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23 Giugno 2021

Plastica monouso: l'Italia si scontra con l'Unione Europea

Dal 3 luglio scatta la direttiva Ue 904. Al bando in tutti gli Stati membri l'utilizzo della plastica monouso.
Plastica monouso: l'Italia si scontra con l'Unione Europea
Foto di Foto di EKM-Mittelsachsen da Pixabay
Addio a posate, piatti, cannucce, bastoncini cotonati, aste per i palloncini e contenitori per alimenti realizzati in plastica, anche quelle biodegradabili. Preoccupazione dalle aziende del settore della plastica, nonostante i due anni di tempo per convertire la propria produzione.
La data di scadenza per la plastica monouso è quasi arrivata: il 3 luglio 2021, l’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione Europea dovranno adottare la direttiva Ue 904, la cosiddetta “Sup”, ovvero single-use-plastic.
 
La Sup vieta l’utilizzo di determinati prodotti in plastica monouso per i quali esistono alternative in commercio. Tra questi, gli imballaggi soggetti al divieto sono: bastoncini cotonati per la pulizia delle orecchie, posate, piatti, cannucce, aste per palloncini, contenitori per alimenti e altri ancora.
 

La plastica è un problema

La plastica è un problema per l’ambiente (e quindi per l’essere umano) che non può più essere ignorato: la plastica, negli oceani, non sparisce mai, e sta sterminando l’intera fauna marina. Degli imballaggi di plastica abbandonati sulle spiagge, il 3,1% sono piatti e bicchieri, il 17,3% imballaggi alimentari, il 17,1% cannucce, il 9,2% posate. Tutta plastica usa-e-getta di cui potremmo fare a meno.
 
Nonostante le aziende del settore della plastica abbiano avuto due anni di tempo per recepire la direttiva - e quindi per convertire la propria produzione - l’entrata in vigore della nuova normativa sta destando molta preoccupazione.
Il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti ha spiegato che «riguardo alla transizione è importante sottolineare che è giusto andare in quella direzione, ma tenendo conto anche del prezzo che si paga in termini di posti di lavoro persi».
 
Anche il ministero chiamato in causa, quello della transizione ecologica, è perplesso. Perché l’Italia è leader in Europa per la produzione di plastica biodegradabile: ne produce il 66% dell’intera produzione continentale, 280 aziende, 2780 addetti e un fatturato annuo di 815 milioni di euro. Eppure, la Sup vieta le plastiche biodegradabili al pari delle altre tradizionali. Perché?
 

Cosa sono le plastiche biodegradabili

Secondo l'Unione internazionale di chimica pura e applicata (Iupac), ci sono due tipi di bioplastiche: quelle che derivano da una miscela formata da acido lattico e amido (di mais, frumento, patate, tapioca, riso) o scarti della lavorazione del petrolio; oppure quelle che derivano da microrganismi alimentati con zuccheri o lipidi (come i sacchetti della spesa).
 
La direttiva, però, ammette solo prodotti fatti con i polimeri naturali e non modificati, come la cellulosa. Il problema, in questo caso, nasce nel momento in cui si deve versare del liquido caldo in un bicchiere di carta: serve uno strato protettivo, che non spappoli il bicchiere. Per questo motivo, l’Italia ha chiesto di poter accoppiare alla carta un sottile strato di plastica. Grecia e Polonia, per ora, sono gli unici stati membri ad appoggiare.
 

Sostituire il monouso con alternative riutilizzabili

 
Al di là di questa specifica deroga, secondo il parlamento europeo il problema della plastica biodegradabile è un altro, ovvero che «non sono disponibili standard tecnici ampiamente concordati per certificare che uno specifico prodotto plastico sia adeguatamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente».
 
Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, ha puntato il dito contro la scelta di aprire alle plastiche biodegradabili in fase di recepimento: «Invece di aiutare l’industria a riconvertirsi ed arrivare preparata a questo momento di cambiamento, si è continuato ad approvare diverse misure per incentivare le alternative biodegradabili». E aggiunge: «Il 40% della plastica prodotta nel mondo finisce nel monouso, che è anche la parte più difficile da riciclare – spiega Ungherese – e la sostituzione di un monouso in plastica con un altro fatto di un altro materiale non è certo priva di impatto.
Se vogliamo affrontare seriamente il problema della plastica è su questo concetto che dobbiamo riflettere e lavorare, come sta facendo la Germania, dove si stanno incentivando la sostituzione del monouso con alternative riutilizzabili».