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10 Febbraio 2020

Affido: ecco come funziona

Dal clamore di Bibbiano a chi vive tutti i giorni a servizio dei minori
Affido: ecco come funziona
Foto di Lolostock
Nei mesi scorsi alcuni fatti riportati dai media hanno creato una grande sfiducia intorno al tema dell'affidamento familiare. Ma pochi sanno come funziona veramente, chi opera, chi accoglie, chi decide sui minori. Abbiamo cercato di fare chiarezza e abbiamo trovato cosa funziona e cosa va migliorato.

«Serena è arrivata da noi all’età di 6 anni. È entrata a far parte della nostra famiglia quando il nostro primogenito aveva 1 anno e mezzo. Il servizio sociale cercava una famiglia e grazie alla collaborazione con l'associazione Papa Giovanni XXIII valutò idonea la nostra famiglia. Il progetto era stato chiarito fin dall’inizio molto bene: si trattava di un affido con un progetto a lungo termine in accordo con la madre. Gli incontri tra la mamma e Serena le ha dato la possibilità di “unire” le due appartenenze. Il “legame” creatosi tra noi e la mamma ha permesso di crescere nella fiducia reciproca. Nel tempo abbiamo accolto tanti altri bambini e sono nati altri nostri figli naturali. Serena ha sempre accolto tutti con grande entusiasmo! La sua gioia ha contagiato sempre tutti. Negli ultimi due anni Serena ha cominciato a sentire più forte il desiderio di autonomia e indirettamente ha fatto capire che desiderava rientrare a casa con la sua mamma. Ci sembrava giusto darle fiducia, valorizzare quel legame e metterci da parte, sebbene un po’ a fatica. L’ultimo anno è stato duro perché se la voglia di ciò che la aspettava era tanta… tante erano anche le paure di lasciare la nostra famiglia! Oggi sentiamo e vediamo Serena spesso. Il legame creato durerà nel tempo. Ci dice che mio marito la porterà all’altare e faremo da nonni ai suoi figli».

Un intreccio di storie

Disegno dei personaggi di una casa famiglia
Ogni storia a lieto fine è bella, ma diventa più significativa quando le sue trame complesse si snodano in una ricerca di senso e una convergenza continua verso il bene. L’affidamento familiare, l’affido, prima di essere legge, professionisti, è un insieme di storie.
Alcuni fatti riportati dai media nei mesi scorsi (Bibbiano e dintorni) avevano contribuito a distorcere la percezione sul fenomeno dell’affido. Decenni c’erano voluti per superare quella visione delle “assistenti sociali che portano via i bambini” e tutto di colpo sembrava di essere ritornati a tempi cupi. Fortunatamente (in questo caso) l’informazione oggi è talmente veloce e fluida che come la fiamma divampa, con la stessa velocità si sopisce, e quindi ad appena qualche mese di distanza si può di ragionare sul tema dell’affido, valutare se ci sono delle criticità e riconoscerne la ricchezza.
Certo, le famiglie che appartengono alle associazioni che sono sul campo, spesso le stesse che aprono la loro famiglia, sono rimaste con un po’ di amaro in bocca.

Gli scandali visti con gli occhi di chi vive l’affido

«Esprimo grande preoccupazione in merito al clima di sfiducia che si è diffuso nei confronti dell’affidamento familiare. Ribadisco la ferma condanna di ogni eventuale comportamento illecito perpetrato ai danni di persone vulnerabili, specie se di minore età, e la necessità di una compiuta applicazione delle norme inerenti il diritto dei minorenni a crescere in famiglia. Temo un arretramento delle capacità del sistema di welfare pubblico e privato di tutelare e promuovere il benessere dei bambini e ragazzi e delle loro famiglie. Tale indebolimento metterebbe a rischio il benessere, la crescita e i diritti di chi si vuole tutelare». A parlare è Alessia Rossato, piemontese, una delle referenti dell’ambito Minori e Affido della Comunità Papa Giovanni XXIII, una delle principali associazioni che in Italia si occupano dell’accoglienza dei minori. Gli chiediamo direttamente se non c’è il rischio che la vita di questi ragazzi sia nelle mani di una o poche persone.

Affido. Chi decide?

«Gli interventi sono interventi e valutazioni multidisciplinari – spiega –  entrano in capo gli assistenti sociali, gli psicologi, qualora sia necessario operatori dei SerD e dei CSM (Centri di salute mentale), gli educatori che seguono gli incontri in luogo neutro e anche indirettamente le famiglie affidatarie che raccontando ai servizi l’andamento dell’affido spesso danno informazioni importanti da considerare. Spesso ci sono i curatori speciali che danno un loro parere e spesso il Tribunale nomina delle CTU, consulenze tecniche d’ufficio che vengono disposte dal Giudice all’interno di un procedimento giuridico al fine di permettere l'acquisizione di importanti informazioni che guidino il Giudice stesso nel prendere le migliori decisioni nel Processo. Infine il Tribunale per i Minorenni decide in camera di consiglio con collegio - generalmente - composto da 2 giudici togati e 2 giudici onorari (un maschio ed una femmina). Direi che le decisioni, in linea generale, non vengono prese in maniera discrezionale e da un solo operatore».

