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7 Ottobre 2023
Ultima modifica: 7 Ottobre 2023 ore 09:15

25 anni fa il riconoscimento pontificio alla Comunità Papa Giovanni XXIII

Fadda: «Non una medaglia ma una responsabilità. La sfida oggi è trovare nuovi linguaggi accessibili ai giovani»
25 anni fa il riconoscimento pontificio alla Comunità Papa Giovanni XXIII
Foto di Roberto Soldati
Il riconoscimento del 1998 segnò il passaggio ufficiale dell'Opera di don Benzi dal livello nazionale a quello internazionale. Allora la Comunità era presente in 13 Stati, oggi in 42.
Porta la data del 7 ottobre 1998, festa della Madonna del Rosario, il primo riconoscimento pontificio ottenuto dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. La consegna del decreto avvenne il 24 ottobre di quell’anno da parte del cardinal James Francis Stafford, presidente del Pontificio consiglio per i laici. A riceverlo, assieme ad un emozionato don Oreste Benzi, una piccola delegazione in rappresentanza di tutta la Comunità.
Una tappa necessaria nel cammino della Comunità Papa Giovanni XXIII, che da tempo aveva varcato i confini italiani (all’epoca era presente in altri 13 Stati, oggi sono 42) per cui il riconoscimento ecclesiale ricevuto nel 1983 dal vescovo di Rimini non era più adeguato. L’approccio con le norme della Santa Sede non fu semplice. Dallo “Schema di vita” che delineava in poche pagine la vocazione, si passò a documenti come la Carta di Fondazione, lo Statuto, il Direttorio. Ma era un passaggio necessario: ora la bontà delle intuizioni di don Benzi, attorno alle quali si era sviluppata la Comunità, erano “certificate” al massimo livello come “via di santificazione” e dono non solo per gli associati ma per tutta la Chiesa. I documenti costitutivi, approvati “ad experimentum” per 5 anni, ottennero poi l’approvazione definitiva con un nuovo decreto, a firma del card. Stanislaw Rylko, datato 24 marzo 2004, solennità dell’Annunciazione. 

Non una medaglia ma una chiamata a evangelizzare

«Non è solo per voi un dono e una grazia del Signore, ma lo è, anche, per tutta Chiesa", dichiarò il 24 ottobre 1998 il cardinal Stafford al momento della consegna, a Roma, del decreto di riconoscimento pontificio.
Il 22 giugno 2023, a distanza di 25 anni, il cardinal Kevin Joseph Farrell ha ricordato ai presidenti delle associazioni laicali convocati a Roma per l’incontro annuale presso il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, che il contributo dei movimenti non è una medaglia d’onore, ma una perenne chiamata al servizio: «Non ci si deve arrestare a contemplare ciò che si è fatto, va letto il presente per guardare avanti e per portare Gesù a tutti, poiché l’evangelizzazione è la massima sfida della Chiesa».

Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, ci ha insegnato a voler bene alla povera gente, a scegliere di fare famiglia insieme, aprendoci alla condivisione diretta di vita con i diseredati. E oggi, forse, possiamo dire consapevolmente che la apostolicità che ci sentiamo chiamati a vivere parte proprio dalla scelta di mettere la vita con la vita di queste persone scartate, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno. 

La porta del recinto sempre aperta

Tuttavia anche questa particolare via apostolica non è estranea al rischio di trasformare chi la vive – per citare ancora don Oreste – da incendiari in pompieri e da innamorati in facchini. 
Papa Francesco ci esorta a reagire, ricordandoci che la porta del recinto deve rimanere aperta sempre, per permettere a chi è dentro di uscire e incontrare chi è fuori e viceversa, sempre attenti a cogliere il grido degli ultimi e sempre mossi a condividere con loro un pezzo di cammino e di vita. 
Certamente la Casa Famiglia pensata da don Oreste, che quest’anno festeggia 50 anni, rimane la pupilla del nostro carisma; in essa l’accoglienza di bambini e adulti gravemente disabili continua ad essere un esempio e una testimonianza concreta di vita evangelica comprensibile da tutti. 
Ma la sfida è anche trovare nuove vie di evangelizzazione che possano concretamente proporre la condivisione diretta in nuove modalità e nuovi linguaggi accessibili a tutti, soprattutto ai giovani.
Siamo certi che, se restiamo fedeli al nostro carisma originale, ai carismi dei nostri movimenti, e li viviamo con radicalità e parresia, ma aperti a tutti, sicuramente tali carismi continueranno a dare frutti, e se anche qualcuno non ritenesse di riconoscere in sé tali chiamate, certamente noi proprio dai frutti li riconosceremo.