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4 Novembre 2025
Ultima modifica: 4 Novembre 2025 ore 07:38

Don Giorgio Salati, da Milano alla parrocchia di Benzi: «Finalmente, ho trovato quel che cercavo»

Il "Giro del Mondo" finisce a Rimini: l'ex vicario di Milano approda alla Resurrezione. Intervista al nuovo parroco.
Don Giorgio Salati, da Milano alla parrocchia di Benzi: «Finalmente, ho trovato quel che cercavo»
Don Giorgio Salati, da settembre guida de "La Resurrezione" a Rimini, racconta la sua conversione all'accoglienza, gli incontri con don Oreste e il giro del mondo per la Papa Giovanni XXIII, svelando l'eredità più grande del suo predecessore.

«Finalmente ho trovato quel che cercavo». Don Giorgio Salati, 62 anni, da poche settimane parroco a Rimini de La Resurrezione, spiegava così ad amici e conoscenti il suo incontro con la Comunità Papa Giovanni XXIII.

Ed ora si ritrova ad essere parroco alla Resurrezione, per decenni guidata da don Oreste Benzi.

La storia comincia nel 1999, don Giorgio è prete da 13 anni, ed è vicario parrocchiale al Giambellino, il quartiere di Milano reso noto da una canzone di Giorgio Gaber. «Nei primi dieci anni – racconta - ero stato in parrocchie con l’oratorio molto grande, molti ragazzi, molte attività. Arrivo al Giambellino, oratorio deserto, pochi ragazzi, molti casi difficili, situazioni di povertà. Mi muovo a cercare qualcos’altro. Qualche forma di vita Comunitaria, aperta all’accoglienza, alla condivisione».

In questo periodo frequenta ad Assisi la Comunità di san Masseo, dove oggi ci sono i monaci di Bose, ma allora erano presenti i frati minori che invitavano a trascorre settimane di vita francescana».

Nello stesso periodo su impulso delle esperienze vissute a san Masseo, dove si praticavano attività di strada con ragazze avviate alla prostituzione, nell’ottobre del ‘98 si inserisce nell’unità di strada della Caritas Ambrosiana. «La cosa però mi lasciava un po' insoddisfatto, mancava qualcosa. Sì, dedicavo un po' del mio tempo, una sera alla settimana, però tornavo a casa, restavo quello di prima e loro erano là.»

A San Masseo, l'anno prima, avevo ascoltato la testimonianza di Luca e Laura, ancora fidanzati, che di lì a poco avrebbero fondato una casa famiglia molto numerosa. Proposi alla mia zona pastorale di invitare don Oreste Benzi a parlare».

Don Giorgio Salati alla due giorni della Comunità Papa Giovanni XXIII a Cesena 2024
Foto di Riccardo Ghinelli

Nel ponte del 25 aprile vai a Rimini a bussare alla segreteria di via Tiberio, sperando di trovarvi don Oreste.

 
«Sì, avevo questa idea, magari - pensavo - concordiamo la scaletta dell’incontro previsto a Milano per fine maggio. Invece trovai Stefano Vitali che subito cominciò a parlarmi della Comunità. Mi guardavo intorno un po' distrattamente, ascoltavo con poca attenzione, se non che a un certo momento Vitali si alza e prende da uno scaffale il famoso “schema di vita”. Mentre lui parla, io lo sfoglio e scopro che la vocazione della Comunità consiste nel conformare la propria vita a Cristo, a vivere con i poveri, alla condivisione. Ma questo l'ho scritto io? Posso averlo scritto io? Non è possibile però, queste sono le parole che uso sempre io. Allora ho cominciato a seguire con più attenzione quello che diceva Stefano. Sono tornato a casa pieno di entusiasmo e dicevo a quelli che conoscevo: forse ho trovato quello che cercavo. E dopo qualche giorno tolgo il forse e dico: "Sì, l'ho trovato".»

Quando hai incontrato don Oreste personalmente?

