Le grandi metropoli asiatiche, come Dhaka, sono molto caotiche e trafficate. Molte persone non sono censite e non hanno documenti di riconoscimento, quindi anche con dei nomi precisi non sono facili da ritrovare; non è possibile andare in Comune e chiedere che trovino una certa persona. Purtroppo sono tantissimi i bambini di strada che non sono stati abbandonati dai genitori, ma si sono persi. Questo è un fenomeno diffuso soprattutto nella città di Dhaka, ma comune anche in altre grandi città asiatiche in India, in Pakistan, ecc. È stato anche fatto un film, Lion, che racconta una storia molto simile a quella di Nobi: il ragazzo protagonista era stato adottato da una famiglia australiana ed è riuscito a ritrovare la sua mamma. Ora che c’è internet le informazioni girano molto più velocemente, mentre fino a qualche anno fa le persone che vivevano nei villaggi non avevano questi mezzi tecnologici per poter risalire a queste informazioni.
Eravamo nel 2000 e io ero appena arrivata in Bangladesh, catapultata nel piccolo villaggio di Chalna, dove la Comunità Papa Giovanni XXIII aveva iniziato da pochissimo la sua missione. Avevo 21 anni, ero una giovane in ricerca, anche un po’ scapestrata, ma avevo la guida sapiente di don Oreste Benzi. Quel giorno una delle suore di Madre Teresa di Calcutta ci ha portato in missione un bambino di circa 4 anni, trovato solo a girovagare spaventato sulle strade della capitale Dhaka. Quel bambino dolce e tenace mi ha scelta e mi ha fatto diventare la sua mamma, quando non lo avevo né programmato, né cercato, né mi sentivo pronta... ma chi lo è mai davvero?
Da quel giorno la mia vita si è trasformata, attraverso quel sì detto a Nobi e anche attraverso tanti altri sì detti ad altri bambini e ragazzi che ho accolto nei 12 anni di vita in Bangladesh.
Lo sguardo di Nobi, sicuro che mai lo avrei abbandonato, mi ha accompagnato in quel viaggio, che è stato a volte molto faticoso e che ha affrontato alti e bassi, ferite profonde, affetto smisurato, incomprensioni, amore incondizionato, urla e abbracci, sorrisi e lacrime.
Quando sono rientrata in Italia, Nobi aveva 17 anni e non è stato facile spiegargli che non sarebbe potuto venire con me. Per nessuno dei bambini e dei ragazzi che sono rimasti in Bangladesh, per i quali io ero il punto di riferimento, è stato facile, ma forse Nobi è stato uno di quelli che ha capito meglio: era maturo abbastanza per capire che era necessario che io venissi in Italia per salvare Shibu, che lui sentiva come un fratello.
Ci siamo sempre tenuti in contatto, anche dopo che sono rientrata in Italia. Come ogni figlio grande, con il suo carattere e la sua vita che va avanti, quando stava bene non si faceva sentire più di tanto, se non con qualche saluto, qualche foto, ecc. Quando invece attraversava dei momenti difficili, magari se aveva delle incomprensioni con gli amici, oppure quando pensava al suo futuro, allora mi chiamava e ci sentivamo più frequentemente. In tutti questi anni (ormai è 9 anni che sono rientrata in Italia) mi ha sempre tenuta aggiornata sulla sua vita, sui suoi successi e sulle sue difficoltà perché sono il suo unico punto di riferimento.