Una grande risorsa

«L’affido familiare va tutelato, sostenuto, valorizzato e potenziato – ha chiarito Giovanni Ramonda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII – : l’affidamento familiare è prevenzione sociale, una risposta civile di alta qualità. Le famiglie affidatarie sono un tesoro preziosissimo di questa nostra società. Sono una risorsa sociale insostituibile che va potenziata, sostenuta ed alimentata. È anche un grande risparmio economico».
Si è diffusa un’idea molto dilettantistica o furbesca. Invece, continua Alessia, «è un’esperienza collaudata e consolidata e ha lo scopo di sostenere famiglie di origine in difficoltà e di collocarne temporaneamente i figli minori in affido o in case famiglia. Contemporaneamente bisogna lavorare per risolvere i problemi alla base del suo allontanamento e quindi fare di tutto affinché, sempre nella famiglia d’origine, si ricreino le condizioni necessarie per il rientro del minore stesso».

Alcuni nodi critici

Quindi tutto bene? «No, proprio dal lavoro sul campo abbiamo riscontrato numerose criticità, ad esempio i Servizi costretti a lavorare in continuo stato di emergenze, la scarsità e precarietà delle risorse economiche, la nomina dei Curatori speciali dei minorenni spesso non attuata, gli inserimenti di minori sotto i 6 anni in comunità educative».
Quindi criticità intese come necessità di lavoro continuo da parte delle associazioni per «la promozione di una cultura dell'accoglienza, la sensibilizzazione e la formazione delle famiglie affidatarie (attraverso eventi e corsi informativi e formativi), la costituzione di gruppi di auto e mutuo aiuto per famiglie affidatarie;  il lavoro in collaborazione con i servizi sociali…» (dal sito www.apg23.org )

Allontanamento o inserimento?

Entrata del tribunale dei minorenni
Foto di Marco Tassinari
Purtroppo gli interventi di prevenzione e supporto non sempre possono consentire a tutti i genitori di recuperare le loro capacità genitoriali. «Non si può lasciare per anni un bambino in una famiglia gravemente trascurante se non maltrattante – spiega la referente – : se ne pregiudica il benessere psico-fisico futuro, con gravi ripercussioni su tutta la collettività. Non possiamo parlare di allontanamento zero. Ci sono situazioni dove non è possibile non intervenire con un allontanamento… ma dobbiamo parlare di inserimento, o collocamento fuori famiglia».
«Il clima di questi ultimi mesi, di sospetto e diffidenza nei confronti dell’affidamento e degli affidatari, ci sembra abbia portato negli ultimi mesi ad una diminuzione di disponibilità all’accoglienza, screditando l’impegno di migliaia di affidatari che hanno accolto nel corso degli anni minorenni nelle loro famiglie, dedicandosi a loro con tanto impegno ed affetto».
Queste preoccupazione sono recentemente state esposte nel documento del Tavolo Nazionale Affido di cui la Comunità Papa Giovanni XXIII fa parte. Ne è uscito un documento (reperibile in rete) dal titolo Cinque principi per rimettere al centro il diritto dei bambini a crescere in famiglia che si declina in 5 “doveri”: di perseguire il benessere dei minori; di fare di tutto perché ogni bambino possa crescere nella propria famiglia (come del resto prevede la Legge 184); di proteggere il minore; di qualificare il sistema dei servizi di tutela; di assicurare i necessari controlli sull’adeguatezza del sistema minorile.

Un servizio faticoso che non si può fare da soli

Di fronte alle complessità dell’affido e dei problemi che possono emergere, le strategie per uscire dal disagio non possono essere cercate solamente nella competenza professionale degli operatori, ma possono emergere anche direttamente dalle persone che fanno la stessa esperienza. È importante che le famiglie partecipino ai gruppi di auto mutuo aiuto. Lo scopo dei gruppi è di sostenere nelle difficoltà e di stimolare i membri a riscoprirsi competenti del loro problema. Quando è possibile confrontarsi su una situazione complessa e faticosa con altre persone che hanno fatto, o stanno vivendo, un’esperienza simile, è più facile sentirsi compresi. La condivisione aiuta a non scoraggiarsi, a non sentirsi soli, a non rinunciare e a individuare possibili vie d’uscite, soluzioni, strategie apprese dalle esperienze di altre famiglie affidatarie. Michela Rebellato, nel suo testo Bambini in Affido (Sempre Editore), ha evidenziato che la vicinanza relazionale assicura alle famiglie “un ambito rassicurante che ascolta, comprende, sostiene, offre sostegno emotivo, momenti di solidarietà e di sdrammatizzazione. Il sentirsene parte oltre che utile diviene prezioso”. 
L’affido non è per poche eroiche famiglia, ma si può accogliere solo sapendo di non essere soli, ma in cordata, uniti e di supporto gli uni agli altri.