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22 Marzo 2021
Ultima modifica: 22 Marzo 2021 ore 09:55

Acqua: Pfas una bomba innescata

Nella Giornata mondiale dell'acqua si gioca in tribunale a Vicenza una tappa importante per il futuro di questo elemento vitale.
Acqua: Pfas una bomba innescata
Foto di ©Beznika
Anche nelle vongole di Venezia è stata recentemente trovata la presenza di Pfas provenienti dalla Solvay di Alessandria. Ma è in Veneto che si trova la più grande contaminazione mondiale della falda acquifera. Una esponente del movimento Mamme No Pfas spiega la difficile battaglia in corso per fermare la produzione di queste sostanze dannose per la natura e gli esseri umani.
Marzo 2021. Il C6O4 è nelle vongole veraci della laguna di Venezia e nelle ignare sentinelle provoca alterazioni «nei geni legati a processi biologici fondamentali, come la risposta immunitaria, lo sviluppo del sistema nervoso e il metabolismo lipidico». A parlare è il professor Tomaso Patarnello che coordina la ricerca sviluppata dal dipartimento di Biomedicina comparata e Alimentazione e da quello di Biologia dell’Università di Padova.
Il C6O4 è una sostanza perfluoroalchilica (PFAS) prodotta da Solvay Solexis in provincia di Alessandria, in Piemonte. La multinazionale ha recentemente intimato ai laboratori di Wellington Labs (rappresentati in Italia dalla Chemical Research 2000 srl) di non vendere il materiale di riferimento certificato del prodotto denominato C604, vantando sul prodotto chimico di base una licenza di brevetto. Ciò significa che, esaurite le scorte, le Agenzie regionali per la protezione ambientale, ma anche i ricercatori scientifici, non avranno più modo di ricercare e studiare la pericolosità di queste sostanze nell’ambiente.

Cosa si nasconde nell'acqua del rubinetto?

Febbraio 2017. Esco di sera con un’amica per partecipare ad un incontro pubblico sui PFAS. Girano strane voci su problemi nell’acqua di acquedotto ma mi ripeto che è impossibile: l’acqua pubblica, per la quale pago anche la bolletta, è la più sicura perché sottoposta a continui e rigidi controlli di qualità. Sindaci e assessori di vari comuni, mesi prima,  si sono fatti riprendere in piazza con tanto di bicchiere e caraffa per dimostrare ai cittadini che non c’è nulla di cui preoccuparsi, è tutto sotto controllo.
In effetti l’acqua che esce dal rubinetto di casa mia è trasparente, non puzza e non ha alcun sapore particolarmente sgradevole. Per sicurezza, però, da tempo mando a scuola le mie figlie con una bottiglietta di acqua acquistata al supermercato e chiedo loro di non bere dai rubinetti dei bagni.
Il dottor Vincenzo Cordiano, ematologo e presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE) del Veneto spiega che nel 2013, grazie al Progetto europeo di ricerca per la valutazione del Rischio Ambientale e Sanitario associato alla contaminazione da PFAS nei principali bacini fluviali italiani, si è scoperta in Veneto la più grande contaminazione a livello mondiale che coinvolge in particolare le province di Vicenza, Padova e Verona. Un’industria chimica, la Miteni di Trissino (VI), dagli anni ’70 produce queste sostanze che sono state sversate nell’ambiente senza alcun controllo da parte delle istituzioni competenti e, vista la l’ubicazione dell’azienda sulla ricarica degli acquiferi, hanno reso irrecuperabile la seconda falda acquifera più grande d’Europa.
I PFAS, continua il dottor Cordiano, sono persistenti, bioaccumulabili, interferenti endocrini, tossici, potenzialmente cancerogeni e si trasmettono da madre a figlio già durante la gravidanza, attraverso la placenta, e poi con l’allattamento al seno.
Mi volto verso la mia amica sgranando gli occhi: «Ma non ci credo! Com’è possibile che nessuno ci abbia mai detto di non bere quell’acqua? Di non usarla per cucinare, preparare tè e tisane, minestre, caffè, per coltivare le verdure del nostro orto?».
Sono sconvolta e non so cosa fare. La dottoressa Linda Chioffi, direttore del Dipartimento di Prevenzione dell'Ulss9 Scaligera, spiega che sta per partire un Piano di sorveglianza della Regione Veneto che chiamerà i cittadini residenti nei comuni maggiormente colpiti dalla contaminazione (una popolazione di 350mila persone) per analizzare il sangue e verificare le concentrazioni di PFAS. Partiranno dai nati nel 2002: «I nostri figli più grandi saranno tra i primi ad essere chiamati» mi dice la mia amica.
Mamme No PFAS tendono un lenzuolo con la scritta I figli non si toccano
Maggio 2019. Le Mamme No PFAS sfilano alla Marcia per il clima a Roma.
Foto di Michela Zamboni

