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6 Maggio 2024
Ultima modifica: 6 Maggio 2024 ore 11:33

Droghe. Giovani spacciati?

In Italia uno su cinque ne ha fatto uso negli ultimi 30 giorni e per la prima volta le ragazze superano i ragazzi.
Droghe. Giovani spacciati?
Foto di CREATIVA IMAGES
In Europa spuntano tre nuove droghe ogni mese. Aumenta il consumo tra i giovanissimi: dall'esperto alcuni consigli per riconoscere le situazioni a rischio e intervenire in maniera precoce
In Europa aumenta il consumo di droga, favorito da un’offerta sempre più diversificata: sono 930 le sostanze illecite catalogate, 41 quelle immesse nel mercato in un solo anno, oltre tre nuove droghe al mese. E se abbondano le nuove droghe, resistono anche quelle tradizionali, con la cannabis in pole position: si stima che l’8% degli europei tra i 15 e i 64 anni ne abbia fatto uso nell’ultimo anno. Sono i dati drammatici contenuti nella Relazione europea sulla droga 2023 redatta dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze.
In un’epoca in cui la ricerca della libertà individuale viene sempre più assunta a valore assoluto e non negoziabile, paradossalmente crescono le forme di dipendenza indotta non solo da sostanze psicoattive ma anche dal gioco e dalle nuove tecnologie.
Sembra una battaglia persa per genitori ed educatori, che vorrebbero un futuro luminoso per i propri figli e si trovano smarriti di fronte ad un quadro così cupo.
Ugo Ceron
Ugo Ceron, psicologo e psicoterapeuta, rappresenta la Comunità Papa Giovanni XXIII nei tavoli istituzionali promossi dallo Stato italiano sulle politiche antidroga.
 
Ne parliamo con Ugo Ceron, psicologo e psicoterapeuta, e in passato responsabile della formazione per le comunità terapeutiche (CT) della Comunità Papa Giovanni XXIII e rappresentante dell’associazione nei tavoli istituzionali promossi dallo Stato sulle politiche antidroga.
Ceron vanta un’esperienza trentennale nel campo delle dipendenze. Tre decenni nel corso dei quali il fenomeno si è evoluto. Se da un lato è migliorata la conoscenza scientifica e la metodologia per la cura e il recupero di chi è vittima delle dipendenze, dall’altro si è perfezionata anche l’offerta di sostanze, favorita dall’evoluzione dell’ingegneria chimica e dalla determinazione dei grandi trafficanti di droga di espandere sempre più i loro profitti a livello mondiale. Una sfida che sembra giocare a favore dei trafficanti, stando ai dati più recenti. Il rischio è di considerarlo un fenomeno ineludibile, con cui convivere limitandosi a ridurre i danni. Ma è proprio così?

Ceron, che impatto ha questo processo di diversificazione dell’offerta nel fenomeno delle dipendenze?

«È una tendenza segnalata non solo a livello europeo ma anche mondiale nel World Drug Report 2023. E anche qui in Italia: nella Relazione annuale al parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze per l’anno 2023 si segnalano 76 nuove sostanze psicoattive. C’è un mondo delle droghe che segue il canale che potremmo definire classico: cannabinoidi, oppiacei, amfetamine; e poi c’è il web e in particolare il dark web, che propone nuove sostanze difficili da monitorare, orientate soprattutto al mondo dei giovani e giovanissimi. Sono percorsi nuovi, difficili da intercettare per i servizi che si occupano di dipendenze, con ragazzi che arrivano magari direttamente al Pronto Soccorso per un ricovero d’urgenza.»  

Tante nuove sostanze, ma anche le storiche resistono. La cannabis, secondo il rapporto citato, è la sostanza illecita più consumata in Europa. Si dice però che non sia più la canna di una volta, è vero?

«Sì. Tra il 2010 e il 2020 la presenza del principio attivo del THC all’interno dei cannabinoidi, è aumentata del 40%. Viene inoltre arricchita con sostanze di sintesi. I fautori della legalizzazione sembrano non considerare il fatto che aumentano le psicopatologie correlate all’uso di cannabis: lo riporta chiaramente il World Drug Report 2023.»  

