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11 Luglio 2025

Diritto all'acqua: negato a più di 2 miliardi

All'ONU arriva la voce delle comunità dimenticate del lago Turkana in Kenya
Diritto all'acqua: negato a più di 2 miliardi
Foto di Simone Ceciliani
La crisi dell'acqua potabile, aggravata dai cambiamenti climatici e da modelli di sviluppo insostenibili, colpisce in modo drammatico donne, bambini e pastori delle aree più aride del Kenya. La Comunità Papa Giovanni XXIII, attraverso la testimonianza di Simone Ceciliani, porta all'attenzione dell'ONU le voci degli ultimi, chiedendo giustizia, partecipazione e politiche globali più coraggiose per garantire il diritto all'acqua come bene comune e inalienabile.
L’accesso all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale e indispensabile per la vita, la salute e la dignità di ogni persona, nonché per la realizzazione degli altri diritti umani. Ciononostante, questo diritto è ancora completamente negato a più di 2 miliardi e 200 milioni di persone.
Si tratta di una grande emergenza globale, una delle più gravi forme di disuguaglianza e discriminazione a cui la 59° sessione del Consiglio Diritti Umani appena conclusa ha dedicato una tavola rotonda con funzionari ONU, diplomatici, esponenti della società civile ed esperti, tra cui il Relatore speciale ONU sul diritto all’acqua Pedro Arrojo-Agudo.  
 
Nel suo intervento il Relatore speciale, instancabile difensore di questo diritto troppo spesso violato e negato, ha richiamato la Conferenza ONU sull’acqua che si terrà il prossimo anno negli Emirati Arabi Uniti, con l’auspicio che al centro dei dibattiti ci siano soprattutto le persone a cui l’accesso all’acqua viene negato. «È necessario che la Conferenza del 2026 concentri la sua attenzione sui miliardi di persone che, essendo titolari del diritto all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, vengono criminalizzate e perseguitate quando osano rivendicarli. Spero che si aprano spazi effettivi di partecipazione e riconoscimento di questi titolari di diritti, affinché la Conferenza sia uno spazio aperto di ascolto, dialogo e cooperazione con i popoli indigeni, i movimenti sociali e le ONG. Chi soffre di problemi così gravi come la mancanza di acqua potabile potrebbe non avere ragione in tutto ciò che dice; ma se vogliamo comprendere appieno questi problemi e progredire verso la loro soluzione dobbiamo ascoltarli, perché sono loro a conoscere meglio di chiunque altro i problemi che affrontano ogni giorno.»
 
ONU Simone Ceciliani
Alle Nazioni Unite di Ginevra. Da sinistra: Simone Ceciliani, Maria Mercedes Rossi, Valentina Di Paco, Domenico Convertino
Durante il dibattito, a portare la voce di chi ogni giorno subisce gli effetti delle ingiuste disuguaglianze nell’accesso all’acqua c’era anche Simone Ceciliani, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII in Kenya da 14 anni e che dal 2023 segue i progetti che la Comunità sta portando avanti nelle zone aride e semiaride nel nord del Kenya, nei pressi del lago Turkana. 
 
In Kenya quasi il 40% della popolazione non ha ancora accesso all’acqua potabile, e una vasta estensione del territorio nazionale è soggetto a gravi problemi di scarsità d’acqua.
I numeri della siccità prendono forma nelle storie e nella vita delle comunità più emarginate che abitano queste aree e che Simone incontra in ogni suo viaggio verso il lago Turkana.
 
Gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale impattano visibilmente su questi territori feriti da siccità sempre più ricorrenti, degradando l’ambiente e riducendo sempre di più l’accesso alle risorse naturali come l’acqua.
«La prima volta che sono arrivato qui ho avuto l’impressione di essere sceso su Marte» ci racconta Simone, testimone diretto della grande siccità che colpì quella regione dal 2020 al 2023, quando per tre anni consecutivi non ci fu neanche un giorno di pioggia.
«Girando per i villaggi non era raro imbattersi in cimiteri di animali, asini, cammelli e capre (unica fonte di sostentamento per i pastori locali), morti a causa della prolungata siccità. La scarsità d’acqua per periodi così prolungati, infatti, aveva provocato la morte di tantissimi animali mettendo a rischio la sopravvivenza delle persone. Il cambiamento climatico a cui stiamo assistendo da anni ha reso più frequenti e lunghi questi periodi di siccità, impoverendo sempre di più la già fragile economia locale basata sulla pastorizia.»
 
