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26 Ottobre 2022

Don Renzo Zocca: «La mia Opera ispirata a don Benzi»

Il fondatore dell'Onlus di Verona "L'ancora", racconta la sua amicizia con don Oreste Benzi svelandone alcuni aneddoti.
Don Renzo Zocca: «La mia Opera ispirata a don Benzi»
Foto di Riccardo Ghinelli
È noto al grande pubblico per aver donato una Renault 4 bianca a Papa Francesco. Ma sono molte le iniziative a cui don Renzo ha dato origine, scegliendo di dedicarsi ai poveri e agli emarginati.
Incontriamo don Renzo Zocca presso da sede della sua Fondazione  L'ancora a Settimo di Pescantina, un borgo immerso nel verde, a una decina di chilometri da Verona. Più volte il sacerdote veronese, oggi settantanovenne, ha dichiarato di essersi ispirato a don Oreste Benzi, e così – in occasione del quindicesimo anno della morte del prete dalla tonaca lisa – siamo andati a trovarlo nell’“Oasi” dove lui stesso è andato a vivere quando ha lasciato la funzione di parroco.
Una grande casa, costruita dalla Fondazione L’Ancora proprio nel luogo dove si trovava la casa natale di don Renzo. Il vecchio immobile è stato demolito, ma hanno conservato l’ingresso originale. «Per tenere memoria di come tutto è partito» ci dice Bruno, braccio destro del sacerdote per tutti gli aspetti organizzativi. 
Sono una trentina gli anziani che vivono qui, ma il clima è quello di una grande famiglia più che di una piccola casa di riposo. Semmai un vero residence, dato che ogni anziano ha una camera singola con bagno. Ma al contrario delle residenze per anziani benestanti, qui vengono accolti quelli che non hanno risorse e neppure possono contare su familiari e parenti.
Come si regge il tutto? Chiediamo. «Non abbiamo convenzioni né rette dall’ente pubblico – spiega Nicola, il contabile, anche lui, come Bruno, ex parrocchiano di don Renzo e collaboratore volontario a tempo pieno da quando è andato in pensione –. Qui si fa come in una famiglia, in base alle spese ognuno dà quello che può. C’è anche chi non può dare a sufficienza, ma la Provvidenza non ci è mai mancata».
Nel corso degli anni, oltre agli anziani, sono state accolte anche persone straniere, una intera famiglia siriana scappata dalla guerra, recentemente una famiglia ucraina.
L’Oasi è luogo di accoglienza, di ristoro fisico e spirituale, ma anche di incontri e fraternità, con alcune stanze sempre disponibili per l’ospitalità.
Per l’intervista ci accomodiamo attorno a un tavolo, mentre attorno a noi fervono i preparativi per il pranzo della grande famiglia: «È un momento importante. Ci teniamo che venga preparato con cura, come si fa per le persone importanti» - precisa don Renzo.
Se nel territorio è conosciuto per le sue opere a favore delle persone povere ed emarginate, al grande pubblico don Zocca è noto per un episodio curioso che lo ha messo al centro dell’attenzione dei media.

Don Renzo, il 7 settembre 2013 lei è stato protagonista di un fatto decisamente originale, che è entrato nella storia del pontificato di Papa Francesco. Ci può dire come è andata?

«Quando è stato eletto Papa Francesco, i suoi primi interventi mi hanno subito affascinato. In uno di questi, diceva che anche la macchina dei consacrati deve avere l’odore delle pecore, cioè dei poveri. Così ho pensato che la mia R4 quell’odore ce l’aveva. Era un’auto per me importante. Mi piaceva fin da quando ero bambino; poi, quando ero già sacerdote, un amico mi ha regalato la sua. Aveva 30 mila km, io le ho fatto l’impianto a metano e sono arrivato a 300 mila. Così ho scritto una lettera al Papa dicendo che ora avrei avuto piacere di regalarla a lui.»

Lei ha risposto?

«Il 10 agosto del 2013, alle 10.19 mi arriva una chiamata al cellulare: “Sono Papa Francesco”. La voce era inconfondibile, ho capito subito che non era uno scherzo. Ero molto emozionato e la prima cosa che mi è venuta in mente di dire è stata “Sia lodato Gesù Cristo”. Al ché lui ha replicato “Sempre sia lodato”. Poi mi ha chiesto di parlargli del mio apostolato, siamo stati al telefono per trentacinque minuti»

E la Renault 4?

«Gli ho detto che avrei avuto piacere di regalargliela. Lui subito mi ha risposto che sarebbe stato meglio darla ai poveri ma io ho detto che i poveri ne avevano già goduto tanto e ora volevo fargliene dono.»

Sappiamo dalle cronache che alla fine c’è riuscito e che Francesco c’è anche salito con lei. Che fine ha fatto la sua auto?

«È conservata in Vaticano al Museo delle carrozze».

papa francesco e don zocca
Papa Francesco con Don Renzo Zocca
Renault 4 regalata a Papa Francesco
UN'AUTO CON L'ODORE DELLE PECORE La mitica Renault 4 regalata da don Zocca a Papa Francesco. Ora l'auto è conservata in Vaticano al Museo delle carrozze.

Dopo questo episodio ha avuto altri incontri con Papa Francesco?

«Sì, praticamente ogni anno, tranne i due anni del covid. L’ultima volta a febbraio. Gli abbiamo portato il vino che produciamo noi.»

