50 anni di obiezione di coscienza: la scelta profetica che ha disarmato la guerra
La Comunità Papa Giovanni XXIII celebra mezzo secolo di impegno per la pace. A Rimini il 12 e il 13 dicembre il Convegno INNESCHI. Scintille che generano la pace. Dalla leva ai corpi civili di pace.
Dai primi obiettori di coscienza accolti nel 1975 ai Corpi Civili di Pace oggi attivi nelle zone di conflitto: il percorso della Comunità Papa Giovanni XXIII per costruire alternative concrete alla violenza. A dicembre a Rimini il grande Convegno "Inneschi" per rilanciare la sfida educativa e la richiesta di un Ministero della Pace.
«La Comunità fa sua l’obiezione di coscienza al servizio militare che considera scelta esemplare e profetica […] e ritiene necessaria e urgente un’alternativa nonviolenta alla difesa armata.» Così scrive don Oreste Benzi negli “Appunti sulla Comunità Papa Giovanni XXIII come proposta nonviolenta” del 1988. Parole forti e chiare, che riprenderà anche successivamente, sostenendo che l’obiezione di coscienza è obiezione a tutte le forme di violenza, di cui la guerra è espressione massima e più appariscente. Obiezione intesa non solo come rifiuto di obbedire a una legge ritenuta ingiusta, ma anche come costruzione di un’alternativa. Da qui quella sintonia strutturale e naturale tra la vocazione della Comunità e l’obiezione, perché la condivisione diretta presuppone una scelta di campo dalla parte delle vittime di tutte le forme di violenza e un impegno nella ricerca di alternative all’attuale organizzazione sociale, verso una società che metta al centro la dignità umana anziché il profitto e che rinunci a tutte le forme di oppressione, quelle che don Oreste definiva “focolai di guerra”. Nel Comunicato divulgato in occasione dei 50 anni di Obiezione in Comunità, Matteo Fadda ricorda questa scelta: «Le nostre radici sono rappresentate dalla condivisione diretta con chi è vittima della violenza, dall’obiezione alla guerra, dalla costruzione di alternative possibili. È questo che fanno le centinaia di volontari e volontarie in Servizio Civile che in Italia e all’estero ogni anno si impegnano per la costruzione di una società fondata sulla pace, attraverso interventi di prevenzione, educativi, di promozione dei diritti umani e di inclusione delle persone fragili. È questo che fanno i volontari e le volontarie di Operazione Colomba. È questo che ogni membro dell’associazione fa ogni giorno, aprendo la propria casa all’accoglienza per restituire dignità alle vittime di ingiustizie e disuguaglianze sociali, rendendole protagoniste di nuovi cammini».
Il telegramma con cui il 3 giugno 1975 don Oreste Benzi comunicava al Levadife l'inizio del servizio civile per i primi tre obiettori di coscienza.
Don Oreste Benzi, secondo da destra, con i primi obiettori di coscienza alla leva obbligatoria. Al suo fianco, primo da destra, Antonio De Filippis
Un articolo di cronaca del 1996 ricostruisce la vicenda di due obiettori di coscienza partiti per una missione umanitaria all'estero, una scelta all'epoca non consentita, per cui vennero accusati di diserzione ma poi prosciolti.
Don Oreste con Antonio De Filippis nel giorno del mancato arresto per diserzione a Rimini il 10 maggio 1986
Foto di Riccardo Ghinelli
Un cammino lungo 50 anni
Il 13 maggio 1975 la Comunità Papa Giovanni XXIII stipula la convenzione con il Ministero della Difesa e a giugno dello stesso anno nella prima casa famiglia di Coriano (RN) arrivano i primi obiettori. Inizia un percorso che rende concreta la rivoluzione dell’amore del Vangelo, ma anche il ripudio della guerra sancito dall’art. 11 della Costituzione. La Comunità si impegna fin da subito in rete con altre associazioni per il pieno riconoscimento dell’obiezione, attraverso azioni di protesta, digiuni, e con azioni di disobbedienza.
Tra queste quella di Antonio De Filippis, obiettore presso la Comunità, che si autodenunciadopo aver ridotto da 20 mesi a 12 la durata del proprio servizio civile, per rivendicarne la pari dignità con la leva militare.
In una lettera del 1990 don Oreste scrive: «La posizione della Comunità Papa Giovanni XXIII nei confronti della guerra, di ogni guerra, è di proscrizione a essa. [...] La Comunità è fermamente convinta che, attraverso un’educazione alla lotta nonviolenta, si possano risolvere tutti i conflitti umani e si possa promuovere un nuovo progetto di umanità basato sul bene comune scelto e voluto». La ricerca di una strada alternativa a quella della violenza si traduce in azioni concrete solo due anni dopo, durante la guerra in ex Jugoslavia, quando alcuni obiettori e associazioni, tra cui la Comunità, lanciano una campagna di disobbedienza civile per consentire agli obiettori di svolgere il loro servizio in zone di guerra sperimentando forme nonviolente di risoluzione dei conflitti.
Obiettori di coscienza 2000
La nonviolenza sotto le bombe
Da qui nasce il progetto “Caschi Bianchi”, un’iniziativa di servizio civile rivolta in modo specifico alle aree di conflitto. Con il termine “conflitto” non si intende soltanto quello armato, ma anche situazioni caratterizzate da violenza strutturale e da emergenza umanitaria. Il progetto è promosso dalla Rete Caschi Bianchi, di cui fanno parte dal 2001, oltre alla Comunità Papa Giovanni XXIII, anche Caritas Italiana, FOCSIV e GAVCI.
