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23 Ottobre 2019

Alda Merini. Nella poesia la mia libertà

Il primo novembre di dieci anni fa moriva Alda Merini, la voce dei poveri e dei diseredati. «Se avessi potuto avrei fatto il barbone, perché vivere liberi è una grande cosa. Il poeta vuole la libertà.»
Alda Merini. Nella poesia la mia libertà
Foto di Caterina Balocco
«Nella vita non è tutto bello. Però si può sognare che lo sia. È lì che nasce la poesia. Per lei che ha trascorso vent’anni in manicomio, la poesia non è stata un'arte ma un modo per essere libera.
«Sono  nata il ventuno a primavera ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta. Così Proserpina lieve vede piovere sulle erbe, sui grossi frumenti gentili e piange sempre la sera. Forse è la sua preghiera».

La macchina da scrivere e alcune foto di Alda Merini
La macchina da scrivere e alcune foto di Alda Merini
Foto di Caterina Balocco


Così scriveva in “Vuoto d’amore” Alda Merini, la “Poetessa dei Navigli”, parlando di sé. Nata in primavera se ne è andata il giorno di tutti i santi di dieci anni fa, il primo novembre del 2009. Una donna unica, dalla personalità forte e mistica. Che cantava l’amore e vedeva la bellezza anche nelle pieghe della sofferenza. 

Alda Merini ha trasformato la sofferenza in poesia

È stata più volte candidata al premio Nobel per la letteratura, ma con "La terra Santa" (1984), in cui esprime la sua esperienza in manicomio, vince nel '93, il premio Librex Montale per la poesia. La sua vita è segnata dalla malattia mentale. Vent’anni di manicomio, quarantasei elettroshock.
Per lei «il manicomio è stato la sede di tante malvagità, ma anche di culto», un luogo dove ha trovato una profonda religiosità.
Segnali della malattia erano comparsi nel ’47. Poi con la nascita delle figlie si è fatta più acuta. Quando battezzò la più grande, il suo amico David Maria Turoldo disse: «Questa è la più bella poesia che mi hai portato». E quando ha dovuto separsi da loro ha detto: «Sono impazzita quando “loro” hanno deciso che la presenza delle mie figlie turbava la madre e me le hanno tolte. Se non sanno curarti abbandoni la tua identità di madre, ma se qualcuno sa starti vicino superi la crisi». 

Ricordando Alda Merini

Il pianoforte di Alda Merini
Il pianoforte di Alda Merini
Foto di Caterina Balocco


Milano, la città in cui è nata il 21 marzo 1931, si accinge a festeggiarla.  Il 6 novembre le intitolerà il ponte sul Naviglio Grande, poco lontano dalla sua casa in Ripa di Porta Ticinese.
Io sono stata a casa di Alda Merini. Una casa piccolissima, piena di vita e di ricordi. Le foto sulle pareti, i muri ricchi di poesie e numeri di telefono. Un caos creativo che solo lei poteva capire. Necessario per poter creare, raccontava. L’avevo chiamata al telefono e lei non si era sottratta alla mia richiesta di intervistarla. Sarà schietta con me e ironica.

Sorridente, con le labbra fresche di rossetto, ci viene incontro sulle scale nella sua casa lungo il Naviglio. Alda Merini, una delle voci poetiche del panorama italiano che non passa nell'indifferenza.
Con pudore entro nella sua casa cercando di non invadere quel mondo che appartiene solo a lei. 
I ricordi si accavallano in ogni angolo: foto, oggetti, quadri... Sul pianoforte l"'Appassionata" di Beethoven. 
«Questa casa emoziona tutti. C'è un tale disordine! – mi dice - . Lei deve provare a mettere a posto il cielo e le montagne. Una faticaccia. Qui c'è tutto l'universo del poeta.»
Parla tranquillamente in poesia.  

Primo piano di Alda Merini
Foto di Caterina Balocco

La poesia di Alda Merini

A quindici anni già scriveva liriche. Perché così presto?
«Ho iniziato prima ancora. Avevo la rima nel sangue.»

Cos'è per lei la poesia?
«Sono domande che mi fanno girare le scatole! Perché lei è stata creata così?»

Capisco subito che non sarà un'intervista facile. Alla Merini non piacciono le cose scontate. Poi però mi ri­sponde e lo fa con il cuore.
«La poesia è una necessità di vita, non è un'arte. È un modo di vivere, è la complessità del corpo, dell'amore.» 

Voleva fare il liceo, ma non è passata all'esame di am­missione. Un ricordo che ancora brucia?
«Mi hanno bocciata in italiano. Mia madre è finita alla neuro e a me è venuto il tifo dal nervoso. Mi sono talmente intimidita che non ho parlato più. Sono molto timida, non sembra, vero?» 

Se la sente di parlare del periodo in cui è stata allontanata dai suoi affetti pù cari?
«Ah no, basta! Parliamo di gioia! C'è sempre questo culto del dolore... Son passati tanti anni...»

