Era il 14 settembre 1998, festa dell’Esaltazione della Croce, quando a Sabbiuno fu aperta la prima Casa di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII. A don Luigi aveva colpito lo stile di accoglienza e di famiglia allargata delle comunità fondate dal sacerdote riminese, prete di campagna, parroco di tutti, come lui. Da qui nasce l’intuizione di far rivivere di persone recuperate quei ruderi che sono altrettanto da recuperare. Le prime ad essere accolte sono le giovani donne scappate dal racket della prostituzione albanesi, rumene, moldave, accompagnate di giorno e di notte dalle forze dell’ordine per sfuggire agli sfruttatori. Successivamente su richiesta dell’Asl di Bologna, vengono accolti anche i malati terminali di aids che non hanno chi li accompagni negli ultimi giorni di vita: un atto intenso di prossimità e di condivisione, dove ogni esistenza – fino all’ultimo respiro – conta.
Nel 2006 al n. 40 di Via Sammarina, in un altro casolare di fronte alla parrocchia la casa di accoglienza per adulti “San Giovanni Battista” amplia i propri spazi e accoglie attualmente persone con problemi di dipendenza e disagio psichico e donne vittime di maltrattamento che riscoprono le potenzialità, attraverso laboratori psicoeducativi (arteterapia, musicoterapia e teatro), per la propria inclusione e per uscire dalla solitudine. Anche la cura della dimensione spirituale diventa un’occasione di speranza per passare dalla fragilità al protagonismo nella propria vita.
Al n° 12, invece, si sviluppa la Comunità terapeutica “San Giuseppe”, un centro di accoglienza per adulti e giovani adulti con problematiche di dipendenza.
L’intento è ambizioso: accogliere, sostenere e accompagnare nel percorso personale affinché gli ospiti diventino protagonisti del proprio riscatto in un contesto di vita comunitaria, dove l’azione educativa e psicologica si affianca alle relazioni che si instaurano nella quotidianità e permettono di prevenire l’isolamento sviluppando le risorse per una vita autonoma.
Inoltre, in un altro casolare nelle vicinanze sorgono due appartamenti post-programma “Kairos” e “Santa Caterina” per l’avvio alla reintegrazione sociale e lavorativa di chi ha finito il percorso di recupero. E un terzo appartamento “Dedalo” è stato aperto di recente a Zola Predosa, vicino alla Cooperativa La Fraternità dove chi è uscito dalle dipendenze si sperimenta nel lavoro.
Infine al n. 50 nel 2014, viene aperta la “Capanna di Betlemme” con 25 posti letto. Ogni anno accoglie adulti in condizione di disagio, prevalentemente persone senza tetto, con fragilità sanitarie o restrizioni giuridiche. Tanti sono gli italiani ma negli ultimi anni è aumentata l’accoglienza di cittadini sopraggiunti dalle rotte migratorie. Per alcuni di loro, la “Capanna di Betlemme” è un riparo per la notte dove trovare ristoro, mentre per tanti altri, per la permanenza prolungata ed il clima familiare, diventa una casa in cui attraverso la vita condivisa è facilitato il reintegro nella società anche attraverso percorsi individuali sostenuti dai servizi sociali. L’intento – spiega Padre Luca Morigi che ne è il responsabile – è «di ridare dignità e speranza a uomini soli e feriti in diversi modi dalla vita, attraverso la strada della condivisione diretta ovvero come ci ha indicato don Oreste Benzi, nel mettere la propria vita con la vita del fratello ingiustamente obbligato nella povertà e nell’umiliazione, e provare a sostenerci reciprocamente per un cambiamento di vita, attraverso la quotidianità, la fraternità costruita attorno alla tavola e alle loro necessità. Sostenerci significa anche intervenire direttamente presso le istituzioni o gli enti competenti, per ottenere quei diritti umani necessari a recuperare dignità e autonomia nella società».
Per scoprire queste opere, frutto dell’intuizione del sacerdote riminese – domenica 12 ottobre Castel Maggiore ospiterà una giornata di incontro e festa dedicata a “Don Oreste: innamorato di Dio e parroco di tutti”.
L’iniziativa, inserita nel Centenario della sua nascita, e patrocinata dalla Città di Castel Maggiore, coinvolgerà famiglie, gruppi giovanili, parrocchia, associazioni e istituzioni alle ore 10 in una camminata comunitaria alla scoperta delle case di accoglienza, segno della comunità locale che si prende cura degli ultimi.
Nella chiesa di San Bartolomeo di Bondanello, alle ore 16 il Cardinale Matteo Maria Zuppi e l’economista Stefano Zamagni dialogheranno con la giornalista Chiara Pazzaglia, offrendo spunti di riflessione su don Oreste Benzi e il suo impegno come parroco testimone di una “Chiesa in uscita”. A seguire, alle ore 18 la celebrazione eucaristica con l’ingresso del nuovo parroco, il reverendo don Daniele Bertelli sarà il culmine della giornata per tutta la comunità.
Oggi più che mai queste quattro case di accoglienza sono risposta per giovani, uomini e donne, che vivono la doppia fragilità delle dipendenze e della salute mentale o che rimangono senza casa.
Nel 2025 infatti l’area metropolitana di Bologna si è trovata di fronte ad un quadro sempre più complesso riguardo alla fragilità giovanile e adulta. I dati dei Ser.D parlano chiaro: nel 2024 2.534 seguite per l’uso di sostanze stupefacenti - in aumento il crack -, 1.073 per alcol e 282 per gioco d’azzardo. A colpire è l’aumento di donne, migranti e persone senza tetto. La situazione è aggravata da una cronica carenza di personale sanitario: - 252 professionisti.
Anche la salute mentale è compromessa: fino a un terzo della popolazione soffre di sintomi depressivi e disturbi d’ansia. Il 43% degli utenti dei Centri di salute mentale è donna. La fascia prevalente delle persone fragili appartiene alla fascia 45-54 anni e a seguire ai 25-34 anni. Il gender gap riguarda anche le ragazze che affrontano i disturbi alimentari, aumentati rispetto al passato del 30%. L’aumento delle prese in carico tende a mettere sotto stress i servizi territoriali per cui comunità specificamente preparate per sostenere chi presenta vulnerabilità multiple – tra cui anche la Comunità Papa Giovanni XXIII - diventano una risorsa fondamentale.
Don Luigi Gamberini, sulle orme di don Oreste Benzi, non poteva immaginare che dalla sua prima intuizione sarebbe nato un nuovo slancio per la comunità locale con nuovi legami, relazioni significative e che quegli edifici rurali - in sinergia con i servizi territoriali - potessero continuare a ridare vita e dignità a tante persone con diverse fragilità, età e nazionalità ma tutte “sulla stessa via” della rinascita.