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8 Settembre 2022
Ultima modifica: 8 Settembre 2022 ore 10:12

Al via il Festival del servizio civile. Il regista Vendruscolo: la mia esperienza in un film

Compie 20 anni "Piovono mucche", il film sul servizio civile del regista Luca Vendruscolo, tra gli ospiti del festival che inizia domani a Roma.
Al via il Festival del servizio civile. Il regista Vendruscolo: la mia esperienza in un film
In "Piovono mucche", il regista mette in un film quello che gli è capitato realmente durante il servizio civile e dice: «Non avrei mai immaginato che la vita in una comunità per disabili potesse essere così interessante, piena di sorprese, di momenti di pericolo, di avventura e azione».
Un festival nazionale del servizio civile per raccontare 50 anni di obiezione di coscienza per la pace con uno sguardo all’oggi.
Lo ha organizzato il CNESC - Conferenza Nazionale Enti per il Servizio Civile.
 
Lappuntamento, inserito nel calendario dell’anno Europeo dei giovani, parte domani a Roma, 9 e 10 settembre 2022, Giardino Verano.
Due giorni di riflessioni, ma anche di festa che vedranno protagonisti i giovani. 

Laura Milani, presidente della CNESC: investire in politiche di pace

«Il Festival è un'occasione per raccontare 50 anni di servizio civile, dal riconoscimento dell'obiezione di coscienza al servizio militare all'istituzione del servizio civile volontario fino al servizio civile universale. Lo faremo col linguaggio della musica, del teatro, delle testimonianze di chi ha preso parte a questa storia. Vogliamo raccontare la bellezza di un'esperienza che ha saputo evolversi e rispondere a diverse sfide, pur mantenendo un filo rosso che è la costruzione di una pace positiva» ha dichiarato Laura Milani, presidente della CNESC.
Il programma del festival è molto ricco. Milani: «Prevede dibattiti culturali, spettacoli teatrali, gruppi musicali, molti testimoni, stand tematici per approfondire, con l'aiuto degli enti e volontari, vari temi che vengono esplorati attraverso i progetti di servizio civile, e che riguardano le sfide a cui il tempo presente ci richiama. Penso alla guerra, alle violenze, alla crisi climatica, per citarne solo alcune.
Ma quale sarà il futuro del servizio civile? «Auspico che le nostre istituzioni scelgano di investire nel servizio civile, di stabilizzare i fondi e di valorizzare il suo ruolo nella costruzione della Pace in Italia e all'estero, fedeli alla finalità dell'istituto che è proprio la difesa civile non armata e nonviolenta - ha precisato la presidente della CNESC -. E più in generale auspico che ci sia il coraggio di investire in politiche di pace.
I giovani sono diversi rispetto a 50 anni fa, le motivazioni e i contesti sociali cambiano, ma la voglia di impegno, di mettersi in gioco, e il desiderio di sentirsi parte di un cambiamento per la costruzione della pace, ci sono ancora. Alle istituzioni e a noi tutti la responsabilità di valorizzarli.»
  
Nella serata di venerdì 9 settembre, in un’intervista doppia, Mauro Biani, il vignettista famoso per le sue strip di satira sociale e politica e il regista Luca Vendruscolo, che vanta un’esperienza di obiettore di coscienza raccontata nel sui film d’esordio Piovono mucche anno 2002, affronteranno il tema: Fare la pace con l’ironia.

Cartellone del film Piovono Mucche, 2002, del regista Luca Vendruscolo

Piovono Mucche, il film sul servizio civile di Luca Vendruscolo

 
Ed è proprio per l’uscita del suo primo film Piovono Mucche, che per il magazine Sempre ho intervistato il regista Luca Vendruscolo, famoso per la serie TV Boris. Ci incontriamo in un torrido pomeriggio d'estate 2003 nella saletta di un bar di via Indipendenza a Bologna, dove alla sera presenzierà alla proiezione del suo film. Nonostante la crescente notorietà, Ven­druscolo si presenta come una persona semplice, immediata. Mi racconta della sua passione per il cinema sbocciata da piccolo, impressionato soprattutto dai film di fantascienza.
Nasce a Udine nel 1966 e inizia con il teatro e tutto gli sembra «un mondo meraviglioso, lontano e soprattutto irraggiungibile». Per conoscerlo meglio parte per Roma e nel 1991 si diploma in sceneggiatura al Centro sperimentale di cinematografia di Roma. Da allora la sua carriera professionale ha spiccato il volo.
In Piovono mucche, il regista mette in film quello che gli è capitato realmente durante il servizio civile e dice: «Non avrei mai immaginato che la vita in comunità potesse essere così interessante, piena di sorprese, di momenti di pericolo, di avventura e azione».
 