Ne ha parlato troppo? 
«Ne ho parlato tanto perché cercavo di essere capita: che si può trovare gioia aiutando gli altri. Quando però hanno imperversato sulla mia persona... allora no! Perché solo l'Alda Merini poteva dire che la vita era bella all'interno del manicomio. Ma non era così!» 

Com'era invece? 
«Era un lager che per un miracolo io ho trovato buono. Devo dire che il miracolo della mia mente non è stato tanto il manicomio, ma trovare bello una cosa oscena come il manicomio.» 

Emarginata tra gli emarginati, che lei ha definito compagni di religione. Come ha vissuto questo rapporto?
«Un'infermiera m'ha detto: "È stata con noi tanti anni e non ci ha detto che scriveva?". Mica ero matta! Sarebbero venuti a rompere le scatole. Ero anonima, tra gli anonimi. In manicomio c'erano molti poveri, molti diseredati. lo ho trovato la povertà nei supremi beni dell'uomo. Chi è privato di tutti i beni trova la sua felicità in Dio, nella provvidenza. Nei miei malati ho trovato tanto amore e non ho mai trovato uno che facesse proposte oscene o mancasse di rispetto all'altro.»

La poesia è legata al dolore?
«Ma no! Non centra niente. Non è che dal dolore viene la poesia, anzi il dolore soffoca la poesia. Nessuno scrive in manicomio.»

Infatti non ha scritto. 
«Non c'erano neanche le penne, non c'era la carta, neanche le mutande, Ma non c'era il bisogno di scrivere. C'era la felicità estrema.» 

In che senso?
«C'era la vita, la speranza di vivere.»

Sentiva di essere dentro la malattia?
«Si soffre tanto, ci si rende conto che è un male contro natura. Sragioni ma non ci puoi fare niente.»

Ma è stata forte …
«Mi dicevo che era gente che non capiva molto quello che stava facendo. Il miracolo è stato che un giorno mi hanno messo in mano 100 lire ed ho fatto il primo ragionamento larvato dicendo: "Forse posso comprare qualcosa". Il contatto con la realtà mi ha riportato alla vita. Perché il denaro conta.» 

Cosa se ne fa del denaro?
«Lo do a chi ne ha bisogno. lo non ne ho mai. Lo regalo ai poveri, ai bisognosi, Perché credo che l'uomo debba all'altro uomo ciò che ha in eccedenza.» 

La croce di Alda Merini

Alda Merini seduta sul suo letto con il muro coperto di appunti
Alda Merini nella sua camera da letto ci ha fatto ascoltare il Poema della croce
Foto di Caterina Balocco


«Ho avuto anch'ilmia Palestina». scrive iLa Terra santa.
«L'ho scritta dopo esser uscita dal manicomio, quando l'ho esorcizzato, quando ho trovato un momento di felicità, di pausa, per poter rivedere quello che avevo vissuto.»

«Venga di là che le faccio sentire il Poema della croce – dice ad un certo punto - così capirà cos'era il manicomio.»
In camera da letto ci fa ascoltare il CD appena pubblicato con Giovanni Nuti che canta le sue poesie:«Il legno per non sentire gli spasimi, il legno per non sentire il dolore… il legno come cosa giusta...morirò sul legno...».

Perché questo paragone con la croce? 
«Il poema della croce è nato da una cosa banale. Da un'operazione all'anca riuscita male. Non ho potuto più muovermi. Ed ho sofferto molto.»

Cosa rappresenta la croce? 
«Cantare la croce significa cantare il dolore, ma al tempo stesso anche la liberazione. La croce richiama la morte, ma è pure la base della risurrezione.» 

Poeta, misteriosa creatura.
«Il poeta si interroga, mentre la persona cretina è nella massa e va dietro all'onda…» 

Non tutti hanno la magia della parola.
«II poeta non è un mago. Il poeta è anche un carismatico, può ricevere in questo pattume e può ricevere in una reggia, se ne frega delle apparenze. Se avessi potuto avrei fatto il barbone perché vivere liberi è una grande cosa. Il poeta vuole la libertà.»

Che cos'è per lei la libertà?
«La ricerca, lo spazio, poter fare le scale.»

Così controcorrente ed ha scelto di scrivere su una figura come Maria...
«Non sono io che ho scelto, è Maria che ha scelto me. "Se i profeti sono figli di Dio, i poeti sono i nipoti di Dio", diceva un vecchio neurologo. Sono ispirati, sono scelti, sono i prescelti.»

La sua casa è piena di ricordi.
«Il vecchio vive di ricordi. Anche i giovani vorrebbero questi ricordi ma non possiamo darglieli, perché non possiamo fare il percorso delle loro vite, lo devono fare da solì.»

Come?
«La vera vita è il pensiero e se uno non ce l'ha, l'altro non glielo può regalare. Purtroppo non si può vendere. Non cercare di capire la vita, allora ci sarà una festa. La felicità sta proprio in una parziale ignoranza della vita. Accettiamo anche quello che c'è di negativo, non c'è tutto bello nella vita, però si può sognare che sia bello. È lì che nasce la poesia.»