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10 Luglio 2021

Nonviolenza: l'uomo che salva il ricordo dei martiri

Intervista ad Anselmo Palini: una vita spesa per scrivere la storia del bene.
Nonviolenza: l'uomo che salva il ricordo dei martiri
Foto di contagioradio.com
«Abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme», nella 54ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Sulla stessa strada, ecco le vite dei costruttori di pace raccolte nei libri di Anselmo Palini.
Intervista allo scrittore Anselmo Palini, bresciano, già docente di Materie Letterarie nella scuola superiore e saggista. Ha pubblicato numerosi libri e articoli, approfondendo soprattutto i temi della pace, dell’obiezione di coscienza, dei diritti umani, della nonviolenza, dei costruttori di pace e offrendo una visione della Storia del Bene nel Novecento.

Anselmo Palini e i suoi libri

Anselmo Palini
Anselmo Palini
Tra i libri di Anselmo Palini ricordiamo: Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni, (ed. Ave); Voci di pace e di libertà. Nel secolo delle guerre e dei genocidi (ed. Ave); Più forti delle armi. Dietrich Bonhoeffer, Edith Stein, Jerzy Popieluszko, (ed. Ave); Teresio Olivelli. Ribelle per amore (ed. Ave); Primo Mazzolari. Un uomo libero (ed. Ave); Sui sentieri della profezia. I rapporti fra Giovanni Battista Montini-Paolo VI e Primo Mazzolari (ed. Messaggero); Una terra bagnata dal sangue. Oscar Romero e i martiri di El Salvador, (ed. Paoline); Oscar Romero. “Ho udito il grido del mio popolo”, (ed. Ave); Marianella Garcia Villas. “Avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi”, (ed. Ave); Pierluigi Murgioni. “Dalla mia cella posso vedere il mare” (ed. Ave); Hélder Câmara. “Il clamore dei poveri è la voce di Dio” (ed. Ave).

In tutti i libri che hai pubblicato si scorge una sorta di filo rosso che li unisce nel Fare memoria del Bene, ci spieghi meglio?

Il filo rosso che collega tutti i miei libri è proprio il desiderio di raccontare storie buone, ossia “fare memoria del bene”, come ci ha ricordato ancora papa Francesco in Fratelli tutti: «Senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Non mi riferisco solo alla memoria degli orrori, ma anche al ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli e grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità. Fa molto bene fare memoria del bene».

Senza andare troppo indietro nel tempo per recuperare queste storie buone, possiamo fare “memoria del bene” restando al Novecento. In realtà ci troviamo di fronte ad un periodo molto lungo da raccontare, con i suoi drammi e i suoi orrori. Iniziato con il genocidio degli Armeni ad opera del governo turco nel 1915, il XX secolo è proseguito con la brutalità dei Gulag e l’inferno della Shoah.

Ma se dunque il Novecento ha un volto inumano, violento, intollerante e oppressivo, ha anche il volto di chi, in tali contesti, ha cercato di resistere e di affermare il proprio diritto alla libertà, di chi ha condannato la sopraffazione e ha manifestato un desiderio di pace.

Il Novecento è stato dunque un secolo di abissi, di barbarie e di crudeltà inimmaginabili, ma anche di grandi conquiste di liberazione, di maestri e di testimoni coerenti e profetici. Con i miei libri cerco di far conoscere il pensiero e la vicenda biografica di uomini e di donne che hanno contribuito con la propria vita e con il proprio sacrificio alla costruzione di quella che Paolo VI ha chiamato la “civiltà dell’amore”.

Possiamo dire che racconti dunque di persone che hanno tenuto accesa la fiaccola della giustizia, della pace e della libertà, nella notte delle guerre, dei genocidi, dei totalitarismi? Chi sono?

Proprio così. Paolo Giuntella, (compianto quirinalista del TGUno), in un saggio intitolato Il fiore rosso, ha scritto che non è stata la forza dei templi, la potenza delle istituzioni umane, ad assicurare all’umanità il suo avvenire, bensì il passaggio del tizzone ardente della testimonianza di generazione in generazione, attraverso un grande movimento biografico, cioè attraverso storie di uomini e di donne ben concreti.

