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2 Novembre 2022
Ultima modifica: 3 Novembre 2022 ore 09:30

Disinformazione climatica. A chi conviene?

Con le fake news sul clima non si potrà più guadagnare. La decisione era stata presa ancora un anno fa da Google. Come è andata?
Disinformazione climatica. A chi conviene?
A distanza di un anno, una ricerca di Climate Action Against Disinformation rivela come quell'annuncio fosse solo di facciata.
Era l’ottobre 2021 quando Google dichiarò guerra alla disinformazione sui cambiamenti climatici. A distanza di un anno, una ricerca di Climate Action Against Disinformation rivela come quell’annuncio fosse solo di facciata.
 
Il report ha misurato, infatti, il modo in cui le principali reti pubblicitarie online, come Google e Amazon, finanziano e traggono profitto dalla disinformazione climatica.Lo studio ha analizzato 113 siti di disinformazione climatica statunitensi tra l’1 ottobre 2021 e il 30 settembre 2022 e ha scoperto che quasi l'80% mostrava una qualche forma di pubblicità da una o più delle principali reti pubblicitarie.

Google aveva dichiarato guerra alle fake news sul clima

Quasi la metà dei siti di disinformazione climatica è risultata vendere pubblicità attraverso Google. I risultati della ricerca contrastano con l’annuncio dell’ottobre 2021, con il quale l’azienda di Mountain View si impegnava a non trasmettere annunci pubblicitari nei video YouTube che facevano disinformazione e in altri tipi di contenuti.
 
In particolare, Google aveva promesso che chi avrebbe diffuso contenuti falsi sul climate change, ad esempio tramite un blog o un sito, non avrebbe potuto guadagnare da queste attività. Google avrebbe impedito l’accesso a forme di monetizzazione come gli annunci pubblicitari e il creator payment.
 

Raccolti quasi 8 milioni di dollari in un anno

A distanza di un anno da quell’annuncio, Google continua a essere il principale fornitore del settore. Dalla lettura del rapporto si evince che Google avrebbe raccolto circa 7,67 milioni di dollari in entrate pubblicitarie da questi siti solo nell’ultimo anno.
 
«Non possiamo risolvere la crisi climatica se Google continua ad abilitare e finanziare i siti che espongono milioni di persone alle teorie negazioniste del clima - ha affermato Erika Seiber, portavoce di Friends of the Earth, organizzazione membro Climate Action Against Disinformation. Dobbiamo fermare questa industria di reti pubblicitarie opache. Le aziende tecnologiche non si autoregoleranno».
 

Contenuti negazionisti sul clima. Chi li diffonde? 

 
Il messaggio del report è chiaro: Google deve smettere di amplificare la disinformazione sulla crisi climatica. Ma il principale motore di ricerca non è l’unico a dare visibilità in cambio di denaro a questo tipo di contenuti: il 71% dei passaggi – passaggi in cui un visitatore approda sui contenuti negazionisti dei siti analizzati – sono garantiti dalle pubblicità di Amazon (in ogni caso, per Google la frequenza è maggiore: il 97%).
 
C’è anche Yahoo tra le piattaforme che raccolgono pubblicità dai negazionisti, una delle preferite del canale televisivo statunitense FoxNews, che dirotta verso Yahoo quasi il 55% dei suoi introiti pubblicitari online (nota a margine: il report fa notare come da luglio 2022 FoxNews ha ridotto sensibilmente gli investimenti pubblicitari verso Yahoo).