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9 Settembre 2023

Quando l'amore si fa accoglienza

Appena rientrati dal viaggio di nozze, Mauro e Lodovica aprono le porte all'accoglienza. Oggi festeggiano 30 anni di condivisione.
Quando l'amore si fa accoglienza
Mauro Carioni e Lodovica Ghezzi festeggiano i 30 anni di matrimonio e lo stesso anniversario per la loro casa famiglia in provincia di Piacenza. Ci raccontano cos'è per loro la casa famiglia e dopo 30 anni di condivisione diretta con gli emarginati, parlano dei loro sogni per i prossimi 10-20-30 anni!

Questo 2023 è un tempo di festeggiamenti per la casa famiglia Santa Lucia a Caorso, in provincia di Piacenza. 
Lodovica Ghezzi e Mauro Carioni, mamma e papà di casa, si sono sposati 30 anni fa e siccome hanno aperto la loro famiglia agli emarginati il giorno dopo essere tornati dal viaggio di nozze, anche la casa famiglia compie 30 anni.
Per festeggiare questi traguardi importanti sono stati organizzati due momenti: una messa presieduta dal vescovo di Piacenza, mons. Cevolotto, lo scorso 27 agosto e la proiezione del film “Solo Cose Belle” il prossimo 11 settembre, seguita dalla testimonianza di Mauro e Lodovica.

mauro carioni e lodovica ghezzi
Mauro ha conosciuto a 16 anni la Comunità di don Benzi durante un campo di condivisione (una vacanza estiva insieme a disabili) e poi ha svolto il servizio civile nella casa famiglia a Misano Monte (RN). Ora lavora negli uffici amministrativi della Comunità Papa Giovanni XXIII a Rimini e quindi percorre centinaia di chilometri tra casa sua e il capoluogo romagnolo.
Lodovica a 23 anni ha ascoltato don Oreste durante una conferenza e dopo aver partecipato a un convegno sulle tossicodipendenze ha deciso di conoscere meglio la vocazione. Oggi Lodovica guida la zona Crema-Lombardia ed è stata nominata vice-responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII.

Mauro e Lodovica: perché avete scelto di diventare casa famiglia?

«Pur con sfumature diverse, entrambi abbiamo creduto e crediamo ancora fermamente di mettere a disposizione il nostro voler essere coppia/famiglia per coloro che hanno bisogno di questa condizione. Abbiamo avuto esperienze significative e costruttive di famiglia e questo dono prezioso vogliamo condividerlo con chi ne abbia bisogno. È la nostra primaria e specifica caratteristica di attuazione della vocazione. Anche le altre attività e chiamate che abbiamo svolto o svolgiamo, devono sempre armonizzarsi con questo elemento.»

Quest’anno ricorre il 50° anniversario dall’apertura della prima casa famiglia. Qual è secondo voi la definizione che meglio descrive l'essere casa famiglia?

Mauro: «Partendo dallo slogan di Don Oreste “dare una famiglia a chi non ce l'ha”, nasce la definizione “dare una famiglia a chi non ce l'ha: accoglienza, assistenza, cura e reinserimento sociale di persone svantaggiate”. In essa sono presentati molti degli aspetti significativi. Il fine profondo: dare una famiglia; il metodo: fare famiglia; l'atteggiamento personale: accogliere; l'attività concreta: assistere e curare; la meta: il reinserimento sociale. E questa si completa con "la capacità di unire in un equilibrio dinamico il lavoro educativo professionale con il lavoro di cura tipico delle relazioni familiari", che vuole esprimere l'equilibrio di essere contemporaneamente sia famiglia che struttura accogliente.» 
Lodovica: «Per me è luogo accogliente, dinamico e dove ci si prende cura dell’altro. Ogni componente entra nel cuore e chiede spazio nella testa e nel cuore, a partire dal coniuge, dai figli naturali, da tutte le persone che compongono la casa famiglia. Entrambi condividiamo il pensiero di essere famiglia a servizio degli altri per il bene comune. Quindi non una realtà chiusa e privatistica, ma con un compito ben preciso nella storia.»

Quanti siete in casa?

«Proprio perchè accoglienti, il numero è sempre alto. Il Registro presenze parla oggi di 14 persone, ma raramente siamo tutti a casa contemporaneamente. Alcuni fanno riferimento alla casa solo nei fine settimana, altri solo di giorno. Per fattori contingenti (ma come non vederci la Mano di Dio?) ed ancora per poco abbiamo in casa ancora tutti i nostri 4 figli naturali, dopo varie esperienze di condivisione e/o di studio fuori casa. La nostra è una realtà molto dinamica. Da sempre poi siamo stati una casa sede di incontri zonali o generali, grazie anche alla posizione geografica del vivere in provincia di Piacenza, aperti sempre all’ospitalità.»

