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22 Agosto 2023

In Brasile, per ridare nuova vita dopo la droga

A Castanhal, nel nord del Brasile, la Comunità di don Benzi gestisce una comunità terapeutica
In Brasile, per ridare nuova vita dopo la droga
Foto di Massimo Boni
Vivere la condivisione con adulti imbruttiti dall'abuso di alcol e droga ti mette alla prova. Se però riesci a scalfire la loro corazza, capisci che nessuno è perduto se ha qualcuno che crede in lui. Massimo Boni, missionario in Brasile, racconta la sua esperienza.
Castanhal è una città di circa 200.000 abitanti alle porte dell’Amazzonia. 
Siamo nel nord del Brasile, in una regione battuta da tanti cercatori di fortuna che pensano di arricchirsi sfruttando la foresta e il sottosuolo. Una regione complicata, in cui gli episodi di violenza sono all’ordine del giorno e l’abuso di alcol e droga è una piaga sociale.
Massimo Boni e Marineia
Massimo Boni e la moglie Marineia, membri della Comunità Papa Giovanni XXIII in Brasile
A raccontarci com'è la situazione è Massimo Boni, missionario in Brasile dal 2008. Massimo nasce a Forlì nel 1957. Figlio di albergatori, lavora fin da piccolo in famiglia. Crescendo, diventa inquieto fino a quando nel 2006 incontra su internet la Comunità Papa Giovanni XXIII. Sente infatti il bisogno di fare qualcosa per gli altri all’estero e così si iscrive al corso missioni. Dopo un’esperienza in Bolivia, nel 2008 parte per il Brasile dove diventa membro di Comunità e si sposa con Marineia.  
«Sono cresciuto in riviera romagnola d’estate e pensavo di aver visto tutto – esordisce Massimo – ma mi sbagliavo! In Brasile bere è un fenomeno culturale, è normale quando ci si incontra. Arrivare a sballarsi tutti i giorni è facile, soprattutto se a casa non hai nessuno che ti insegna ciò che realmente conta nella vita. Quando poi l’alcol non basta più, passi alla droga».
Da qui la necessità di avere sul territorio una comunità terapeutica, come espressamente richiesto dal vescovo Carlo Verzeletti alla Comunità Papa Giovanni XXIII.

«Abbiamo 60 posti in 3 fasi di recupero. – racconta Massimo che la coordina dal 2015 – 30 sono in convenzione con il Ministero delle Politiche sulla Droga che ci dà un contributo mensile per ogni accolto».
Si tratta di maggiorenni, spesso accompagnati da familiari o dalla polizia. Alcuni sono in fuga dai narcotrafficanti.
Prosegue Massimo: «Sono persone completamente destrutturate che hanno perso tutto, anche la dignità, e che per drogarsi sono spesso arrivate a prostituirsi con altri uomini».
Ragazzi che per anni hanno vissuto la falsa libertà della strada, egoisti e arroganti. 
«Portarli a un reale cambiamento è difficile. Anche perché tanti sono analfabeti o quasi e non capiscono il significato profondo di numerose parole. Noi insegniamo loro le regole e il dialogo, in un contesto in cui ti chiedono l’acqua con un’occhiata. Li aiutiamo a conoscersi davvero».
Purtroppo, di fronte ai propri scheletri, spesso non reggono e vanno via.
«È frustrante – conclude Massimo – ma alcuni ce la fanno. Come 4 dei nostri 7 coordinatori che in passato usavano sostanze chimiche. Oggi mi dicono: "io respiro dentro la comunità terapeutica, viverla mi aiuta a vivere la mia famiglia". Per me non c’è gioia più grande».

Serve il tuo aiuto! Un freezer per la comunità terapeutica

Il percorso di recupero si basa su spiritualità e terapia del lavoro. Diverse sono le attività portate avanti, sia per trasmettere competenze professionali ai ragazzi sia per coprire le spese di gestione. Oltre all'orto, agli alberi da frutto, all'allevamento di polli, maiali, conigli e porcellini d’India e a una fabbrica di scope fatte con bottiglie di plastica riciclate, c’è il forno che sta avendo un ottimo riscontro. Gli ordini sono tanti e in aumento, ecco perché si vorrebbe acquistare un freezer per preparare il pane in anticipo e scongelarlo all’occorrenza. Grazie per il vostro aiuto!    
Per maggiori informazioni e per contribuire, potete trovare qui tutti i contatti.