Un film che smonta i luoghi comuni

 
Il ragazzo con i rasta è lì seduto sul divano e guarda i due carabinieri che con fare inquisitorio gli rivolgono la classica domanda frecciatina sull'obiezione di coscienza: «Come mai hai scelto di fare l’obiettore?».
«Volete che vi faccia un caffè prima?» propone timidamente il ragazzo per alleggerire l’aria.
Ma i due incalzano: «Come mai hai scelto di fare l’obiettore?».
Il ritmo diventa sempre più serrato, i carabinieri avvicinano lo sguardo al ragazzo: «Due uomini stanno violentando la tua ragazza. Tre uomini – precisa l’altro. – Hai una pistola. Cosa fai?».
«Io non ho la ragazza».
Uno dei carabinieri prende appunti sul tac­cuino e scrive: «Omosessuale».
Poi i due carabinieri riprendono, ancora più aggressi­vi: «Allora facciamo che sia tua madre o tua sorella. Quattro uomini. Tu hai la pistola .. .'»

Si apre così Piovono mucche, primo film di Luca Vendruscolo, giovane regista udinese. Un gruppo di obiettori si incontrano alla Comunità lsmaele per disabili. C'è Corrado, il ragazzo con i rasta, laureato in filosofia, che ha scelto di fare il servizio civile proprio in quella comunità. E c'è Matteo, il protago­nista, che dopo aver superato lo shock ini­ziale di essere stato precettato in quel posto per disabili - lui che pensava di andare in qualche biblioteca - in quel posto ci lascerà l’anima.
 
In questa comunità succede di tutto. Le vicende dei protagonisti si intersecano a ritmo sostenuto, senza mai far cadere nella noia chi guarda il film.
Ma i veri protagonisti sono i disabili e chi si aspetta la solita rappresentazione lacrimevole dell'han­dicap o bilanciata dall’eviden­ziazione di doti straordinarie, rimane deluso. Abbiamo un criminale tetraplegico, un camionista bizzarro, una ragazza spastica che parla attraverso un tavoliere, una bella disabile che seduce un obiettore.
In questa commedia, dallo stile tragicomico, nascono rapporti di amicizia, si intrecciano complicità, situazioni paradossali che producono un effetto di normalità. Non c'è più l'incontro con il disabile, ma con la persona - con i suoi problemi, sogni, desideri, ansie - che però è anche disabile.
La storia prende spunto dall'esperienza personale. Un'esperienza che gli ha cambiato la vita, sicuramente in meglio - ci tiene a precisare - tanto da doverci scrivere una storia riuscen­do a portare sul set, mescolati con attori pro­fessionisti, anche attori veramente disabili.

Vendruscolo: «Inizialmente vedevo il servizio civile come un ostacolo alla mia carriera».

 
Partiamo con la stessa domanda con cui si apre il film: perché hai fatto l'obiettore?  
«Lì per lì ero proprio arrabbiato perché dovevo fare un anno di servizio civile e, in un primo momento, l'ho visto come un osta­colo alla mia carriera. Il punto è lì: io avevo scelto di fare il servizio civile ma non volevo farlo seriamente. Volevo andare in un ufficio, fare sei ore al giorno, avere il sabato e la domenica liberi, tornare a casa e scrivere le mie storie. Invece mi sono ritrovato precetta­to e spedito a Roma, alla Comunità di Capodarco, dove ho scoperto che si vive lì, si dorme lì, si ha un giorno libero alla settima­na. Per un anno non sarei stato padrone della mia vita. Mi è sembrata la cosa più terribile del mondo.»
 
