È partito ad inizio ottobre a Torino il secondo corso di formazione rivolto a 30 giovani che desiderano diventare caregiver per mettersi al servizio dei piccoli ricoverati dell’ospedale pediatrico Regina Margherita. Molti sono i giovani che si sono proposti per questa attività di servizio e che hanno affrontato il colloquio di selezione per accedere al corso e questo ci rivela che i giovani hanno voglia di mettersi in gioco, di impegnarsi per gli altri e di accettare proposte anche impegnative che li facciano sentire protagonisti, attivi e dove possano esprimere il proprio potenziale.
Questa nuova opportunità di servizio nasce dalla collaborazione tra la Comunità Papa Giovanni XXIII e l’ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino, una collaborazione che parte da lontano, da quando le prime case-famiglia del Piemonte, circa 30 anni fa, cominciarono a rendersi disponibili ad accogliere bambini con disabilità o malattie complesse che provenivano dall’ospedale e che avevano bisogno di una famiglia sostitutiva o perché non riconosciuti alla nascita oppure perché provenienti da una famiglia socialmente fragile.
Nel corso degli anni questa collaborazione si è intensificata e ha coinvolto anche i servizi sociali del comune di Torino e di molti consorzi socio-assistenziali del Piemonte. I bambini disabili accolti sono stati veramente tanti, con le storie familiari più diverse ma accomunati da un unico bisogno, quello di un contesto familiare dove crescere, mettere radici e trovare affetto e calore.
Quattro giovani raccontano questa loro esperienza in un video, ci introduce la musica di un altro giovane volontario del Regina Margherita, Pietro Morello che spesso suona il pianoforte nei reparti dell’ospedale per i bambini ricoverati.
La ricerca di famiglie disponibili a questo particolare tipo di accoglienza si è poi allargata alle famiglie affidatarie esterne e ha dato risultati eccezionali: bambini con malattie genetiche o con autismo o con sindrome di Down hanno potuto essere accolti e uscire dai reparti ospedalieri dove erano rimasti a volte per lunghi mesi.
Da questo lavoro informale tra ospedale, servizi sociali ed associazione ha preso avvio nel 2019 un progetto denominato Portami a casa promosso e sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo.
Partendo dall’analisi dei bisogni delle famiglie affidatarie che negli anni precedenti si erano aperte all’accoglienza di un bambino con disabilità, il progetto si è posto l’obbiettivo di trovare nuovi strumenti di sostegno per queste famiglie allo scopo di far sì che questo tipo di accoglienza diventasse più sostenibile e quindi allargabile ad altre famiglie. È nata quindi l’idea di affiancare ad ogni famiglia accogliente un caregiver ovvero una figura esterna adeguatamente formata e disponibile ad occuparsi del bambino in situazioni di particolare carico assistenziale a domicilio oppure durante le ospedalizzazioni.
Inoltre dall’analisi delle situazioni concrete con cui l’ospedale doveva confrontarsi il progetto si è successivamente allargato per fornire assistenza ospedaliera a tutti quei bambini che si trovavano a dover trascorrere il periodo di ricovero da soli a causa della propria storia familiare difficile. Dalla nostra esperienza sapevamo che ogni anno un certo numero di bambini con disabilità si trovavano in questa situazione e non volevamo che rimanessero soli a lungo.
Nel 2020 è perciò partito un corso di formazione per caregiver organizzato insieme all’ospedale pediatrico e al comune di Torino in occasione del quale 30 giovani si sono formati per assistere in maniera adeguata i bambini con disabilità e nei mesi successivi sono stati affiancati a 12 bambini, in parte in ospedale e in parte a casa. Le norme di accesso in ospedale a causa della pandemia hanno fatto sì che i periodi di assistenza in reparto dovessero essere continuativi per alcuni giorni, ma questo non ha scoraggiato i giovani i quali hanno mantenuto la propria disponibilità. Affiancando i bambini nei reparti dove erano ricoverati, questi giovani sono diventati in poco tempo un punto di riferimento, stimolandoli nelle capacità residue, collaborando con il personale ospedaliero, gestendo i momenti delicati dei pasti, della nanna, delle visite mediche e degli esami strumentali.
Alcuni di essi sono stati affiancati a bambini senza una famiglia e hanno fatto poi da tramite con la famiglia affidataria o adottiva che li ha accolti fornendo ogni informazione utile sulle abitudini dei bambini.
L’esperienza fatta da questi giovani si è rivelata da subito molto bella e importante, fondamentale per i bambini ma anche per gli stessi caregiver che ne sono usciti arricchiti. Ecco le parole di Elisa, una caregiver che è stata affiancata ad una bambina con una grave patologia metabolica e trapiantata al fegato: «Se dovessi riassumere quest’esperienza in una parola sarebbe senz’altro “fiducia”. A partire dal concetto stesso di affido, che ne condivide la radice etimologica. Ma soprattutto per la lunga catena di fiducia che si è dispiegata dal momento in cui è squillato il telefono. Fiducia da parte di chi mi ha fatto questa proposta, credendo nella mia disponibilità e nel mio desiderio. Fiducia da parte mia, perché non c’è stato un momento in cui non abbia avuto la certezza di poter contate su una solida rete di sostegno e confronto in caso di difficoltà. E poi la fiducia sconfinata di una mamma, che mi ha affidato sua figlia in tutta la sua preziosa fragilità dopo pochissime ore di conoscenza. Ma soprattutto mi tengo ben stretta la fiducia incrollabile della sua bimba, che con i suoi sorrisi giganti ha spazzato via ogni timore e ha reso prezioso ogni istante trascorso insieme. Non è mancato qualche momento di fatica, ma nulla che non sia scomparso con qualche ora di sonno...ma la gratitudine, invece, quella rimane ben viva!»
Per informazioni: portamiacasa@apg23.org