«Il 12 maggio venne a Milano alle Paoline a presentare il suo libro "Prostitute". L'ho aspettato fuori da questo negozietto delle Paoline dove un po' di persone lo ascoltavano e quando è uscito mi ha salutato come se mi conoscesse da sempre. Mi ha abbracciato: “Fratellino!”. Abbiamo camminato fuori da questo negozio in zona San Siro, cinque minuti, ci siamo scambiati qualche parola, e ci siamo dati appuntamento a fine mese. Intanto ho preso contatto con la Papa Giovanni, zona di Crema, con l’allora responsabile Primo Lazzari. Con lui ho impiegato l’estate a conoscere la Comunità attraverso tre esperienze. La prima a San Marino, nella casa di preghiera, dove c'era Grazia Isaia con Nicola. Poi una decina di giorni nella numerosa casa famiglia di Primo. Ed infine un campo di condivisione con persone con disabilità insieme ai giovani delle zone di Crema, Padova e Vicenza

La tua conferma nella vocazione nella Comunità è avvenuta in modo particolare…

«Il 3 settembre 2000 eravamo in Piazza San Pietro per la beatificazione di Giovanni XXIII e chiesi in quell'occasione a don Oreste di darmi la conferma, scavalcando un po' il rituale. Lui mi ha dato la sua benedizione, e tra le varie cose mi disse: “Farai il giro del mondo”. Io non capivo, fare il giro del mondo cosa vuol dire? Forse sono state le quattro sotto il sole, due ore di attesa, poi due ore di messa; invece, tornando a casa, Primo mi disse: “Dai, vieni con me in Brasile a novembre”. Ah, ecco cosa voleva dire! Da allora ho cominciato a visitare le realtà della Comunità sparse nel mondo, nel 2000 Bolivia e Cile, 2001 Zambia e Kenia, 2002 Venezuela e Brasile e così via fino a girare ancora... L'ultimo viaggio che ho fatto quando don Oreste era ancora presente è stato a fine ottobre del 2007 in Sri Lanka e Bangladesh. Tornai il 28 ottobre e mi dissi che fra qualche giorno sarei andato a riferire a don Oreste. Ma lui è tornato nell’abbraccio del Padre.»

E dopo tanto girare come mai sei approdato a Rimini, proprio nella parrocchia che fu di don Oreste?

«L'approdo qui è avvenuto quasi… per scherzo. Periodicamente, due o tre volte all'anno, ci incontriamo fra i preti della Comunità. Nel gennaio scorso eravamo alla Stella Maris, la Casa vacanze di Marebello, quando don Nevio Faitanini esce con questa affermazione: “Don Renzo ha dato le dimissioni, vuole cambiare parrocchia, e sarebbe bello che un prete della Comunità diventasse parroco alla Grotta Rossa, no? Sì, sarebbe bello, ma chi? Chi va? Saliamo in macchina per andare a Santa Aquilina, dove avremmo celebrato la messa e cenato con il vescovo di Rimini, Nicolò. E un sacerdote della mia diocesi mi lancia una battuta, perché non vai tu? E gli altri, sì, dai, perché non vai tu? Eh, ma tanto il vescovo non ti lascia andare. Però ho cominciato a pensarci, finché a cena, davanti al vescovo, don Nevio rilancia la proposta: “Sarebbe bello che un prete della Comunità diventasse parroco alla Grotta Rossa”. E intanto in testa mi risuonava: perché non vai tu? Il vescovo Nicolò disse: “Bello, Bello, se poi mi date anche un prete, io sono contento”. Per farla breve, ottenuto anche il via libera dall’arcivescovo Mario Delpini, da settembre sono arrivato Fidei donum e il 19 ottobre ho fatto l’ingresso ufficiale nella parrocchia.»

Che effetto ti fa essere parroco nella parrocchia di Don Oreste?

«Un po' di trepidazione, un po' di emozione, è una responsabilità grande. Io, quando mi sono presentato la sera del 15 settembre al Consiglio Pastorale, ho detto: io non sono don Oreste, non riesco a pregare così tanto, non sono così mistico come lui, però sono prete da tanti anni e voglio bene a Gesù e cercherò di voler bene a tutti voi. Ecco, ho conosciuto don Oreste, faccio parte della Comunità, ma sono qui come parroco, non semplicemente per seguire una parte della comunità parrocchiale, ma per seguire tutta la comunità.»

Ti ritrovi a guidare una parrocchia a cui don Oreste aveva dato una precisa impronta. Ti ci vedi? Continuerai allo stesso modo?

«L’impronta è rimasta e penso che il mio compito sia quello di mantenere viva la memoria di don Oreste, che è anche il mandato del Vescovo. Spesso nelle prediche faccio riferimento a quello che ha detto, a qualche suo intervento. Nel giornalino de La Resurrezione ho pubblicato scritti di don Oreste proprio per mostrare che voglio dare continuità a un lavoro iniziato, a una storia importante.»