Nobi nel suo intimo ha sempre sentito di essersi perso, ha sempre saputo che non era stato abbandonato. Il desiderio di ritrovare le proprie origini lo ha sempre accompagnato e io l’ho sempre incoraggiato e aiutato in questa ricerca. Quando aveva 7-8 anni siamo andati insieme dalle suore di Madre Teresa per capire come l’avevano trovato, abbiamo parlato con la suora che l’aveva tolto dalla strada e che aveva appeso le sue foto in giro, ma non siamo riusciti ad avere altre informazioni utili. In altri periodi della sua vita eravamo andati a Dhaka nel quartiere in cui era stato trovato da piccolo, ma senza risultati. Poi aveva un po’ accantonato la cosa, finché qualche tempo fa mi ha parlato di questo programma televisivo, mi ha chiesto cosa ne pensavo e io gli ho detto di andare avanti. L’equipe del programma è stata molto gentile, hanno accolto la sua richiesta anche se non era scontato, visto che ci sono tantissimi bambini che si perdono in Bangladesh e lui non aveva molti elementi noti.
Il programma si è svolto in due puntate ed è stato molto forte e intenso, molto bello. Nella prima puntata Nobi ha raccontato tutta la sua storia, facendo riferimento anche alla Comunità Papa Giovanni XXIII che l’aveva accolto. Il conduttore ha diramato la sua richiesta per ritrovare i genitori di Nobi, sintetizzando le sue caratteristiche più riconoscibili, ad esempio che lui aveva una malformazione all’orecchio, il fatto che era stato smarrito in quel preciso momento a Dhaka, ha detto il nome della madre e del padre che Nobi si ricordava, il nome di una sorella (che in realtà era una cugina, ma da piccolo le sembrava una sorella). In seguito alcune persone hanno contattato l’emittente televisiva dicendo che erano loro che avevano perso Nobi. L’emittente televisiva ha avvisato Nobi, poi sono andati a verificare con le autorità del luogo (sindaco, ecc.) per capire se i dati corrispondevano al vero. È stato fatto tutto in maniera molto seria.
Dopo il programma Nobi ha scelto di andare subito con questo zio e questo fratellastro a casa degli altri parenti che non erano riusciti ad andare a Dhaka perché il costo del viaggio era troppo alto per loro. Lui si è preso una settimana di ferie dal lavoro, in quei giorni c’era una festa musulmana molto importante che per la prima volta lui ha potuto trascorrere con la sua famiglia. Mentre era là abbiamo fatto delle videochiamate dove ci siamo presentati e raccontati e conosciuti. Una cosa che ha colpito molto Nobi è che tutti nel villaggio, dal sindaco al gestore del piccolo bar, hanno detto che la sua mamma lo aveva cercato per tanto tempo. Essendo un villaggio di campagna il fatto che si fosse perso questo bimbo ha fatto scalpore, aveva provocato tanto dolore, tutti ricordavano questa mamma così addolorata per la perdita del figlio. Purtroppo la madre di Nobi non ha potuto gustare la gioia di riabbracciare il figlio che aveva perduto: è morta quattro anni fa. Invece del padre non ci sono notizie, perché aveva abbandonato la madre quando era ancora incinta di Nobi.
È stata un’esperienza molto forte: questo figlio grande, ritrovato, accolto con gioia da tutto il villaggio, si è sentito molto a suo agio. Ha trovato una famiglia allargata molto numerosa e molto accogliente. Ora la sua vita va avanti, continua a lavorare nella ditta di import-export, sta facendo dei corsi serali per ottenere il diploma delle scuole superiori. Si sente spesso con i suoi familiari e quando riesce va a trovarli. Finalmente ora potrà anche ottenere dei documenti di identità reali, potrà fare il passaporto, cose prima impossibili perché non aveva un’identità riconosciuta.
Nobi ora è felice, ha trovato la pace nel sapere che è sempre stato cercato e amato e non è stato abbandonato. Non era scontato e questo gli ha riempito un buco nel cuore.
Gli altri ragazzi, che erano in casa famiglia con lui, con cui è sempre rimasto in contatto, sono rimasti molto colpiti dalla sua determinazione e tenacia, che non tutti hanno. Hanno un senso di ammirazione e si sono anche commossi perché lui era più orfano di altri e finalmente ha trovato qualcuno. Si sono stretti tutti attorno me, è stato un momento molto bello che ha coinvolto tutta la nostra strana famiglia!