È uscito in questi giorni in libreria La mistica della tonaca lisa, il libro che per la prima volta ricostruisce e svela Il cammino spirituale di don Oreste Benzi, come spiega il sottotitolo del volume scritto da Elisabetta Casadei, teologa, postulatrice della causa di beatificazione di don Benzi.
Il libro è stato presentato in anteprima a Rimini, Domenica 7 settembre, in una sala Manzoni (accanto al Duomo) gremita da oltre 300 persone. L’incontro si è svolto nell’ambito delle “Giornate di don Oreste”, evento clou del Centenario della nascita del sacerdote, ed è stato condotto da Lucia Bellaspiga, giornalista di Avvenire, in dialogo con l’autrice ed altri ospiti: monsignor Nicolò Anselmi, vescovo di Rimini, Valerio Lessi, giornalista e scrittore (coautore con don Benzi del famoso libro-intervista Con questa tonaca lisa) e Luca Russo, responsabile di una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII ad Assisi, anche lui autore di saggi e libri.
Foto di Nicoletta Pasqualini
Foto di Francesco Pasolini
Del resto, ha chiarito Elisabetta Casadei, l'autrice del volume, il libro non è frutto di sue opinioni, ma racconta un percorso a partire dagli scritti e dai fatti che vedono protagonista il prete dalla tonaca lisa, al punto che l'impressione leggendolo – ha confermato Bellaspiga – è che «questo libro lo avesse scritto lui, non tu. Tu sei stata il collettore, però lui ti ha messo la matita in mano e ti ha tenuto la mano mentre tu scrivevi».
Questo approccio permette di esplorare il cammino, articolato in tappe precise, di come la sua mistica sia nata, si sia sviluppata e abbia cambiato lui e la sua vita.
Il punto di partenza del volume è l'uomo don Oreste, con il suo «profilo umano cristiano romagnolo» e persino i suoi difetti. Casadei ha sottolineato come don Oreste «non è nato santo», non è un fuoriserie, ma è partito dal punto di partenza di ogni persona, come «uno di noi», sviluppando un percorso progressivo che ha avuto però un punto di riferimento preciso: «cogliere sempre la coincidenza con Dio».
Non ci sono state conversioni repentine – ha sottolineato la postulatrice – ma una «continuità, passo dopo passo», come un bambino che si lascia accompagnare dal padre.
Foto di Francesco Pasolini
Il primo è l'intuizione del carisma della Comunità Papa Giovanni XXIII: don Oreste ha intuito gradualmente il carisma di «conformarsi a Cristo, povero, servo e sofferente che condivide la vita di tutti gli uomini e specialmente degli ultimi». Questo percorso, iniziato a 14 anni, ha raggiunto la sua piena comprensione a 70 anni, quando ha colto il significato pieno di espiare: «pagare per l'altro, prendere su di me quelli che sono i limiti, i difetti, i peccati dell'altro e liberarlo. Con cosa? Con l'amore».
Il secondo “ventricolo” è il cammino di santità: se il carisma è la "strada" da percorrere, la santità è il "modo" in cui Don Oreste l'ha camminata. Lungo un percorso fatto a «spirale ascendente» che si sviluppa in tre tappe principali:
◦ vivere per Gesù: inizialmente, fare il prete era la priorità, con Gesù sullo sfondo, un "facchino di Dio";
◦ vivere con Gesù: intorno ai 60 anni, emerge un rapporto di amicizia e dialogo continuo con il Signore, chiedendo: «Signore, cosa vuoi che io faccia adesso?»;
◦ vivere in Gesù: quasi a 70 anni, il culmine, un'immersione totale in Cristo, come «una stoffa immersa nell'acqua, per cui non di distingue quasi più la stoffa dall'acqua».
Il culmine del cammino è il profilo mistico di don Oreste, che significa "entrare nel mistero" di Cristo. Non si tratta di fenomeni straordinari, ma di un «cuore innamorato di Cristo» che vede «la carne di Cristo nella carne dei poveri». Le caratteristiche di questo "Gesù orestiano" includono una paternità generativa, una fede vissuta come abbandono totale (non fare progetti), una "santa inquietudine" che lo spingeva a cercare e liberare le anime, la "diaconia dell'amore" e l'espiazione ("io pago per te"), e infine la preghiera.
Foto di Francesco Pasolini
Lessi, nel suo scritto introduttivo, ha anche rivelato che don Oreste in realtà non ha mai indossato una tonaca lisa vera e propria, ma «un grembiulone, uno zinalone», riconoscendo però, con umorismo, che «la mistica dello zinalone liso, non avrebbe funzionato».
Foto di Francesco Pasolini
Russo ha spiegato che solo nel momento in cui «noi siamo dono per l'altro, nel momento in cui io offro e dono la mia vita all'altro, quell'esperienza di relazione profonda mi permette di dire che io esisto come persona perché appartengo ad una storia, appartengo ad un cammino».
Il suo stare con gli ultimi era un atto contemplativo, un modo per leggere profeticamente i segni dei tempi, e il ruolo particolare dei piccoli, dei poveri.
Don Oreste aveva la profonda consapevolezza che i "piccoli" e quelli che lui chiamava "angeli crocifissi" fossero «costruttori di mondi vitali nuovi, di una nuova società». Essi hanno la capacità di «stanare la nostra vocazione, la bellezza, il candore che noi spesso abbiamo perduto». In ciascuno, anche nelle persone più fragili e con disabilità, riconosceva la bellezza dell'espiazione.
Foto di Francesco Pasolini
Il suo pregio, ha sottolineato, è che «non solo ha parlato a noi di don Oreste, ma ha fatto parlare don Oreste a noi», con una «penna che scorre dritta e pulita, marcata e sempre puntuale e profonda».
E riprendendo il tema dell'espiazione, concetto spesso considerato "antipatico" e dimenticato nella teologia, ha detto che don Oreste ha avuto un'intuizione luminosa: «Cristo non ci ha redenti perché è morto in croce, ma perché ci ha amato, e, perché ci ha amato, è morto in croce». L'amore, non il dolore, è al centro della croce.
Foto di Francesco Pasolini
Matteo Fadda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha infine invitato a vivere concretamente questa spiritualità trasmessa da don Oreste, dando voce agli “angeli crocifissi”, riconoscendo la loro santità e la loro capacità di mostrarci «come inserirci in Gesù», continuando ad aprire le porte delle nostre case per mostrare la bellezza di vivere con questi "santi".