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20 Giugno 2023

«La casa famiglia salva le nostre vite»

Cile: Alejandro ed Elisabeth raccontano la loro storia
«La casa famiglia salva le nostre vite»
Rayunmawen, in lingua mapuche significa "fiorire alla vita". È il nome scelto da Elizabeth e Alejandro per la loro casa famiglia in Cile, che da 20 anni è un luogo di cura e salva nella gratuità.
Entrambi originari di Santiago del Cile, Elizabeth Ruth Pulgar Soto e Alejandro Duran Segura si sono conosciuti giovanissimi e si sono sposati nel 1992. Prima di conoscere la Comunità Papa Giovanni XXIII lavoravano, per conto della Caritas, nel Centro San Leonardi nel Comune di La Pintana, alla periferia di Santiago: un centro diurno con 140 bambini, ragazzi e adolescenti con gravi problemi di povertà e vulnerabilità.
Nel 1997 conoscono la Comunità Papa Giovanni XXIII, che era arrivata in Cile nel 1994 e nel 1998 ne diventano membri. Nel 2004 scelgono di vivere la condivisione come casa famiglia e siccome nel loro cuore era vivo il desiderio di essere missionari, nel 2010 accettano di spostarsi, con tutta la loro casa famiglia, a Valdivia, nel sud del Cile a più di 800 km da Santiago, dove vivono tutti i loro parenti e amici. 
Nel 50° anniversario delle case famiglia, andiamo a conoscere meglio questa realtà cilena di accoglienza.

Cosa significa essere casa famiglia in Cile

Perché avete scelto di diventare casa famiglia?

«Per noi scegliere la casa famiglia è stata anche una forma di resistenza in un sistema dominato dall’egoismo, dove tanti fratelli soffrono e sono abbandonati. Era un modo per salvare le nostre vite e quelle dei nostri figli biologici».

Secondo voi, qual è la definizione che meglio descrive l'essere casa famiglia? 

«In questo cammino, insieme a tanto dolore di chi è arrivato nella nostra casa famiglia, scopriamo che questa realtà è uno spazio che cura e salva nella gratuità. Attraverso la condivisione della vita quotidiana, con relazioni precise e personali, si restituisce la dignità di essere figli di Dio. Inoltre essere casa famiglia aiuta noi stessi a rinnovarci nel cammino di fede e nella vocazione, ci fa maturare. Ecco perché abbiamo scelto di chiamare la nostra casa famiglia: Rayunmawen, che in lingua mapuche significa “fiorire nella vita”.»

Quanti siete in casa?

«Attualmente siamo in 11, tra mamma, papà, figli, figlie, nipote, nonna e nonno. In questi quasi 19 anni di casa famiglia sono passati circa una ventina di figli e altri venti tra adulti e migranti.» 

Qual è la cosa che vi piace di più del condividere la vita in casa famiglia? 

«Sicuramente la diversità. È meraviglioso condividere così tante storie di vita, origini, tradizioni, usanze diverse! Tutta questa diversità genera gioie, dolori, follie, disordini, giochi, abbracci, baci, pasti, idee, accordi, disaccordi, ma alla fine - come si dice in Cile – c’è il calore di casa.»


Quali sono le sfide che avete incontrato in questi anni nel vivere la casa famiglia?

«La sfida più importante è stato scegliere la preghiera, la relazione intima con il Signore e metterlo al centro della nostra relazione di sposi. Anche vivere con persone con disabilità è stata per me una grande sfida personale, ma alla fine è stato un bellissimo regalo. Imparare a essere genitori di figli adolescenti quando eravamo ancora molto giovani è stato molto impegnativo, ma ci ha fatto maturare.»

Raccontate un fatto particolarmente significativo che vi ha fatto dire: «Grazie Signore per questa vocazione!» 

«Ce ne sono tantissimi, è difficile sceglierne uno! Io, Elizabeth, posso dire che il Signore attraverso questa vocazione mi ha salvata; sento tanta gratitudine per i 30 anni di matrimonio con Alejandro, l’uomo di cui sono ancora innamorata come il primo giorno in cui l’ho conosciuto a 11 anni. Ringrazio Dio per il prezioso dono della casa famiglia e di ognuno dei figli e della vita vissuta insieme a loro. Potrei menzionare molti altri, ma mi fermo qui!»