Mentre il Paese asiatico si confronta con le conseguenze delle recenti inondazioni, emergono atti di solidarietà tra la popolazione colpita.
Non è un periodo facile per il Bangladesh. Dopo un luglio di sangue, ora il Paese è sott’acqua.
Il Paese asiatico è stato sotto i riflettori dei media internazionali nei mesi scorsi, quando le
proteste di piazza hanno scatenato un’instabilità politica, dovuta anche alla fuga del primo ministro. C’era una grande incertezza su come la polizia avrebbe gestito le manifestazioni (decine di studenti e manifestanti sono stati brutalmente uccisi) e molti erano preoccupati che potesse scoppiare una guerra civile e una ritorsione contro le minoranze etniche e religiose. Tutto è rientrato dopo che
Muhammad Yunus ha accettato di guidare un governo provvisorio.
Poi però è avvenuto l’ennesimo disastro: già a fine maggio c’era stato
l’arrivo nefasto del ciclone Remal, che aveva sommerso una parte delle coste con un’onda di quasi due metri, causando la morte di decine di persone.
La settimana scorsa però è arrivata un’inondazione del tutto inaspettata che ha colpito 5 milioni di persone, molte delle quali sono state costreette ad abbandonare le proprie abitazioni e cercare riparo in rifugi di fortuna. Si tratta solo dell’ennesimo effetto del cambiamento climatico? Eppure la stagione delle piogge in Bangladesh è al termine e di solito il Paese viene informato dai mass-media su allagamenti e cicloni, ma quest’ultima inondazione ha colto la gente di sorpresa.
Secondo quanto riportato dalla CNN,
molte persone incolpano l’India di questo ennesimo disastro: le autorità indiane avrebbero rilasciato acqua dalla diga di Dumbur, che si trova nello Stato indiano di Tripura, confinante con la zona bengalese allagata, dove si trova la città di Feni, duramente colpita da questa calamità.
L’India ha negato che il rilascio della diga sia stato intenzionale e ha affermato che la pioggia eccessiva è stato un fattore determinante. Il governo indiano ha però ammesso che l’interruzione di corrente e un blocco delle comunicazioni abbiano impedito di inviare il consueto avviso al Paese confinante.
E intanto l’unico modo per entrare o uscire dalle zone alluvionate è in barca: tutte le strade principali sono interrotte e gli sforzi di soccorso sono rallentati dalla mancanza di elettricità e dal quasi totale blackout in città.
I video diffusi dai mass media locali e internazionali evidenziano lo
stato di emergenza: persone costrette a stare sui tetti per giorni, bambini malati, la diffusione di bronchiti e diarrea. Un altro grosso problema è dove seppellire i morti, visto che le acque non si ritirano.
In questo scenario così drammatico,
ci sono però anche segni di speranza: Yunus, che guida il governo provvisorio, ha lanciato una raccolta fondi di emergenza alla quale hanno partecipato moltissimi bengalesi. Il popolo del Bangladesh è uno dei più poveri al mondo, eppure sta mettendo in campo una solidarietà spicciola, che parte dalla base: chi ha una barca passa a distribuire il cibo alle persone ammassate sui tetti e chi può dona dei soldi per il fondo di emergenza.
Tutto questo racconta un Paese da sempre schiacciato dalla corruzione, ma che ha una gran
voglia di costruire qualcosa di nuovo. Prima la speranza dei giovani che si sono riversati sulle strade per protestare contro decisioni ingiuste del Governo e ora il sogno condiviso da molti che uniti si possa superare anche questo disastro.