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29 Novembre 2019

Aids: è ancora un pericolo

Il 1° dicembre ricorre la Giornata mondiale contro l'Aids, istituita dall'ONU nel 1988.
Aids: è ancora un pericolo
Foto di happy_lark
A quasi 40 anni dalla scoperta del virus, è diminuita la percezione del rischio, ma la situazione è ancora grave. Ce ne parla un medico che per tanti anni ha curato le vittime di questa terribile malattia, e oggi difende i diritti dei più deboli presso le Nazioni Unite.
Il 1° dicembre ricorre la Giornata mondiale contro l’AIDS, la sindrome d’immunodeficienza acquisita causata dal virus HIV. Solo qualche decennio fa, negli anni 80-90, l’AIDS era una condizione inesorabilmente mortale, ma grazie ai farmaci antiretrovirali si può convivere con la malattia, conducendo una vita normale, purché si prendano i farmaci per tutta la vita. 

Nel 2018 ci sono state 1,7 milioni di nuove infezioni

Secondo i dati statistici forniti nel 2018 dall’UNAIDS, le persone sieropositive nel mondo sono 37.9 milioni e solo il 62% ha accesso ai farmaci antiretrovirali. In un anno ci sono state 1.7 milioni di nuove infezioni e 770.000 morti, (diminuite rispetto al 1.2 milioni del 2010). 
Un dato molto positivo è che il 92% delle donne in gravidanza hanno ricevuto i farmaci per prevenire la trasmissione materno-infantile del virus
In questi anni ci sono stati progressi enormi in termini di nuovi esami diagnostici, nuovi farmaci antiretrovirali, etc. ma la sindrome dell’HIV è tutt’altro che debellata. 
Nei Paesi sviluppati è crollato il numero dei decessi, ma non quello dei contagi e c’è stata una pericolosa attenuazione della percezione del rischio nella collettività: l’AIDS non è più sentito come un’emergenza e l’attenzione dei media, istituzioni e della stessa comunità scientifica è progressivamente diminuita.
Nei Paesi in via di sviluppo e soprattutto nell’Africa Sub-sahariana, l’AIDS rimane un grave fattore di mortalità e continua a essere strettamente collegato alla povertà estrema creando un circolo vizioso.  

Il grido di Martin: «Portami le medicine!»

Alle Nazioni Unite, come Comunità Papa Giovanni XXIII ci battiamo perché l’accesso ai farmaci antiretrovirali sia universale e i Paesi impoveriti possano produrre o comprare farmaci generici, superando lo scoglio dei brevetti imposti dai diritti di proprietà intellettuale, perché le case farmaceutiche arrivino a produrre farmaci pediatrici a combinazione fissa e usufruibile per i bambini che vivono nelle zone rurali dove non c’è elettricità, perché non sia dato per carità ciò che deve essere dato per giustizia. 
Ho lavorato 20 anni come medico missionario in Zambia dedicandomi in maniera particolare ai malati di AIDS, sia nel periodo in cui ancora non esistevano i farmaci antiretrovirali e quindi vedendo morire tanti miei pazienti, sia dopo l’avvento dei farmaci assistendo con gioia al ritorno alla vita di tante persone.
Ho ancora nella mente e nel cuore il sussurro di Martin, un mio paziente di 12 anni, che prima di morire in ospedale per una sopravvenuta meningite criptococcica (da funghi) mi disse: «Dottoressa Mara, portami le medicine!» È questo grido che cerco di portare alle Nazioni Unite.