Qual è la cosa che vi piace di più del condividere la vita in casa famiglia? 

«La ricchezza di relazioni, le tante persone incontrate e conosciute ciascuna con la propria caratteristica, la possibilità di entrare in un mondo vero e ricco, dove emerge la vita e tutto il suo valore.»

Quali sono le sfide che avete incontrato in questi anni nel vivere la casa famiglia?

«Lottare contro i “mostri del passato” dei nostri accolti che hanno un’immagine di famiglia traviata, negativa e piena di sofferenza. Cercare di far sperimentare a loro che la famiglia è altro, è bella, è sicura, è ricca di benessere! Questo secondo aspetto vale anche per i nostri figli naturali, che sono chiamati a vivere questa particolare esperienza di famiglia.» 

Come vedete il futuro delle case famiglia? Ci sarà sempre bisogno di qualcuno che scelga questa modalità?

«Siamo fiduciosi sul futuro delle case famiglia perchè estremamente convinti che ci sarà sempre bisogno di questa modalità di accoglienza. È la via indicata da Gesù: “Date voi stessi da mangiare”. È la strada percorsa all'origine da ogni ordine religioso che si è fatto prossimo a coloro che chiedevano aiuto. Crediamo fermamente che la condivisione diretta salverà il mondo e con lui la nostra Comunità. Il legame con i poveri è fondamentale e costruttivo di Chiesa e di società e questo legame ci porterà continuamente al rinnovamento, “all'essere giovani”, come diceva don Oreste. Certamente le forme cambieranno, le modalità organizzativo-gestionali sono già in trasformazione rispetto agli esordi del 1973, ma la sostanza rimane quella ed è necessaria ed indispensabile. Pensiamo che l'originalità portata dalla nostra vocazione sia quella di aver assegnato il compito della dedizione oblativa al prossimo anche ai laici ed alle famiglie ordinarie, non solo ai consacrati e la casa famiglia è l'esperienza nevralgica. Magari si ridurrà il numero di case, ma sarà sempre necessaria ed utile la loro funzione. Tutti dobbiamo pregare intensamente, ma qualcuno è chiamato alla vita claustrale come “provoca-azione” per tutti. La casa famiglia ha e avrà sempre questo compito.»

I giovani sono attratti o impauriti dalla casa famiglia? Perché?

«Sicuramente i giovani sono provocati dalla casa famiglia e sensibili alla sua proposta di vita intensa e coinvolgente. La difficoltà grossa è di riuscire ad intercettare la loro interiorità bucando la difesa che la società individualistica ha costruito loro attorno.  Sempre meno i giovani sono educati all'ascolto, al senso critico, all'aprire gli occhi sul mondo. È connaturato nei giovani il rompere gli schemi, cercare nuove vie per riaffermare la propria identità, contestare la situazione. Oggi però la società degli adulti ha costruito loro intorno un muro di gomma che li anestetizza, riassorbe ogni loro slancio “rivoluzionario”, ricuce ogni strappo e tutto ritorna come prima. Una volta c’erano “regole rigide” da infrangere, oggi non ci sono quasi più regole e quindi non c’è nulla da infrangere. Quando però si riesce a bucare la difesa e far incontrare la rivoluzione interiore giovanile con la rivoluzione della condivisione diretta, si costruiscono esperienze significative. Oggi i giovani hanno paura negli impegni per sempre, nei legami stretti, perché non hanno missioni da compiere e quindi motivi adeguati per superare la paura in nome di un bene più grande.»

Quest’anno festeggiate i 30 anni di casa famiglia. Quali sogni avete per i prossimi 10-20-30 anni?

Mauro: «Certamente il sogno di proseguire nella condivisione diretta in questa modalità fino a quando il Signore ce lo concederà, compresa la lucidità di saperci fare da parte quando i tempi saranno maturi. Io, quando sarò anziano non voglio finire in una casa famiglia, ma in un ricovero, così da poter vedere i film che non ho visto in tutti questi anni e non essere costretto da qualcuno del Servizio Anziani ad impegnare le mie capacità residue!». 
Lodovica: «Io sono aperta a rispondere alle richieste che il Buon Dio ci farà, come ho cercato di concretizzare fino ad ora».