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28 Febbraio 2024

Contro la droga ci facciamo in 4

Nel vicentino un'equipe di professionisti aiuta i giovani a prevenire il disagio e le dipendenze patologiche
Contro la droga ci facciamo in 4
Uno sportello di ascolto per i giovani e le loro famiglie, il progetto Reti di Comunità che ha incontrato più di 10mila studenti in questi anni, il progetto "Educatore in classe" e "Giovani resilienti" sono i 4 assi nella manica per sconfiggere la droga prima che entri nella vita di adolescenti e giovanissimi.
Il disagio giovanile, che spesso porta all’uso e abuso di alcol e droga, rappresenta una sfida sempre più pressante per le istituzioni scolastiche e per le famiglie. Nel territorio vicentino c’è una squadra di professionisti che si fa in quattro (progetti) per sostenere i giovani in difficoltà e prevenire l’instaurarsi di una dipendenza patologica (da alcol, droga, gioco d’azzardo, cibo, ecc.).

Progetto "Reti di Comunità"

Il primo intervento a essere messo in campo è il progetto Reti di Comunità, nato nel 2013: «Questo progetto è attivo in una decina di Comuni del territorio vicentino» spiega Monica Campagnolo, pedagogista e referente del Progetto Reti di Comunità. «L'obiettivo del progetto è promuovere la consapevolezza e la vicinanza come misure preventive per affrontare questa preoccupante tendenza. La prevenzione primaria vuole intervenire prima che si sviluppino possibili situazioni critiche, lavorando sui fattori di protezione e sulla promozione del benessere promuovendo l’acquisizione di life skills nei contesti scolastici ed extra-scolastici».
In questi 10 anni il progetto, che ha anche una pagina FaceBook e un sito internet, è riuscito a raggiungere più di 10mila studenti e 7mila genitori. Per lavorare sulla prevenzione è fondamentale collaborare con le risorse istituzionali ed educative presenti sul territorio: «Collaboriamo con Comuni dell’ovest vicentino (ULSS 8 Berica) e con i servizi territoriali come il SerD e I.A.F. (Infanzia Adolescenza Famiglia); inoltre offriamo vari interventi educativi nelle scuole che ci chiamano» dice Monica Campagnolo, che ha iniziato a lavorare come operatrice nella comunità terapeutica di Lonigo (VI) e ora si dedica totalmente ai progetti di prevenzione nel territorio.

Bambini che non riescono a gestire le loro emozioni

«Il nostro intervento si rivolge ai ragazzi che frequentano la Scuola Primaria (6-10 anni) e la Scuola Secondaria di primo grado. Realizziamo interventi anche alle scuole superiori. Principalmente proponiamo dei percorsi laboratoriali interattivi con gli studenti e gli alunni. Entriamo in classe per lavorare con loro, per trasmettere competenze relazionali ed emotive. Lavorando sul benessere della classe e sulle dinamiche di gruppo di fatto facciamo prevenzione al bullismo e alle dipendenze». 
Nelle scuole vengono proposte attività per la prevenzione al disagio, al bullismo, all’abbandono scolastico. «Sempre più spesso ci troviamo di fronte, soprattutto tra i bambini della Primaria, a tanti casi di disregolazione emotiva, che può diventare nel tempo un fattore di rischio di un disturbo da uso di sostanze. La disregolazione emotiva si ha quando il bambino vive delle emozioni molto forti, soprattutto la rabbia, ma anche altre emozioni, che lui stesso non riesce a controllare o gestire. Normalmente un bambino può vivere delle emozioni forti ma le sa regolare in base all’ambiente. Invece la disregolazione emotiva è trasversale, cioè il bambino non riesce a gestire le emozioni nemmeno in ambienti dove di solito riesce a autoregolarsi (es. a scuola o con altri adulti). Questo crea un grande disagio del bambino e può compromettere anche l’apprendimento. La disregolazione emotiva viene associata ad altre diagnosi, come ad esempio il disturbo attentivo. Un intervento psico-educativo precoce diventa fondamentale altrimenti poi nella preadolescenza e adolescenza i ragazzi vanno a cercare modalità immediate per regolare le proprie emozioni, come l’uso di cannabis o l’alcol, l’abuso di ansiolitici, ecc. Quindi lavorare sugli aspetti emotivi già nella Scuola Primaria e sostenere il bambino che manifesta questo tipo di disagio ha un carattere altamente preventivo».

