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21 Marzo 2023

Di mafia si morirà ancora

Il carcere duro è strumento fondamentale nel contrasto alla malavita.
Di mafia si morirà ancora
Foto di ANSA/Massimo Percossi
Oggi è la "Giornata delle vittime delle mafie", una ricorrenza istituita in Italia nel 1996, a seguito dell'omicidio di Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della loro scorta, perpetrato dalla mafia siciliana il 23 maggio 1992. La giornata viene celebrata il 21 marzo di ogni anno, e ha lo scopo di ricordare tutte le vittime della criminalità organizzata in Italia.
La mafia è sconfitta? È una delle domande che mi sento porre più di frequente dal 16 gennaio. Quel giorno ha certamente rappresentato uno snodo fondamentale per la storia del nostro Paese: la cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro.
Qualcuno ha affermato che non ci fosse nulla da festeggiare, altri hanno gioito come se fosse stata la vittoria di un mondiale. In medio stat virtus, dicevano i vecchi padri latini. Anche questa volta è così. A chi critica le manifestazioni di giubilo oppongo le sofferenze, la richiesta di giustizia, le mancanze urlate dei familiari di tante, troppe, vittime di mafia.

Il 16 gennaio 2023 rappresenta il punto di ripartenza. Temo molto alcuni astuti commentatori, magari negazionisti da sempre, che ci spiegano come “con questo arresto la mafia sia sconfitta”. No, purtroppo. Niente affatto. Innanzitutto perché sono tanti, troppi, i misteri che il boss di Castelvetrano porta con sé. Quei segreti che nascondono le collusioni, le trame indicibili, i silenzi complici. Con una riduzione giornalistica potremmo dire: tutto quello che c’è dietro alla stagione stragista, dagli attentati in Sicilia del 1992 a quelli del 1993 in continente.

Giovanni Brusca
Giovanni Brusca, membro della mafia siciliana, di fronte ad un'immagine dei giudici Falcone e Borsellino, assassinati dalla mafia negli anni '90.
Segreti che sono più misteriosi della sua latitanza
– ancora tutta da comprendere – e di cui il pupillo di Totò Riina è certamente a conoscenza. E poi quella parte di trattativa tra la mafia (o meglio le mafie) e pezzi infedeli dello Stato che oramai non si può più negare (a maggior ragione dopo la sentenza d’Appello del Tribunale di Palermo). Con l’arresto del boss di Castelvetrano alle spalle c’è anche la necessità di permettere a chi ha indagato di continuare ad investigare sulla mafia, quella degli affari, la nuova cosa nostra che probabilmente già da tempo non aveva al suo vertice Matteo Messina Denaro. Quella mafia che continua a fare soldi, ad investire, ad essere pervasiva nell’economia legale. Esattamente quella che mette a rischio i fondi del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza.

Non bisogna smantellare queste intelligenze investigative, anzi, bisogna rilanciare. Mai come oggi si conferma l’importanza del doppio binario immaginato da Giovanni Falcone: il carcere duro (41 bis) che taglia i contatti tra i padrini e l’organizzazione mafiosa; l’ergastolo ostativo (4 bis) che non permette ai boss di uscire dalla galera senza aver collaborato con la giustizia.

Tornare indietro comprometterebbe il cammino, e rischierebbe di rappresentare un occhiolino alle vecchie e nuove leve di padrini.