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21 Febbraio 2024
Ultima modifica: 21 Febbraio 2024 ore 14:05

Addio a don Ivano, sacerdote e papà di casa famiglia

Sacerdote dell'arcidiocesi di Milano, dopo aver incontrato la Comunità Papa Giovanni XXIII aveva scelto di accogliere i poveri facendo loro da padre. I funerali oggi, presieduti da mons. Mario Delpini.
Addio a don Ivano, sacerdote e papà di casa famiglia
La vocazione al sacerdozio, l'incontro con i disabili all'istituto don Gnocchi, poi un'ulteriore vocazione, quella che lo spinge a far entrare i poveri in casa sua. Ad assisterlo negli ultimi momenti anche due minori stranieri non accompagnati, oggi maggiorenni, che aveva accolto in casa famiglia.
Si è spento il 19 febbraio, a 71 anni quasi compiuti, don Ivano Santilli, sacerdote dell’arcidiocesi di Milano, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII e da molti anni papà di casa famiglia. I funerali, presieduti dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini, si svolgeranno oggi pomeriggio alle 14,30 nella chiesa di Laveno, in provincia di Varese, e saranno trasmessi in diretta streaming su youtube.

Da paracadutista a sacerdote degli “ultimi”

Don Ivano Santilli, oggi quasi 71enne, era nato a Tocco di Casauria (PE) il 9 aprile del 1952. La famiglia era emigrata al nord e lui era diventato sacerdote dell'Arcidiocesi di Milano il 12 giugno 1982, avendo fatto anche il servizio militare nei paracadutisti.
Ha conosciuto la Comunità Papa Giovanni XXIII tramite una sua giovane ex parrocchiana mentre prestava servizio come cappellano all’istituto don Carlo Gnocchi di Milano fra le persone diversamente abili. Inizia così nel 2003 il “periodo di verifica vocazionale” ed entra a far parte della comunità di don Benzi il 30 aprile 2004, qualificando da quel momento il suo stato di sacerdote con la chiamata a condividere la vita degli ultimi.
Nei successivi incarichi pastorali, sente forte l’esigenza di accogliere i poveri in casa secondo lo stile della Comunità Papa Giovanni XXIII e comincia così a fare le prime accoglienze, nella canonica dove vive, in forma saltuaria e sporadica. Fiorangela, coinvolta nella cura della casa, diventa assieme a lui, il pilastro di quest’azione di carità verso il prossimo.

La richiesta al vescovo: «Vorrei aprire una casa famiglia»

Ma per lui questo non è ancora sufficiente: la voglia di condividere con i poveri sotto lo stesso tetto urge. La richiesta al cardinale di Milano, Mons. Tettamanzi, è di poter lasciare incarichi di responsabilità pastorale diretta ed aprire una casa famiglia.
Dal dicembre 2010, con Fiorangela come figura materna e lui come figura paterna, apre la casa famiglia “Incarnazione” nella Canonica a Cerro di Laveno (VA), dove viene mandato come sacerdote d’appoggio.
Don Oreste è stato il suo modello ispiratore. Il giorno del funerale di Don Oreste a Rimini, è tra i sacerdoti che portarono la bara a spalle per la celebrazione.
Nella notte in cui don Ivano è morto, ad assisterlo sono presenti, oltre a Fiorangela e agli accolti attuali della casa famiglia, anche due giovani arrivati in Italia come minori stranieri non accompagnati che il sacerdote aveva accolto e aiutato a raggiungere l’autonomia: due delle tante accoglienze passate dalla casa famiglia Incarnazione, nei cui cuori don Ivano ha lasciato un segno indelebile.