Uso dei social: com’è importante l’esempio dei genitori

Un'altra attività fondamentale è volta a sostenere i genitori e le famiglie nel loro ruolo educativo nei confronti dei figli e in questi anni sono stati proposti tantissimi seminari e corsi, sia online che in presenza. «Abbiamo già realizzato diversi incontri con i genitori per parlare di un utilizzo sano dei social – spiega Monica –. Tante volte i ragazzi hanno un modello negativo proprio guardando mamma e papà: come fai a dire ai ragazzi che devono stare attenti a quello che condividono nei social, quando i genitori stessi pubblicano di tutto sui Social? La nuova sfida è lavorare sempre di più con gli adulti. Ad esempio nel territorio di Pordenone c’è un bel progetto che coinvolge i pediatri, i quali incontrando le mamme possono sensibilizzarle ad unso adeguato degli schermi, perché oltre alla salute fisica è importante trasmettere l'importanza della salute psicologica. Se, per esempio, durante l’allattamento la mamma guarda costantemente il cellulare invece che il viso del proprio bambino, è un dramma! Va a inficiare la relazione di attaccamento e di conseguenza portare ad altre difficoltà come ad esempio la gestione delle emozioni. La associazione MEC (Media Educazione Comunità) lavora con i pediatri nel territorio proprio sull’influenza che la tecnologia ha sui bambini e sulle relazioni tra figli e genitori». 

Progetto “Educatore in classe”

In questi anni di lavoro a stretto contatto con gli insegnanti di varie scuole sul territorio, si è sviluppato un bel rapporto di fiducia che ha portato a una richiesta da parte di un istituto tecnico professionale: «Si tratta di una scuola dove spesso approdano i ragazzi che hanno vari fallimenti alle spalle; si iscrivono solo perché devono assolvere l’obbligo scolastico – spiega Monica –. Molti di loro sono stati già bocciati varie volte, sono demotivati e hanno difficoltà comportamentali. Ci sono studenti che si presentano in classe senza nemmeno una penna, figuriamoci i libri! In questo difficile contesto la dirigente, che è molto sensibile, ci ha chiesto di entrare come educatori nelle classi più difficili. Noi cerchiamo un aggancio con i ragazzi creando una relazione con loro, dando loro la possibilità di parlare e di essere ascoltati. Cerchiamo di far passare il concetto che siamo lì per loro, per cercare di motivarli e aiutarli. Dopo i primi due mesi di sperimentazione, siamo stati confermati a continuare questa presenza, segno che anche gli insegnanti vedono aprirsi degli spiragli di miglioramento».

Sportello di ascolto “Ascoltami”

Oltre a queste attività rivolte alle scuole e alle famiglie, a Lonigo (VI) è attivo lo Sportello "Ascoltami", un progetto specifico di ascolto, aperto a tutta la cittadinanza, rivolto a chi ha una problematica di uso di sostanze psicoattive o per chi vive la dipendenza patologica. «Di solito sono i genitori che vengono a parlare con noi e dopo un primo colloquio con loro, invitiamo il figlio che ha problemi di dipendenza – spiega Monica – e alcune situazioni ce le ha inviate il dirigente scolastico che era a conoscenza di questa problematica».

Progetto “Giovani resilienti”

La vita dei giovani non si riduce però solo alla scuola o alla famiglia. Ecco allora un altro progetto, chiamato “Giovani resilienti”, gestito dal SerD di Vicenza, con la collaborazione di alcuni professionisti della Comunità Papa Giovanni XXIII e di altre cooperative sociali come la Fondazione San Gaetano, il CEIS e Nuova Vita.
«Il progetto è rivolto ai ragazzi che usano Cannabis, alcol e altre sostanze associate. Incontriamo i ragazzi fuori dal SerD in spazi neutri. Contemporaneamente lavoriamo con i genitori che hanno figli in quella fascia di età – dice Monica –. Le richieste che arrivano sono da parte dei familiari perché hanno notato un uso quotidiano di cannabis o di alcol da parte dei ragazzi; altre volte arrivano perché fermati dalle Forze dell’Ordine, e quindi i genitori si rivolgono al SerD per un aiuto. In questo progetto abbiamo la supervisione della Fondazione Minotauro di Milano, che ha una nuova scuola di pensiero legata al lavoro del dr. Charmet che si è sempre occupato di adolescenza. Nell’ultimo periodo si presentano pochissimi casi di adolescenti: non perché non ci sia il problema, ma perché i ragazzi non si rivolgono più al SerD e dobbiamo capire come agganciarli, pensare a nuovi modi per incontrarli e parlare con loro».
Il primo triennio di attività si è concluso alla fine del 2023 ed è stato rinnovato per un altro triennio, segno che questo tipo di intervento è prezioso e può aprire nuovi orizzonti per aiutare i giovani e giovanissimi.