La carenza d’acqua impatta sulla quotidianità di chi vive in queste aree nel nord del Kenya, trasformando ogni giornata in una lotta per la sopravvivenza. A farne le spese sono soprattutto donne e bambine, che hanno il compito di procurarsi l’acqua necessaria per la sussistenza delle proprie famiglie. Di conseguenza, per molte bambine delle aree del lago Turkana andare a scuola diventa un miraggio. Invece di frequentare le lezioni, sono costrette a camminare chilometri alla ricerca dei letti dei fiumi ormai secchi, dove scavare profonde buche e raccogliere  l’acqua da portare a casa in pesanti taniche da 20 litri.
«Purtroppo l'acqua così raccolta non è potabile e, dalle analisi che abbiamo fatto, risulta batteriologicamente inquinata, ma le persone non hanno alternative», spiega Simone.
Per sopravvivere alle avversità climatiche sempre più ricorrenti, anche chi vive di pastorizia è costretto a spostarsi alla ricerca di condizioni ambientali migliori.
«Abbiamo raccolto diverse testimonianze di uomini che, per mantenere in vita i loro animali, hanno intrapreso viaggi a piedi di centinaia di chilometri in cerca di pascoli, abbandonando le loro case e le loro famiglie e non sapendo se sarebbero riusciti a tornare a casa, visti i rischi legati ai conflitti fra tribù per il controllo di risorse strategiche come l’acqua e il bestiame, già frequenti in queste aree e acuiti dalla persistente siccità».
 
Sono istanze come queste che la Comunità Papa Giovanni XXIII raccoglie, elabora a porta all’attenzione del Consiglio ONU per i Diritti Umani attraverso la propria azione di advocacy internazionale, cercando di essere uno strumento di collegamento e dialogo tra chi vive sul campo, al fianco degli ultimi e degli emarginati come le comunità abbandonate del lago Turkana in Kenya, e i decisori delle politiche globali.
 
Intervenendo con la voce di Simone Ceciliani durante la tavola rotonda sulla realizzazione del diritto all’acqua, la Comunità Papa Giovanni XXIII ha quindi rappresentato le istanze di queste comunità il cui diritto all'acqua, alla vita e alla sopravvivenza viene violato ripetutamente.
Ricordando l’enciclica Laudato Si, in cui Papa Francesco riconosceva il «grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità», la Comunità ha sottolineato come siano i più deboli e i più poveri ad essere i più colpiti dai cambiamenti climatici, di cui non sono responsabili, e a pagare il prezzo più alto di un modello di sviluppo e sfruttamento dell’ambiente insostenibile. Eventi estremi indotti dai cambiamenti climatici, come siccità e inondazioni, non solo li privano dell'accesso all'acqua potabile, ma ostacolano anche il loro diritto allo sviluppo e altri diritti fondamentali, amplificano le disuguaglianze esistenti, mettono a repentaglio i mezzi di sussistenza e i modi di vita tradizionali e alimentano conflitti e migrazioni forzate.
 
La richiesta della Comunità Papa Giovanni XXIII al Consiglio Diritti Umani è quella di superare modelli di sviluppo irresponsabili e adottare paradigmi più sostenibili, di risarcire le vittime dei danni legati al cambiamento climatico e di attuare pienamente il principio «chi inquina paga», intraprendendo iniziative più coraggiose guidate dalla solidarietà internazionale e ispirate da un approccio basato sul diritto allo sviluppo.
 
Come ha affermato il Relatore speciale sul diritto all’acqua, Pedro Arrojo-Agudo, viviamo in tempi bui in cui sembra che la priorità debba essere data alla folle e suicida corsa alle armi, mentre anche l’acqua viene usata come arma di guerra. Invece, dobbiamo tutti impegnarci perché l’acqua sia davvero un diritto di tutti e venga gestita come un bene comune e non come un oggetto di speculazioni, coinvolgendo sempre più i cittadini, i popoli indigeni e le comunità locali nella tutela degli ecosistemi acquatici e della fonte di vita che rappresentano.