Torniamo alle origini. Quando e come ha capito che Dio la stava chiamando al sacerdozio?

«Da piccolo. Qui a Settimo non c’era la scuola media, perciò è stato naturale andare a frequentarla in seminario. Poi è stato un percorso graduale, con qualche tentennamento, ma senza scossoni. Finché dopo la terza liceo ho preso definitivamente la decisione.»

Cosa ha favorito questa scelta?

«La mamma. Era una persona eccezionale. Era l’infermiera del paese e aveva una grande fede e un cuore immenso.»

Dopo le prime esperienze in varie parrocchie di Verona, nel 1980 le è stata affidata una zona di periferia, il Saval, dove non c’era neppure una chiesa.

«Per me è stata una grande opportunità, ero felicissimo. Nel quartiere non c’era niente, solo una scuola elementare, mancavano il negozio di generi alimentari, la farmacia, il collegamento con la città. Sono andato a vivere in un appartamento, portandomi anche mio fratello più piccolo dopo che era morta la mamma. In un certo senso sono stato un ragazzo padre. Abbiamo poi preso in affitto un capannone per celebrare la messa, fino alla costruzione della chiesa negli anni ’90.»

Una parrocchia costruita da zero, non deve essere stato facile.

«Però non ho mai voluto unire le celebrazioni ai soldi, non si passava durante la Messa per raccogliere l’elemosina, né si chiedevano offerte per celebrare battesimi o matrimoni, funerali.»

Come si reggeva la parrocchia?

«Le offerte sono sempre arrivate. Quando c’erano dei bisogni noi lo dicevamo e la gente rispondeva.»

don oreste benzi e don renzo zocca
In missione tra la gente, 1997. Don Oreste Benzi in visita alla parrocchia di don Renzo Zocca in un quartiere di periferia a Verona.

Lei in varie occasioni ha detto di essersi ispirato a don Benzi. Quand’è che l’ha incontrato?

«Subito in realtà mi sono ispirato a don Calabria, che è un santo veronese, ma poi guardavo in giro per l’Italia a chi poteva darmi degli spunti. Così un giorno, a metà degli anni ’80, sono andato a Rimini e, giunto nella parrocchia di don Benzi, ho trovato don Elio, il sacerdote che collaborava con lui, intento a spingere un’auto che non partiva. Così anche io e gli altri che mi accompagnavano ci siamo messi a spingere finché il motore si è acceso. Poi è arrivato anche don Oreste. Nonostante lui fosse già un personaggio famoso mi ha colpito vedere una persona semplice, accogliente. Ci ha invitati a pranzo, tutto in un clima sereno. Poi mi ha portato a vedere l’asilo parrocchiale e mi ha spiegato che loro andavano a cercare con particolare cura quei bambini disabili che altre scuole materne tendevano a rifiutare. Lì ho capito con chiarezza che per annunciare il Vangelo bisognava fare la scelta dei poveri. Tornando a casa avevo la R4 che volava.»


Poi vi siete tenuti in contatto?

«Sì, lui è venuto anche ad inaugurare a Verona una casa di accoglienza per anziani, nel 1994. Ovviamente con mezzora di ritardo – aggiunge sorridendo –, ma la gente lo ha accolto con un grande applauso. Sono rimasto parroco al Saval per 25 anni, e ho invitato diverse volte don Oreste a parlare e celebrare la messa, ogni volta si faceva il pieno di gente, non solo in chiesa ma anche in piazza.»

Ricorda qualche aneddoto particolare?

«Una volta gli ho chiesto di confessarmi. Poi lui voleva che lo confessassi io. “No, no, per carità!” gli ho detto. Ma lui ha insistito e ho dovuto obbedire. Figuriamoci che peccati poteva avere uno come lui!»

A 75 anni lei ha lasciato la parrocchia.

«Sì. È stato un momento difficile. Mi ha colpito che anche don Oreste abbia sofferto quando il vescovo lo ha congedato per lettera, lo ha scritto anche in un libro. È importante stare vicino ai preti.»

Il 2 novembre saranno 15 anni dalla morte di don Oreste. Come ricorda quel momento?

«Sono andato a Rimini la mattina del giorno in cui si è svolto il funerale e mi sono fermato a pregare nei primi banchi della chiesa parrocchiale, a pochi metri dalla salma. Negli ultimi tempi lui era andato a vivere alla “Capanna di Betlemme”, ma alla fine è morto in quella parrocchia dove aveva vissuto per tanti anni. Meditando davanti alla sua salma, in quella chiesa, ho pensato al fatto che lui era un parroco e, nonostante i suoi numerosi impegni, voleva sempre tornare in parrocchia, per stare tra la sua gente. Lui viveva davvero l’essere pastore come lo descrive Papa Francesco.»

È vero che nella cappella della sua Fondazione, accanto a una rassegna di santi della carità come san Francesco, don Calabria e madre Teresa di Calcutta, ha fatto dipingere anche don Oreste Benzi?

«Certo, era già santo su questa terra, vuoi che Gesù non si senta onorato di tenerselo accanto e di incaricarlo di far nascere ancora sulla terra iniziative simili alla sua?»

affresco di don benzi
Nella cappella della Fondazione Don Zocca, ha fatto dipingere don Oreste Benzi tra i santi, vicino a Madre Teresa di Calcutta.