I Pfas sono nei nostri figli

Giugno 2017. Arriva l’attesa risposta, in una busta. Senza alcun supporto psicologico, apro e leggo nero su bianco che queste sostanze sono presenti nel sangue di mia figlia. Non so cosa fare, lo dico al medico di famiglia che ne sa quanto me. Dopo una settimana mia figlia si rompe la caviglia e i PFAS finiscono in un angolo del mio cervello per uscirne solo un attimo quando, in un ospedale a 50 chilometri da casa dove sta per essere operata, spiego che nel suo sangue ci sono queste sostanze: medici e infermieri non ne sanno nulla, tranne l’anestesista che, originaria di uno dei comuni colpiti, mi chiede informazioni.
Io non ho molte risposte e non so ancora che, nello stesso periodo, altre mamme con i figli coetanei della mia, sconvolte quanto me dopo aver visto le risposte delle analisi dei loro figli si sono riunite in un gruppo rinominato dai giornalisti Mamme No PFAS e si stanno già organizzando per portare la questione sotto i riflettori.
Arriva settembre e arriva anche la prima diretta tv da una piazza di Legnago dove incontro le mamme di Lonigo e Montagnana. Ci uniamo, iniziamo a lavorare insieme: tutti i giorni, 365 all’anno, la nostra mente è lì, anche se dobbiamo rinunciare a cose più divertenti e leggere una gran mole di documentazione: i nostri figli sono la cosa più preziosa che abbiamo, nessuno deve permettersi di fargli del male!
Lo spiega bene il giornalista Andrea Tomasi nella videoinchiesta PFAS, quando le mamme si incazzano, pubblicata sul canale YouTube della rivista Il Salvagente.
La grande manifestazione a Lonigo
8 ottobre 2017. Oltre 10mila persone si riuniscono a Lonigo (VI), fulcro della contaminazione da PFAS in Veneto e punto di captazione degli acquedotti. Chiedono acqua pulita.

Ottobre 2017. Il giorno 8, a Lonigo, assieme ad altre associazioni ambientaliste, riusciamo a portare in piazza tutti i sindaci dei comuni interessati dalla contaminazione da PFAS insieme a più di 10mila persone. Pochi giorni dopo arriva la notizia che la Regione ha fatto installare ai gestori degli acquedotti alcuni filtri a carboni attivi in grado di abbassare notevolmente le concentrazioni di PFAS nell’acqua potabile, fino ad arrivare allo zero rilevabile dalle strumentazioni in loro possesso. Ma i filtri non ci bastano.

I Pfas sono bombe innescate

I cosiddetti PFAS sono sostanze perfluoroalchiliche inventate dall’uomo, che in natura non esistono. Sono molecole caratterizzate dal potentissimo e indistruttibile legame fluoro-carbonio che le rende ottime per proteggere tessuti e altri materiali da grassi e liquidi. Sono utilizzate in moltissimi prodotti di uso comune come cosmetici, impermeabilizzanti per tessuti, pelli, carta oleata, tappeti, sedili delle auto, divani, detersivi, pesticidi e molto altro.
Sono un’invenzione geniale dell’uomo che però non ne ha assolutamente il controllo: un po’ come la bomba atomica… Sì, i PFAS sono come bombe innescate nel corpo dei nostri figli e non sappiamo quando e dove potranno esplodere.
L'esposizione a PFAS è correlata a bambini nati con basso peso alla nascita, malformazione nei neonati, pre-eclampsia, diabete gestazionale, indebolimento del sistema immunitario, mancanza di risposta alla vaccinazione, infertilità, ipercolesterolemia, problemi alla tiroide, diabete mellito, cancro al testicolo, colite ulcerosa, cancro al rene, linfomi, leucemie, malattie cerebrovascolari, Alzheimer e altro ancora.
I PFAS devono essere eliminati dalla produzione perché attualmente non esiste alcun metodo per degradarli e renderli innocui. Non esiste alcun metodo per eliminarli dai nostri organi e tessuti nei quali soprattutto le nuove molecole attualmente in produzione, a catena corta, si annidano.
Si bioaccumulano nei vegetali di cui ci nutriamo e di cui si nutrono gli animali. Sono contenuti negli alimenti prodotti con acqua contaminata e vengono esportati in tutto il mondo. Si stima che attualmente non esistano esseri umani privi di queste sostanze nel loro corpo.

