29 Aprile 2025
Ultima modifica: 29 Aprile 2025 ore 16:15
Blackout in Spagna. «Senza corrente? Abbiamo fatto una grigliata»
Cucina a legna e radio a onde corte per sentire le notizie. La resilienza di una casa famiglia, abituata ad affrontare le situazioni di emergenza.
Foto di Arturo Mottola
Il blackout che ieri ha lasciato senza energia elettrica Spagna e Portogallo ha coinvolto anche alcuni missionari della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ecco il racconto di com'è andata.
Martedì 28 aprile, ore 12.33, la penisola iberica si spegne. Un gigantesco blackout si è verificato in Portogallo, Spagna e parte del sud della Francia. Un’area immensa rimasta interamente senza energia elettrica fino a notte fonda, poi pian piano la luce è tornata nelle varie città ed ora l'energia elettrica è nuovamente disponibile in tutto il Portogallo e nel 99,5% della Spagna.
Il blackout ha letteralmente fermato i due Paesi: semafori spenti e traffico in tilt nelle grandi città, chiusi aeroporti, ferme le metropolitane, chiusi i distributori di benzina, nessun collegamento internet, nessun pagamento elettronico funzionante, chiusi i bancomat.
Tra le persone coinvolte, in Spagna, a Guadalajara, una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Abbiamo raggiunto i responsabili al telefono per sapere come hanno vissuto questa situazione.
«Mi sono ricordato di una vecchia radio a onde corte»
«Ieri sera, vista la situazione, abbiamo acceso la griglia e abbiamo cucinato piadine e arrostito un po' di carne. Grazie al cielo non faceva freddo». A parlare è Arturo Mottola, 63 anni, originario di Napoli, ma una vita in giro per il mondo. Responsabile della casa famiglia insieme alla moglie Vicki, boliviana, di storie drammatiche ne ha conosciute tante, ed è abituato ad affrontarle senza perdersi d’animo.
«Non funzionava nulla – spiega Mottola –. Nei primi minuti del blackout ho fatto in tempo a mandare un messaggio a mia sorella in Italia per capire se anche lì c'erano problemi, poi ho sentito mio figlio che vive a Madrid, ma è saltata anche la connessione della rete mobile. Non andava la televisione, il wi-fi, il telefono. Allora mi sono ricordato di una mia vecchia radio a onde corte e così abbiamo ascoltato le poche notizie e capito quello che stava succedendo».
Adesso la corrente è tornata, ma, ci spiega, è ancora tutto abbastanza silenzioso.
«Le scuole sono chiuse e anche le fabbriche. La luce è tornata all'una di notte. Mio figlio è uscito dalla metro di Madrid e poi è tornato a casa a piedi. Qui a Guadalajara c'è l'area industriale del Corredor del Henares e molti lavoratori ieri pomeriggio sono tornati a casa a piedi facendo anche decine di chilometri».
La casa famiglia di Arturo e Vichi si è insediata qui da cinque anni. Attualmente a viverci stabilmente sono in otto, ma poi c'è una gran via vai in casa. «Viviamo in una struttura della Diocesi di Guadalajara, tanto che ieri le suore che vivono di fianco a noi hanno dovuto usare i nostri passaggi perché il loro portone era bloccato».
Il lungo viaggio di Arturo e Vichi
Arturo lavora per la Caritas dove è responsabile dell'area famiglia e della pastorale Rom. «Ora stiamo per aprire un nuovo centro, ci mancano le ultime firme per procedere».
Un percorso lungo quello prima di arrivare in Spagna: «Sono partito da Napoli giovanissimo, ho fatto il servizio civile in una comunità a Milano per poi entrare nell'Ordine dei frati francescani e poi sono partito per andare in missione, prima in Africa e poi in Bolivia. Qui ho capito che la vita religiosa non faceva per me, ma ho continuato a lavorare per sette anni in un centro per ragazzi disabili che avevo fondato. Poi conosciuto Vicki, con cui mi sono sposato. Come coppia abbiamo vissuto in Brasile, dove abbiamo conosciuto Paolo Tonelotto – storico missionario con sua moglie Anna – che ci ha parlato della vocazione intuita da don Oreste Benzi, e così siamo entrati nella Comunità Papa Giovanni XXIII.»
Sembra un punto di arrivo, invece è una ripartenza: «Abbiamo vissuto sei anni in Cile, poi siamo tornati in Bolivia, tre anni nella capitale La Paz e sei anni a Yacuiba nel sud del Paese. Poi abbiamo vissuto sette anni in Argentina, nella città di Salta. Infine siamo tornati in Italia, vivendo per due anni a Lamezia Terme, in Calabria. Ed ora dal 2020 siamo qui in Spagna».
A sentire la storia della loro famiglia, si capisce perché il blackout non li abbia turbati più di tanto: «Devo dire che, per quel che ho visto io, la gente è stata bravissima, tutti disciplinati, senza scene di panico pur nel grave disagio, dato che molti si sono fatti decine di chilometri a piedi per tornare a casa. Ognuno ha fatto la sua parte».