Secondo te qual è l'eredità più grossa che don Oreste ha lasciato qui in parrocchia?

«L'eredità più grossa di don Oreste in parrocchia è quella di essere vicino alla gente, di accogliere tutti. Lui diceva che dobbiamo accogliere tutti. Storicamente, è scritto sui libri pubblicati, lui dedicava tempo anche alle pratiche sociali, andava a Forlì, andava a Roma. Aveva attenzione a tutte le persone perché vedeva in ogni persona un figlio di Dio, amato da Dio. Quindi adesso sto organizzando con i diaconi la visita agli ammalati, è importante visitare le famiglie. Ho studiato già tutte le vie, la geografia della parrocchia, ma ho già girato in bicicletta per vedere dove inizia e finisce la via.»

Don Giorgio Salati accanto al vescovo di Rimini, mons. Nicolò Anselmi durante l'ingresso nella parrocchia La Resurrezione di Rimini.
Foto di Daniele Serafini
Messa del 1° novembre in ricordo di don Oreste Benzi
Foto di Daniele Serafini

Qualche incontro particolare che hai fatto da quando sei arrivato?

«Ho incontrato tutti i gruppi. Mi ha colpito molto l'incontro con la comunità capi degli Scout, una comunità viva, vivace, numerosa; ma anche il gruppo di Azione cattolica, sono adulti e giovani che si preoccupano degli adolescenti, dei ragazzi e vogliono impegnarsi dedicando tempo, energie, così come i ministri istituiti. Se penso che a Milano solo ora sono stati istituiti i primi ministeri di accolito lettore e catechista, qui in parrocchia abbiamo due diaconi, tre accoliti, tre lettori, cinque ministri dell'eucaristia, c'è tanta partecipazione.»

La prima iniziativa che farai? Una novità che vorrai introdurre?

«Per il primo anno si sta a guardare, non si possono fare cose nuove. Certamente comprerò le porte del campo di calcio perché le attuali sono mal messe, e anche pericolose.»

Cosa significa per te vivere il carisma della Comunità?

«Il mio desiderio dall'inizio è stato quello di vivere l'accoglienza in casa, condividere la mia vita con qualcuno, quella che don Oreste chiamava la condivisione diretta, cioè ospitare in casa. Prima non ne avevo la possibilità, solo dal 2012 ho cominciato ad accogliere qualcuno in casa. il carisma della Comunità per me è questo, condividere la vita con le persone più fragili, accogliere in casa, perché poi come prete non puoi fare molto, posso andare a predicare, posso celebrare la Messa quando c'è il consiglio dei responsabili  qui alla Stella Maris, posso andare a guiudare un deserto di preghiera in Zambia per dieci giorni, posso dare disponibilità per la confessione dei membri della Comunità, però questo lo può fare qualunque prete. Quello che mi segna, che dice la mia appartenenza, è proprio vivere la condivisione in casa, accogliere le persone in casa.»

Facendo il giro del mondo, che idea ti sei fatto della Comunità?

«Ho visto tante persone ammirevoli, dedite agli ultimi, che spendono la vita lontano da casa per gli ultimi, perché la carità la puoi vivere anche a casa, in Italia, ma se hai il coraggio di andare lontano, distante dai familiari, in situazioni precarie, questo è lodevole. Sono tornato in Zambia dopo 21 anni e ho visto la crescita dei progetti, del lavoro, delle realtà famigliari. La preoccupazione è che sempre si rimanga ancorati al Vangelo, si rimanga ancorati alla spiritualità, che non diventiamo, come diceva don Oreste, solo dei facchini di Dio, ma degli innamorati di Dio. Ho visto tante persone che chiedono al prete che venga a predicare il deserto, che venga a celebrare i sacramenti, questo è bello. Una cosa che ricordo: in quel mese del ‘99 che dedicai alla conoscenza della Comunità, arrivai a Serravalle di San Marino, a casa di Grazia Isaia, che per prima cosa mi disse: “Ah! Tu sei un prete, allora ci celebrerai la Messa. Per me è stata un'illuminazione, perché, mi sono detto: è bello che ci sia qualcuno che cerca il Signore, non semplicemente delle opere sociali.»