Negli stessi anni, dal desiderio di alcuni giovani volontari e obiettori di vivere concretamente la nonviolenza in zone di guerra, nasce anche Operazione Colomba, Corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. Tra i suoi fondatori Alberto Capannini, che racconta: «Dagli inizi degli anni '90 i civili hanno cominciato a entrare nei conflitti armati; forse si iniziava a capire che la situazione di sicurezza e privilegio per pochi non sarebbe durata e che la difesa armata non era l'unica via possibile in un mare di violenza. Significava spostare la ricerca di una alternativa alla violenza dal mondo della solidarietà proclamata a parole a quella presenza concreta che parla da sola: non vi lasciamo soli in balia dell'odio.»
Nel passaggio dall’obiezione al servizio civile nazionale, nel 2001, la Comunità continua a scegliere di impegnare i giovani in progetti di condivisione in tutta Italia e nelle tante periferie del mondo, costruendo ponti e legami fra persone, comunità, popoli, prevenendo i conflitti e contribuendo a trasformarli in modo nonviolento. Durante il convegno “Servire la pace e difendere i diritti umani” del 2003, don Oreste spiega che la scelta volontaria del servizio civile non è in contraddizione con l’obiezione di coscienza, anzi: «L’obiezione di coscienza […] non scompare, ma si trasforma in proposta di vita quotidiana improntata alla nonviolenza e alla solidarietà».
Manifestazione guerra Iraq
Manifestazione anni '90
Obiettare oggi: continuità e nuove sfide
In questi cinquant’anni, l’impegno di obiezione e di pace della Comunità ha affrontato diverse sfide, come quella educativa, perché la difesa civile non armata e nonviolenta necessita di una cultura che la sostenga. Laura Lanni, che ha sperimentato per anni l’educazione al conflitto nelle scuole di Rimini e nella formazione dei volontari in servizio civile, sostiene che «noi educatori dobbiamo resistere alla militarizzazione degli spazi educativi, formandoci con i giovani alla nonviolenza attiva e alla lettura critica della realtà e della storia, affinché l’educazione sia un processo rivoluzionario che mobilita le coscienze, come insegnava Danilo Dolci.”
La scelta di campo a fianco delle vittime della violenza e la promozione della difesa civile non armata e nonviolenta non viene meno nemmeno oggi. L’esperienza maturata sul campo ha portato Operazione Colomba ad aprire presenze in diverse aree di conflitto nel mondo e ad essere presente oggi in Libano, Ucraina, Palestina, Colombia, Grecia e Cile. I volontari e le volontarie di Operazione Colomba scelgono di testimoniare con la propria vita che la nonviolenza è l'unica via per ottenere la pace: «Con lo spostamento fisico delle nostre vite – commenta Alberto – vogliamo dare la parola e il ruolo di protagonisti nella costruzione della pace a chi la guerra la paga davvero. Perché è da queste persone che, insieme, nascono vie alternative, estremamente umane e nonviolente, per la Pace.»
Tante le iniziative per i 50 anni di obiezione di coscienza e impegno per la pace.
La sfida educativa e il Ministero della Pace
Oggi la Comunità continua a coinvolgere ogni anno circa 200 giovani in progetti di Servizio Civile Universale in Italia e all’estero. Un’esperienza che li vede protagonisti nella promozione della difesa civile nonviolenta attraverso la protezione delle persone fragili e la promozione dei diritti umani e che si traduce in una palestra di cittadinanza e in un laboratorio di pace positiva.
Fin dalla sua istituzione con la legge di stabilità 2014, la Comunità partecipa alla sperimentazione dei Corpi Civili di Pace, che prevede l’impegno di giovani in progetti finalizzati alla trasformazione nonviolenta dei conflitti. Se da una parte il riconoscimento istituzionale dei Corpi Civili di Pace rappresenta un passo importante, dall’altra resta ancora molta strada da percorrere affinché si affermi un nuovo paradigma di sicurezza, fondato sul riconoscimento e la legittimazione del ruolo dei civili nella trasformazione nonviolenta dei conflitti.
Le pratiche di pace necessitano di politiche di pace: «L’uomo ha sempre preparato la guerra, è giunto il momento di organizzare la pace», ripeteva don Benzi. Per questo la Comunità, in partenariato con diverse associazioni, afferma l’urgenza di istituire un Ministero della Pace, che promuova un nuovo paradigma di sicurezza e solidarietà universale e che dia finalmente casa e dignità ai costruttori di pace, realizzando così l’obiettivo 16 dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. «Rivendicare un Ministero della Pace – dichiara Laila Simoncelli, coordinatrice della Campagna – è obiezione di coscienza collettiva che incarna la vocazione pacifista della Repubblica: scelta di governo che, in alleanza con i costruttori di pace, restituisce dignità alla pace con la sicurezza umana, autentica alternativa alla fallimentare illusione della sola sicurezza armata».
Tutti questi temi confluiranno nel Convegno "Inneschi – Scintille che generano la pace", che si terrà a Rimini venerdì 12 e sabato 13 dicembre 2025 presso la Sala Manzoni. Sarà una due giorni di dialoghi e laboratori su temi cruciali come la spesa militare, il Servizio Civile e il ruolo dei civili nei conflitti. L'evento, preceduto dal concorso artistico "Inneschi – Quando l’arte genera la pace" e dal censimento degli obiettori "Lascia la tua impronta", vedrà anche la messa in scena venerdì sera dello spettacolo teatrale "LA SCELTA" di Marco Cortesi e Mara Moschini. Un'occasione per porsi una domanda semplice e universale: "E tu, cosa avresti fatto?".