Cosa hai scoperto?
«Il servizio ci vile si è trasformato in una spinta fondamentale. Ho imparato a scrivere in un modo diverso, ad avere un rapporto diverso con la realtà, perché ho cominciato ad essere innamorato di un cinema diverso, documentato, dove non si parla, non si inse­guono tanto i fantasmi ma si cerca un contat­to. Se devo scrivere qualcosa devo sapere il più possibile di quel mondo.
Stare con i disabili mi sembrava la cosa più paurosa che mi potesse capitare. Pensavo che comprendesse dei servizi schifosi, ripugnanti. Credevo fosse una cosa noiosa, invece è stato un anno molto bello ed il film racconta tutta la bellezza, l'amore ed il cuore, che non solo io, ma anche gli altri obiettori abbiamo lasciato in quel posto. Perché per un momento ci siamo resi utili, abbiamo dato il meglio di noi stessi, ma soprattutto ci siamo divertiti. Anziché essere un incontro banale fra persone sofferenti e persone che le aiutano, ho sco­perto che chi aiutava e chi era aiutato si mescolavano i ruoli. Ricevevi costantemente lezioni di vita da persone che non avevano un centesimo della tua istruzione, magari non ci stavano completamente di cervello.»

Vendruscolo: racconto disabilità e obiezione di coscienza in un film

Non temevi che affrontare il tema della disabilità e dell'obiezione in un film fosse un fiasco?  
«Ero sicuro di no. Lo trovavo altamente spettacolare, al di là dei limiti che il film ha perché è stato prodotto con pochi soldi ed io sono alla prima esperienza come regista. Una storia del genere è nuova, mostra qualcosa da un punto di vista nuovo. Il pubblico ha piacere di vedere che ciò che si considera una tragedia non lo è, o non lo è sistematicamente. Pensavo di andare in un mondo bruttissimo, invece ho trovato un mondo che era appassionante. È un mondo che rimuoviamo sempre, in realtà o rimuoviamo senza neanche conoscerlo. Io sono vissuto, anzi sopravvissuto, e ho scoperto che c'è un aspetto poetico anche nel pulire una persona che se l'è fatta addosso. Purtroppo ci sono dei problemi distributivi in Italia. Però il film, mentre lo sto portan­do in giro, vedo che piace, quindi funziona.»
 
Chi si aspettava il solito mondo del­l’handicap rappresentato in maniera pietistica e lacrimevole rimane un po' deluso.
«Ho cercato di non compensare certe per­sone che hanno dei problemi con delle straordinarie virtù come aveva Rain man, ma di cercare di mettere l'aggettivo disabile anche tra gli altri aggettivi. Uno è disabile ma è anche furbo, intelligente, istruito, pre­varicatore, ignorante ... Ci sono mille modi di vivere disabilità molto diverse.
Invece la nostra visione, ma anche il cine­ma, tende a fare di tutta l'erba un fascio. Ho raccontato dei casi un po' estremi. La ragazza seduttrice, il criminale in carrozzina prepo­tente sono vera mente dei casi limite. Però pro­prio il gioco li raccontare questi casi produce un effetto di normalità. Quello che non ho dato per scontato è che il motivo del conflitto fosse la disabilità. Il film riesce a meravigliare perché in realtà è una storia normalissima. Mi sono rifiutato di ritenere che la disabilità fosse sufficiente per costruire la storia.»

Tocchi anche la sessualità. Una bella paraplegica stracciacuori…
"La sessualità fra persone che hanno una disabilità solamente fisica non è assoluta­mente un problema. Ai tempi del servizio civile però mi sembrava una cosa stranissima. Poi in comunità c'era anche la bella sen­z'anima, con una filosofia di vita che compe­te a quella età e non perché è in carrozzina. Io ho raccontato solo delle storie che non hanno un seguito. Un discorso a parte sono i veri legami duraturi. Sposare una persona disabile è un atto di grande responsabilità perché la persona disabile deve poter contare due volte sul coniuge non disabile.»
 
Hai scelto un titolo che certamente incuriosisce. Come ti è saltato in mente?
«All’inizio tra i protagonisti c'era Mas­simino che aveva una grande passione per i bovini, per lui sono qualcosa di molto positi­vo, ed era un personaggio delicato, impor­tante nel film. Poi abbiamo dovuto toglierlo perché tutto quello che c'era nel set lo rende­va perduto e ci sarebbe stato il rischio di violentarlo. Quindi, queste mucche che lui por­tava allegramente nel racconto, sono andate via assieme a Massimino. Ma mi piaceva la metafora: una mucca è materna, ma se ti piove addosso è pesante, può farti male.»