Come Franz Jagerstatter e Josef Mayr Nusser, che si sono rifiutati di vestire la divisa dell’esercito tedesco in quanto cristiani. Come Etty Hillesum, che nell’inferno del lager ha elevato un inno alla bellezza della vita ed ha scoperto la presenza di Dio. Come i ragazzi della Rosa Bianca, che hanno sfidato il potere nazista con la forza delle idee e delle parole. Come Dietrich Bonhoeffer, protagonista della resistenza al nazifascismo, per il quale “chi non alza la voce in difesa degli Ebrei non può cantare in gregoriano”. Come Pavel Florenskij, pope ortodosso, grande scienziato, filosofo, matematico, teologo, che dal gulag scriveva ai figli lettere struggenti, parlando loro di Dio senza mai nominarlo per non incorrere nella spietata censura sovietica.

Come il cappellano di Solidarnosc, Jerzy Popieluszko, che con la forza della parola e della fede sfidava il potere comunista in nome dei sacrosanti diritti sindacali e di libertà dei lavoratori e del popolo polacco. Come Teresio Olivelli, il ribelle per amore, che nel sacrificio supremo in un lager tedesco ha compiuto il senso della sua vita. Come don Primo Mazzolari, che con “Tu non uccidere” ci ha offerto una riflessione sui temi della pace e della guerra ancora oggi inarrivabile. Come Edith Stein, agnello immolato per l proprio popolo, e come Anna Achmatova, che osò sfidare il potere staliniano con la forza della poesia.

Questi e altri i personaggi dei miei libri. Nei miei libri ho anche raccontato di Oscar Romero e di Marianella Garcia Villas, di padre Rutilio Grande e dei gesuiti dell’Università Centroamericana di San Salvador, di Helder Camara e di Pierluigi Murgioni.

Tutti questi martiri ci consegnano il testimone di una grande responsabilità: proseguire nella strada da loro tracciata, la strada della fraternità, della nonviolenza, di un Vangelo incarnato, di un’attenzione privilegiata ai poveri e agli oppressi.

Qual è la via di Pace che questi testimoni hanno percorso?

Ci troviamo di fronte ad una lunga fila di testimoni di pace e di giustizia che hanno preso sul serio l’affermazione di Benedetto XV secondo cui «la guerra è un’inutile strage, una follia» che hanno messo in pratica le esortazioni di Paolo VI all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: «Facciamo nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia... Non si può amare con le armi in pugno... Lasciate cadere le armi dalle vostre mani...»; hanno cercato di incarnare le proposte di pace e di giustizia contenute nelle encicliche Pacem in terris di Giovanni XXIII e Populorum progressio di Paolo VI e percorso la strada della nonviolenza indicata da papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace del 1° gennaio 2017.

A cosa stai lavorando ora? Quali altri costruttori di Pace ancora non adeguatamente conosciuti?

Ad un nuovo libro, che uscirà in autunno per l’editrice Ave, su mons. Juan Gerardi, vescovo del Guatemala, considerato “il Romero dimenticato”. Mons. Gerardi, soprannominato anche “il vescovo dei diritti umani”, “la voce dei poveri e degli oppressi”, il 26 aprile 1998, due giorni dopo avere presentato pubblicamente, nella cattedrale di Città del Guatemala, il Rapporto “Nunca más”, “Mai più”, sui 36 anni di guerra civile, di assassinii, di massacri, di violenze, opera in gran parte delle forze militari, fu ucciso sotto casa.

Si trattava della vendetta messa in atto da quelle forze che nel suo Rapporto erano indicate come responsabili della repressione che aveva devastato il Paese. La figura di Juan Gerardi è stata troppo a lungo dimenticata e merita di essere riscoperta per la assoluta grandezza della sua testimonianza e del suo servizio a fianco di un popolo di martiri.