Due testimonianze arrivate in redazione

Da Primo Lazzari, ex responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII per la zona Lombardia, di cui don Ivano faceva parte:

Quella sera in cui ci parlò del suo percorso spirituale

La malattia aveva già occupato il corpo di don Ivano. I medici, suoi amici, si confrontavano su quale terapia somministrargli ma lui, caparbiamente non voleva rassegnarsi al drago che era entrato nella sua testa, non voleva cedergli.
Con una volontà ferrea cercava di attivare tutte le energie che gli rimanevano. Spesso al mattino ci precedeva nel risveglio e lo trovavamo che camminava nella sua camera appoggiato al trespolo. Poi, durante il giorno, crollava, sfinito, sul letto!
Quella sera venne a tavola, a cena. Non solo per alimentarsi ma per condividere il suo percorso spirituale, quel macinare la sua vita alla luce della Parola nel letto di dolore, mentre noi pensavamo fosse preda del suo sfinimento. Con fatica mangiò un uovo, prese le medicine, poi chinò il capo.
Mentre noi gli chiedevamo come stesse, com’era il cibo, se volesse aiuto per prendere le medicine, egli iniziò a parlare. Le parole erano un po’ confuse ma arrivavano dal profondo… Era come se fossero il prosieguo di una riflessione che maturava dal suo cuore.
«"Quando sono debole, è allora che sono forte" dice san Paolo (2Cor 12,10). Quante volte ci siamo ripetuti questa frase, e quante volte l’abbiamo detta per i nostri piccoli angeli crocefissi. Ma dirlo ora, in questa situazione mi fa far fatica. Dire che sono forte in questo momento non è facile. Ma io so che il Signore mi vuole bene e che anche in questa mia debolezza manifesta il disegno che ha sulla mia vita».
Dopo una breve pausa di silenzio, proseguì: «Vi ricordate quando Dio manda la manna al popolo d’Israele, nel deserto. Egli dice loro: "Ognuno ne raccolga quanto gli basta per il suo nutrimento, … quello in più imputridirà e sarà infestato dai vermi”. Così è anche della mia vita. Non ha senso chiedermi “Don Ivano, cosa sarà di te fra cinque anni? Sei chiamato a vivere oggi sapendo che il Signore ti vuole bene, ti ha scelto e tutto ciò che ti sta accadendo è frutto del suo amore”».
Noi tutti presenti ci siamo ammutoliti. Guardavamo lui e ci guardavamo negli occhi. Quale sapienza usciva da quelle parole, quale stupore nei nostri cuori!
E poi aggiunse un saluto per Fiorangela: “Fiore, stai serena. Il Signore ti vuole bene e compirà cose meravigliose, con te!».
Nei suoi ultimi giorni di vita terrena don Ivano ci ha testimoniato il suo amore per il Signore, la sua granitica vocazione sacerdotale, l’affetto per i suoi famigliari, la predilezione per i piccoli, la tenerezza di babbo di casa famiglia condivisa con Fiorangela.


Da Marta Bertelè, ex parrocchiana:

Nulla è impossibile a Dio

Ero poco più che bambina quando don Ivano, novello sacerdote, è arrivato a Lurago d'Erba (CO) nel nostro oratorio e non ho ricordi particolari personali, ma qualcosa aveva seminato nel mio cuore; tanto è che, dopo molti anni, io già sposata, in un momento difficile cercavo una guida spirituale. Avevo da poco incontrato la Comunità Papa Giovanni XXIII, conosciuto don Oreste, in piena ricerca di senso ma nello stesso tempo disorientata.  Non è un caso se proprio in quel momento mi è tornato alla mente e nel cuore quel prete semplice, buono, che allora mi aveva parlato di Dio perché innamorato di Dio.
Sono andata a cercarlo e l'ho trovato a Milano, cappellano alla don Gnocchi. Mi è stato guida in un tempo di smarrimento… gli parlavo di don Oreste, del suo sorriso, della sua vera gioia, del sentirmi attratta dal suo modo di stare nel mondo senza essere del mondo. Affascinato dal mio racconto, ha iniziato a documentarsi fino a voler capire meglio chiedendo di incontrare l'allora Responsabile di Zona, Primo lazzari.
Da lì a poco saremmo diventati fratelli di Comunità e poi fratelli di Nucleo. Tanta gratitudine, tanta stima per un uomo di Dio buono, semplice, umile e fraterno. Sapiente dispensatore di fraternità e custode di essa.
Nel cassetto dei ricordi più cari una immaginetta del Cristo orante regalatami a Matasari, Romania durante un campo fuori le mura. Sul retro a penna: “Nulla è impossibile a Dio, chiedete e vi sarà dato”.