Disabili trasformati in attori e attori veri insieme. Cosa è successo sul set?

Un set formato da disabili trasforma­ti in attori di se stessi e da attori veri che diventano anche disabili. Un connubio difficile?
«No, anzi. Ero convinto che mi avrebbe aiutato. È stato difficile per la produzione, tutta preoccupata del problema logistico. del fatto che il set è un luogo pieno di cavi, di cose e con le carrozzine possono dare problemi. Il tipo di attori che avevamo non poteva venire autonomamente, alle cinque del mattino ci doveva essere sempre qualcuno che li andasse a prendere per essere sul set alle sei. Per i tre attori che dovevano fare finta di essere disabili in presenza di disabili veri è stato un trauma. Si sono molto appog­giati a me per essere sicuri che non li stavano prendendo in giro. Si chiedevano: “Che ci faccio io che quando viene dato lo stop mi alzo, mentre loro continuano a stare in car­rozzina?”. Ho usato tutti attori amici per fare gli obiettori. Volevo che l 'umanità sul set fosse scontata, non volevo lacrime o la sen­sazione di fare volontariato. Con gli amici questo discorso sarebbe stato immediato.»

Cambio di cateteri, lavaggio di poste­riori... Un aspetto dell’handicap nella vita quotidiana di cui non parla nessuno. Tu sei riuscito persino a rendere divertente una scena che sarebbe potuta essere imbarazzante! Quella del ragazzo che se la fa addosso.
 
«Era fondamentale raccontare gli aspetti che non si raccontano perché si pensa sia meglio sorvolare, perché costituiscono quell' aspetto delle persone disabili che ci impaurisce. Pensiamo che la dipendenza dagli altri per alcuni servizi sia una fonte di un'enorme sofferenza, una fonte costante di privazione di dignità. In realtà diventa normalità per chi ha bisogno di questo servizio. Raccontarlo non raccontandolo, cioè sorvolando poetica­mente l'argomento, sarebbe diventato di nuovo un alibi e la conferma del fatto che è un aspetto tragico e terribile della questione su cui è meglio sorvolare. Così facendo sarebbe stato un motivo per continuare ad amplificare e sottolineare un tabù.»

Qual è il senso di Piovono Mucche?

In questa comunità c’ è una donnona in carrozzella autoritaria preoccu­pata solamente di organizzare i turni degli obiettori a servizio degli handicappati. Obiettori senza libertà?
«È uno dei temi sottesi al film: la libertà. Per un anno io non sono libero ma rendo libere delle persone di fare qualcosa che senza di me non potrebbero fare. A poco a poco - ed è questo il senso della storia di questo film - c'è la sensazione di fare non perché si deve, ma perché si vuole, perché ho instaurato tanti rapporti personali con le persone e non lo faccio più perché sta scritto sui turni. In effet­ti era questo il paradosso del servizio civile: il gusto di dire “lo abbiamo scelto noi”, con il paradosso che se non ci fosse stata realmente una Flora, ed era disabile, ad obbligarci, non avremmo mai imparato certe cose.»

Cosa ti ha insegnato tutta questa esperienza?
«Di non dare per scontato nulla, non basta informarsi sulle cose, bisogna cercare di vederle, conoscerle di persona. Non bisogna giudicare o credere di avere capito tutto per­ché si è letto un libro o ci si è informati su un determinato argomento. Non avrei detto che la vita in comunità potesse essere interessante, animata, piena di spirito, di sorprese, di momenti di pericolo, di avventura, di azione, di cose prese all' ultimo secondo, di dilemmi morali. Non è affatto una vita tutta schema­tica. Ma ci sono dei punti che per me riman­gono dilemmatici: il limite della libertà, il problema del la sessualità tra persone con disagio psichico. Le persone disabili si rifiutano di rientrare in uno standard, ci ricordano che tutti quan­ti siamo unici. Le persone con disabilità hanno proprio questo pregio: ricordare l'uni­cità delle persone, mentre noi tendiamo ad uno standard e non sappiamo più cogliere la bellezza del fatto che ogni persona è estre­mamente diversa dalle altre.»
 
 
 
 
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