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14 Gennaio 2021
Ultima modifica: 16 Febbraio 2021 ore 12:18

Tanzania: «Dio mi ha ridato la vita»

La tenacia di fronte agli ostacoli
Tanzania: «Dio mi ha ridato la vita»
Una malattia improvvisa e invalidante, ma con grande caparbietà Baba Elia ad Iringa è riuscito a reinventarsi

È il 7 maggio del 2018. Freddy Kalenga, per tutti Baba Elia, si sveglia presto. 
Deve portare la spesa alla casa famiglia di Usokami per persone affette da disabilità e sbrigare le tante incombenze della sua carica di Mwenyekiti, capo di quartiere scelto dagli abitanti. 
«Ho sentito le gambe stranamente pesanti - ricorda - ma non ci ho dato tanta importanza, ho solo scelto di non guidare. Il giorno dopo sono anche andato a Dar es Salaam per vaccinarmi contro la febbre gialla in previsione di un incontro della Comunità che si sarebbe tenuto di lì a breve in Zambia».

L'amara scoperta

Quando torna a Iringa, due giorni dopo, Baba Elia ha le gambe molto gonfie.
«Volevo capire cosa mi stesse succedendo e così mi sono recato nel vicino ospedale di Tosamaganga - racconta - medici mi hanno fatto fare tante analisi. Pensavano al diabete, ma i valori erano nella norma».
Gli vengono prescritte alcune medicine, ma Baba Elia peggiora. I fratelli di Comunità decidono allora di accompagnarlo al rinomato ospedale di Ikonda, a 6 ore da Iringa, convinti che qui i medici italiani avrebbero capito la causa del suo male. 
«Un viaggio della speranza - confida Baba Elia - che purtroppo si è rivelato presto inutile. Nel giro di poco il dolore si è fatto sempre più forte. Le mie gambe, da gonfie che erano, si sono come rinsecchite e i medici hanno deciso di amputarle. Quando il male si è esteso alla mano destra, ho sentito che stavo morendo».
In quei giorni Baba Elia prega tanto e anche la Comunità in giro per il mondo prega per lui.

Tutta la vita gli scorre davanti

Tutta la vita gli passa davanti: l'infanzia a Iringa negli anni '70, in una famiglia umile, primo di cinque figli. L'incontro con la Comunità nel 2000 e il cammino percorso per diventarne membro nel 2006. Gli impegni comunitari e la carica di capo di quartiere ricoperta con l'orgoglio di chi ha la missione di aiutare i poveri del suo quartiere di periferia per dare voce a chi non ha voce. 
«Sono stati giorni interminabili di dolore, ero andato a Ikonda per guarire e invece stavo morendo. Ormai privo di speranza, ho chiesto di tornare all'ospedale di Iringa perché lì potevo almeno avere accanto la mia famiglia e i fratelli di Comunità e baciare i miei bambini per l'ultima volta».

Dalla morte alla nuova vita

Baba Elia torna così in città, convinto di aspettare la morte. Circondato dalla famiglia, dai figli e dalla Comunità, si sente meglio. Poi, in modo del tutto inaspettato e improvviso, dopo tre mesi la malattia si ferma. Lo priva ancora di alcune dita della mano destra, ma se ne va. 
«È stato Dio a ridarmi la vita», Baba Elia ne è assolutamente convinto.
«Dopo la guarigione - racconta - ho iniziato a fare i conti con la mia nuova vita e si è fatta strada in me la preoccupazione. Come mi sarei guadagnato da vivere? Sarei riuscito a dar da mangiare ai miei figli? Io facevo il sarto ma, senza alcune dita della mano, mi sarebbe stato impossibile continuare questa professione. Ancora una volta i fratelli di Comunità sono però venuti in mio aiuto, facendomi sentire di nuovo un essere umano. Non mi hanno lasciato solo e mi hanno sostenuto anche economicamente. Grazie a loro non siamo mai andati a dormire con la fame e i miei bambini hanno potuto continuare la scuola. Per questo motivo non li ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che hanno fatto e stanno facendo per noi».
Oggi Baba Elia è sereno, anche se sente molto la solitudine. A parte i fratelli di Comunità, gli amici di un tempo non vanno più a trovarlo e lui non può più uscire come prima. Gli hanno regalato una televisione ma, come lui giustamente dice, con la televisione non si può parlare.
Nonostante tutto, non demorde e guarda al futuro pieno della fede e della forza di volontà che lo caratterizzano. Basti pensare che ha imparato a usare le protesi in una settimana! 

Le cose piano piano cambieranno

«Avevano già preparato il mio funerale, ma Dio ha pensato un'altra strada per me - conclude - sono disabile, ma sto bene e so che le cose cambieranno piano piano. Al momento collaboro con il laboratorio di prodotti da forno avviato dalla Comunità per dare un'occupazione a giovani diversamente abili di Iringa e ho tanti pensieri e desideri. Ho voglia di lavorare, stare seduto non fa per me!  Chissà cosa mi aspetta... io sono pronto ad accogliere tutto quello che verrà».

Chi è Baba Elia

Baba Elia con la sua famiglia
Freddy Kalenga nasce nel 1972 a Iringa, primo di cinque figli. Conosce la Comunità Papa Giovanni XXIII nel 2000 e ne diventa membro nel 2006. Negli anni segue diversi progetti, tra cui la casa famiglia di Usokami per persone affette da disabilità. Dal 2016 è referente del Servizio Giustizia per la Tanzania.

Come sostenere il progetto

In soli tre mesi la malattia ha stravolto la vita di Baba Elia, privandolo anche del lavoro. Senza alcune dita della mano non può infatti più esercitare la sua professione di sarto. Per questo motivo sta pensando a un nuovo impiego perché, come dice sempre, non vuole stare solo seduto. La forza di volontà del resto non gli manca. Basti pensare che ha imparato ad usare le protesi in una settimana! Al momento collabora con l’Italian Bakery, laboratorio di prodotti da forno avviato da APG23 per dare lavoro a giovani diversamente abili. Il progetto gli sta a cuore, ecco perché vi chiede di contribuire per 500 euro al potenziamento dell’impianto elettrico.

PER INFORMAZIONI
segreteria.condivisione@apg23.org
0541 50622