere “paci separate”, che l’obiettivo della pace può essere raggiunto solo attraverso un’azione unitaria e multilaterale. 
In questo contesto le Nazioni Unite hanno purtroppo quello che è stato definito da Ugo Tramballi dell’ISPI il «grande scheletro del mammut nell’armadio, sia per dimensioni che per vetustà» cioè «la riforma del Consiglio di Sicurezza: forse la più irriformabile delle istituzioni al mondo perché non riguarda partiti o lobbies economiche, ma le nazioni». Una riforma nel corso degli anni spesso impedita dalle stesse nazioni che avrebbero voluto attuarla
Ogni decisione di questo organo va presa con il voto dei due terzi dei Paesi del mondo e di tutti e cinque i membri permanenti, il che può significare che il Consiglio di Sicurezza continuerà ad essere usato come capo espiatorio delle responsabilità e inadempienze dei governi nazionali attraverso intrecci di veti a seconda dei propri interessi. 
L’aura mortifera della guerra e della violenza, a fronte di una paralisi di soluzioni multilaterali, è in grado di trasmettersi come un virus letale, una nuova pandemia capace di inquinare, come “l’effetto farfalla“ del Lorenz, tutte le popolazioni attorno a sé, con ricadute profonde sul livello di fiducia interpersonale e collettivo anche molto lontano dai luoghi fisici dove si sviluppa. 
Il continuo incrinarsi dei rapporti internazionali tra Stati ci sta portando troppo vicini all’orlo di una impensabile serie di eventi da cui non ci potrebbe essere ritorno; è angosciante la velocità con cui mutano gli equilibri e tutto può condurre a una minaccia atomica. Quella fantapolitica che il romanziere Ken Follet racconta nel suo libro Per niente al mondo, potrebbe raggiungere la realtà.
Questi scenari paiono mostrare il fallimento della comunità internazionale, ma non dobbiamo tuttavia tralasciare il fatto che l’Organizzazione delle Nazioni Unite resta un faro imprescindibile di dibattito fra gli Stati, unica sede del multilateralismo come presidio della fratellanza umana e che continua a contribuire in modo irrinunciabile alla crescita del diritto internazionale e all’affermazione dei diritti umani a livello mondiale. Per dirla con le parole di Thomas Sankara «…malgrado tutte le critiche che le sono rivolte da alcuni dei membri più importanti, le Nazioni Unite rimangono un forum ideale per le nostre richieste, un luogo indispensabile di legittimità per tutti i paesi senza voce».
Cerchio di giovani intorno a un simbolo di pace
Foto di Halfpoint

 

Il ruolo della Multitrack Diplomacy

La comunità internazionale tuttavia non è solo ONU, ma è anche la società dei popoli e degli individui. Se il mondo della iniziativa degli Stati si scontra con la geopolitica degli interessi, la società civile e le ONG di tutto il mondo sono estremamente impegnate ad influenzare e dare forma ai processi decisionali anche nel seno delle Nazioni Unite. Pensiamo ad esempio alla campagna internazionale per l'abolizione delle mine antiuomo e munizioni a grappolo, a ICAN per abolire le armi nucleari, a INEW per proteggere i civili dagli esplosivi e tante altre. 
È la multitrack diplomacy cioè l’azione di una pluralità di soggetti non governativi o pluristatali che si affianca alla diplomazia istituzionale nei conflitti, nel tentativo di comporli pacificamente. Nell’era della globalizzazione, le nuove tecnologie hanno reso possibile, con l’informazione planetaria ed in tempo reale, sia per la guerra che per la ricerca della pace, l’assunzione di una dimensione universale di situazioni locali allargando il campo della geopolitica al di là delle sole relazioni internazionali. La società civile unita alle agenzie internazionali e istituzionali ha un grande ruolo. La rete che nasce dall’intreccio delle potenzialità proprie di ognuno, rafforzata in infrastrutture per la pace dedicate ha un enorme potenziale. 
Proprio quando il virus della guerra esce ed infetta, la multitrack diplomacy è in grado di sviluppare anticorpi vivi, contribuendo in maniera concreta a fare da argine alle metastasi dell’odio, della violenza e della guerra; è in grado di tutelare le persone ed i loro diritti umani creando spazi di umanità e fratellanza che possono colmare lo spazio tra la rassegnazione e il delirio di onnipotenza (si pensi ad esempio alla pratica sempre più diffusa dei corridoi umanitari o all’operato dei diversi corpi civili nonviolenti nel mondo). 
Ogni nazione e popolo dovrebbe agire in fretta verso queste nuove sinergie e senza più tergiversare perché, come afferma l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, l’odio di tutte le guerre «entrando nel cuore degli uomini, li trasforma in contenitori di una “logica di guerra”». 

Una nuova architettura di pace

Per valorizzare e implementare questi risultati, occorrono nuove progettazioni politiche che sappiano includere le capacità degli artigiani civili di pace. La società civile nonviolenta da molti anni ha saputo sviluppare un patrimonio di solide strategie di educazione, costruzione e mantenimento della pace, oltre a esperienze di trasformazione nonviolenta dei conflitti che, se rese strutturali, possono dare un contributo essenziale. Gli Stati possono e dovrebbero intraprendere queste misure e attuare in modo sistemico il diritto alla pace. 
Un modo efficace a livello nazionale sarebbe quello di istituire una nuova architettura di pace, ovvero il Ministero della Pace, un’intuizione profetica di don Oreste Benzi che recentemente ha trovato il sostegno di oltre 30 premi Nobel i quali hanno incluso e raccomandato questa proposta nella Dichiarazione sulla Fraternità Umana firmata a Roma nel maggio 2023 . 
Anche a livello continentale l'Unione Europea, il simbolo più potente di risoluzione dei conflitti nella nostra storia come già affermava al Parlamento Europeo in uno dei suoi ultimi interventi John Hume, «dovrebbe istituire un Commissario per la pace, promuovere una filosofia di pace nelle zone di conflitto, non solo inviare eserciti».
Uno scatto a margine del Convegno a Parma il 22 Ottobre 2023 "Ministero della pace: si vis pacem para pacem ". Da sinistra: Agostino Zanotti, Matteo Truffelli, Daria Jacopozzi, Laila Simoncelli, Andrea Ferrari, Anselmo Palini.

In Italia  un’ampia rete di associazioni, di cui la Comunità Papa Giovanni XXIII è promotrice, porta avanti questo progetto politico con la “Campagna per l’Istituzione del Ministero della Pace - Una scelta di Governo” (www.ministerodellapace.org) perché, come affermava Don Oreste Benzi, «L’uomo ha sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la pace». 
Si tratta di una vera e propria inversione di marcia – come recentemente ha sottolineato il Prof. Sergio Tanzarella in un convegno a Palermo dedicato proprio al Ministero della pace  – che sia capace di sciogliere «i paradossi della politica attuale che vuole fare la pace con la guerra», e di adoperarsi in particolare nell’ambito cruciale educativo dove oggi si sconta «il peso dell’ignoranza della storia e della perdita e carenza della memoria culturale e dell’educazione alla pace».
Una scelta non più rimandabile se si vuole, come dice papa Francesco, «cancellare la guerra dalla storia dell'uomo, prima che cancelli l'uomo dalla storia». Perché la pace, come ha ribadito sempre a Palermo Raffaele Crocco, direttore di Atlante delle guerre, «non è questione di diventare più buoni ma è una questione di intelligenza e convenienza e il Ministero della Pace è luogo di questa convenienza e intelligenza».