Topic:
30 Ottobre 2025
Ultima modifica: 30 Ottobre 2025 ore 08:15

Oltre la vita, la luce: cosa hanno visto i tornati indietro

Il 2 Novembre festa dei defunti: le esperienze di premorte che interrogano sul mistero della vita eterna
Oltre la vita, la luce: cosa hanno visto i tornati indietro
Foto di Foto di Fifi da Pixabay
La Festa dei Defunti ci costringe a guardare la morte. Ma cosa succede un attimo prima della fine? Le certezze di Don Oreste Benzi sull'aldilà, le straordinarie esperienze di premorte di Vincenzo Macchiavelli e Biagio e quel bisogno impellente di fare pace con il mondo.

La festa dei defunti ci riporta ad una realtà, che la morte, prima o poi, tocca tutti. La morte è un dato certo, quello che non sappiamo è quando ci toccherà.

La morte ci richiama alla caducità della vita, da cui tendiamo rifuggire in vari modi. Per alcuni, invece, questa verità diventa lo stimolo a diventare persone migliori, proprio perché morire dobbiamo. Di fronte alla morte siamo tutti uguali. «La morte livella tutti», diceva Totò. Ricco o povero che tu sia, la morte viene a trovarci tutti, senza distinzione di razza o nazionalità, a qualsiasi credo tu appartenga, senza fare sconti a nessuno.

Il grande interrogativo: cosa c’è dopo?

Chi crede solo a ciò che vede, e che la fede sia una mera consolazione per creduloni, difficilmente pensa che l’aldilà sia un continuum con l’aldiquà. È più realistico pensare che la vita finisca con la fine della vita terrena. Il "di là" non esiste. C’è un inizio e quindi una fine.
Eppure, la fede ribalta questa visione. Don Oreste Benzi, ad esempio, era convinto addirittura che la morte non esistesse. La sua citazione sulla fine della vita terrena scritta per il suo messalino, Pane Quotidiano, per il 2 novembre 2007, che ha coinciso con il giorno della sua morte, è un inno alla vita:
«Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi su questa terra mi apro all'infinito di Dio....la morte non è altro che lo sbocciare per sempre della mia identità, del mio essere con Dio. La morte è il momento dell'abbraccio col Padre, atteso intensamente nel cuore di ogni uomo, nel cuore di ogni creatura.»
La morte, quindi, non come un buco nero, ma come un'apertura definitiva.

L’esperienza della morte, prima o poi tocca a tutti. Un parente, un familiare, un amico, qualcuno che amiamo che muore è una breccia che si apre dentro di noi e il dolore genera un interrogativo su quel vuoto che non vediamo.

Le esperienze di premorte: una Finestra sul "quasi dopo"

È in questo interrogativo che si inserisce un fenomeno che affascina e sfida la scienza da decenni: le Esperienze di Premorte (NDE), o esperienze ai limiti della vita. Se è vero che non abbiamo testimoni che siano tornati dall'aldilà, abbiamo invece persone che sono state ad un passo dalla morte, dalla quale però sono ritornate indietro, descrivendo ciò che hanno vissuto.
Un fascino ancestrale e universale, testimoniato anche dalla letteratura e dalla ricerca. Già nel 1975, il celebre libro La vita oltre la vita del medico psichiatra Raymond Moody catalizzò l'attenzione mondiale, raccogliendo i tratti ricorrenti di queste esperienze in varie parti del mondo: il tunnel, la luce abbagliante, l'incontro con figure luminose, l'estasi e la sensazione di una pace totale. Esperienze spesso difficili da raccontare per chi le vive, per paura di essere deriso.
Un tema che continua a sfidare la ragione, anche nell'ultimo romanzo di Dan Brown, L’ultimo dei segreti, che coinvolge il suo protagonista, Robert Langdon, razionalista in scenari di premorte. L’autore entra nella mente della scienziata Gessner ad un passo dalla morte, che per anni aveva deriso i pazienti che affermavano di essere stati a un passo dalla morte e di aver fatto poi ritorno. «Ora si trovò a pregare di poter ingrossare le file di quelle rare anime. Ma era troppo tardi, lo sapeva. La sua vita si era conclusa».
 

Il caso di Vincenzo Macchiavelli: «Sono solo di Gesù»

C’è una testimonianza raccolta anni fa all’interno della Comunità di Don Benzi: l'esperienza di premorte di Vincenzo Macchiavelli, tornato al Padre il 25 ottobre 2000. Don Oreste stesso aveva raccontato l’esperienza vissuta da Vincenzo proprio come gliel’aveva rivelata prima di morire:
«Ho vissuto il distacco tra lo spirito e la materia. Lo spirito saliva e io vedevo che il corpo rimaneva lì fermo. Aspettava il corpo».
Nonostante vivesse interiormente una «grande pace», la sua unica paura era per i suoi cari: «Vedevo i miei figli, la Titti, le loro facce, avevo paura di farli soffrire».
Ma l'impatto più forte fu la chiamata alla trasformazione:
«È un segno. Ho capito che devo convertirmi. Sono solo di Gesù. Ho bisogno di parlare con tutti, di fare pace con tutti».
Dopo l'esperienza, sentiva il «desiderio grande di pregare tutti insieme, desiderio di cose più grandi». Sentiva di aver lasciato il corpo per una dimensione superiore, in un mondo di luce, e la sua conclusione fu netta: «C’è proprio solo il Signore, la mia conversione». L'ultima parola pronunciata prima di morire fu un gioioso: «Grazie, grazie»

Biagio: «Gesù mi ha riportato indietro»

Un’eco moderna di queste esperienze è la storia di Biagio, un ragazzino che, durante un intervento chirurgico-ortopedico nell'agosto del 2024, ha vissuto un’esperienza ai confini della vita.
Biagio ha raccontato alla madre affidataria di aver visto se stesso dall'alto e i medici che lo stavano operando. Poi ha incontrato una figura di Luce:
«Tutto è iniziato quando ho chiuso gli occhi. All'improvviso, ho visto una luce fortissima che mi avvolgeva e mi tirava su, verso il cielo. Era una sensazione incredibile, quasi come se stessi volando. Poi l'ho visto: era Cristo. Aveva un cuore grande al centro del petto, tutto insanguinato, ma non faceva paura. Anzi, c'era qualcosa di potente in lui, come se fosse lì solo per proteggermi».
La cosa sorprendente è che Biagio, pur non conoscendo l'iconografia, ha descritto in modo inequivocabile il Sacro Cuore di Gesù.
Come Vincenzo, anche Biagio ha avuto uno "strappo" dovuto all'amore per i suoi cari. Dopo aver visto il volto sofferente della madre, si è rivolto a Cristo: «Ti prego, riportami da mia mamma».
Quando ha aperto gli occhi, Biagio ha compreso il dono: «Ho capito che mi era stata data un'altra possibilità... so che Cristo mi ha ascoltato. E questa esperienza non la dimenticherò mai».
Le testimonianze di Vincenzo e Biagio, pur nella loro unicità, convergono su un punto: chi torna è investito da un forte desiderio di vivere pienamente l’amore qui e ora.
La Festa dei Defunti, dunque, ci pone di fronte al dato ineludibile della fine, ma le esperienze di premorte ci interrogano su una possibilità più grande: all'amore, alla riconciliazione e alla conversione.
E se l'unico modo per prepararsi al "dopo" fosse, come hanno intuito Vincenzo e Biagio, mettere completamente a posto l'aldiquà?