Le Mamme al tavolo tecnico del Ministero dell'Ambiente

Gennaio 2021. Dopo aver girato l’Europa e non solo, confrontandoci con scienziati, politici, enti pubblici, dopo aver fatto rete con altre associazioni venete e con le mamme che lottano per la tutela dell’ambiente in tutta Italia, riunite sotto il nome di Mamme da Nord a Sud, come Mamme No PFAS siamo state invitate a partecipare al tavolo tecnico del Ministero dell’Ambiente che da anni parla di fissare limiti nazionali per i PFAS negli scarichi delle aziende.
Sembra assurdo, ma queste sostanze non sono ancora normate in Italia e solo recentemente sono stati posti limiti nell’acqua destinata al consumo umano nella revisione della Direttiva Europea 2000/60/CE.
Al tavolo tecnico sono presenti anche Confindustria e Federchimica. Il Ministero dell’Ambiente ci chiede di fornire documentazione che avvalori la nostra richiesta di limiti pari a zero per gli scarichi.
I produttori sostengono che non ci siano prove che dimostrino la pericolosità dei PFAS, ma basta semplicemente cercare in rete per trovare una miriade di studi scientifici pubblicati, validi anche per le nuove molecole attualmente in produzione, visto che le caratteristiche principali, come dimostrato dal recente studio sulle vongole, sono uguali per tutte.
Perché non viene chiesto ai produttori di dimostrare l’assoluta innocuità di queste molecole prima della loro immissione sul mercato? Perché il Principio di precauzione, che dovrebbe tutelarci per quanto riguarda le decisioni politiche ed economiche sulla gestione delle questioni scientificamente controverse, viene continuamente ignorato?
Mamme No Pfas davanti al tribunale di Vicenza
Quasi 100 persone, tra Mamme No Pfas e cittadini da loro coinvolti, si sono costituite parte civile al processo in corso presso il Tribunale di Vicenza che vede come imputati gli ex manager della Miteni di Trissino, ritenuta responsabile della contaminazione da PFAS della seconda più grande falda acquifera d'Europa.
Foto di Michela Zamboni

L'acqua in tribunale

22 Marzo 2021. Giornata mondiale dell’acqua. Mi trovo nella solita aula del tribunale di Vicenza dove da un anno e mezzo si sta svolgendo la lunghissima fase preliminare di un processo a carico degli ex manager di Miteni. Le ipotesi di reato riguardano avvenimenti precedenti la scoperta della presenza di PFAS nell’ambiente veneto, nel 2013, ovvero disastro innominato e avvelenamento delle acque, e successivi al 2013, inquinamento ambientale e bancarotta fraudolenta. Sono chiamate a rispondere come responsabili civili Mitsubishi, ICIG e Miteni in fallimento, perché nel 2018 la ditta ha autodichiarato il fallimento, lasciando di fatto scoperti i costi per la bonifica che non è ancora iniziata.
Oggi è in corso la discussione dei Pubblici Ministeri e degli avvocati della parti civili, enti pubblici, associazioni e un centinaio tra Mamme No PFAS e cittadini da noi coinvolti. Lo scopo è convincere il giudice a rinviare a giudizio gli imputati.
Io sono qui, come ad ogni udienza, in rappresentanza di tutte le persone colpite da questo enorme disastro, soprattutto di quelle che non hanno potuto costituirsi parte civile perché non ci sono più o perché non sono mai nate.
Sono qui perché, come dice Mark Ruffalo che nel film Cattive Acque interpreta l’avvocato Robert Bilott che ha vinto la causa contro uno dei più grossi produttori di PFAS, la DuPont in Ohio, «Vogliono farci credere che ci proteggono, ma noi dobbiamo proteggerci da soli!».
Le multinazionali della chimica si stanno sempre più specializzando in campagne di informazione rassicuranti, quasi commoventi che, se non fossi così informata sulla realtà, potrebbero facilmente convincermi.
Gli enti che ci dovrebbero tutelare tentano anch’essi di rassicurare, perché non saprebbero come affrontare il problema nel caso i cittadini si allarmassero troppo.
Ma io non posso fare finta di non sapere.
Non posso dimenticare lo sguardo rassegnato di quel ragazzino di 13 anni, le lacrime che mi salgono agli occhi e che cerco di non far tracimare, mentre la sua giovane mamma mi racconta che ogni mattina si deve alzare mezz’ora prima degli altri per prendere quella pastiglia per la tiroide, e dovrà farlo per tutta la vita.
Da poche settimane è iniziato lo Studio TEDDY Child condotto dal dottor Paolo Girardi con un gruppo di ricerca interdisciplinare composto da psicologi e statistici dell’Università di Padova. Si tratta del primo studio in Italia che valuterà i possibili effetti delle sostanze inquinanti sullo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale dei bambini da 1 a 13 anni residenti in aree interessate dall’inquinamento da PFAS nel territorio regionale veneto. Una possibilità per i cittadini di contribuire alla ricerca scientifica per difendere il futuro, per difendere l’acqua di cui i nostri piccoli sono composti per l’80%.
L’acqua è la nostra fonte di vita, siamo tutti chiamati a rispettarla e a proteggerla.