E per quanto riguarda i consumatori, cosa emerge dal rapporto?

«296 milioni di persone nell’ultimo anno hanno fatto uso di sostanze psicoattive, con un aumento del 23% rispetto a dieci anni fa. In Italia l’aumento coinvolge soprattutto i più giovani: tra il 2021 e il 2022 sono passati dal 18,7 al 27,9% i ragazzi tra i 15 e i 19 anni che hanno assunto almeno una sostanza nell’ultimo anno, in pratica uno su 4. Mentre quelli che l’hanno assunta negli ultimi 30 giorni passano dal 10,9 al 18,3%: uno su cinque. Inoltre, se tradizionalmente l’uso di sostanze era una prerogativa prevalentemente maschile, oggi in Italia nella fascia di età 15-24 prevale l’uso da parte delle femmine. Ai servizi per le dipendenze, però, continuano ad arrivare più maschi che femmine, per cui si tratta di un disagio meno intercettato.»

La Comunità Papa Giovanni XXIII è tra le prime che in Italia ha avviato, oltre 40 anni fa, comunità terapeutiche per tossicodipendenti. Cosa è cambiato nell’approccio al fenomeno?

«La Comunità propone un approccio terapeutico basato su relazioni significative che aiutino a riscoprire quelle potenzialità della persona che l’uso di sostanze ha soffocato. È un cammino complesso perché sempre più arrivano a noi soggetti che hanno sulle spalle un carico di dipendenza prolungato, associato talvolta a sofferenze psichiatriche. Per questo si parla di doppia diagnosi.»

Volendo sintetizzare il metodo per il recupero dalle dipendenze, su cosa si basa?

«Oggi non c’è più una strutturazione rigida come era un tempo – accoglienza, comunità e rientro – ma si punta a percorsi personalizzati. C’è comunque una prima fase di tipo conoscitivo, in cui si cerca di sviluppare la motivazione al cambiamento e si definisce il percorso; poi un aiuto a conoscere se stessi con la proposta di esperienze di vita che aiutino percepire una soddisfazione personale derivata non da sostanze ma da relazioni costruttive; infine il reinserimento sociale: una fase finale che, a causa delle fragilità di vario genere di cui abbiamo parlato, spesso oggi si prolunga nel tempo con percorsi di accompagnamento.»

Oltre alle sostanze psicoattive, ti occupi anche della dipendenza da gioco: anche quella è una droga?

«Il gioco patologico è ormai riconosciuto come una forma di dipendenza nei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, per cui lo Stato deve garantire interventi adeguati di cura, che ha abbinato ai servizi per le dipendenze. Di fatto la dipendenza da gioco sul piano psico-neurologico si basa su elementi simili a quella da sostanze. Ad esempio su errori di tipo cognitivo che portano a vederlo come la soluzione ai nostri problemi, mentre invece ne crea di maggiori.»

Come se ne esce?

«Soprattutto inserendo la persona in ambiti di rilettura collettiva della realtà, attraverso il lavoro di gruppo, coinvolgendo anche i familiari, accompagnata da un’azione di monitoraggio sul piano economico.»

Sono percorsi distinti rispetto a quelli di chi dipende da sostanze?

«L’intervento residenziale per chi ha problemi di gioco è raro. Se si fa è solo per interventi brevi. Può succedere però che nella stessa comunità terapeutica ci siano persone con problemi sia di sostanze che da gioco, perché, come dicevo, oggi spesso si parla di polidipendenza.»  

C’è chi vede nell’aumento del consumo un fallimento delle politiche repressive e ripropone la linea della legalizzazione della cannabis, alcuni paesi europei sono già su questa linea.

«Il Rapporto mondiale raccomanda prudenza e ci dice che la legalizzazione della cannabis ha impatto sulla salute pubblica e sulla sicurezza.»

E tu che ne pensi, in base alla tua esperienza sul campo?

«Pensare di affrontare un comportamento problematico semplicemente rendendolo normale e socialmente accettato non risolve i problemi. Anzi, considerando che la “canna” è cambiata e produce danni maggiori, i problemi aumenterebbero. Non vanno favoriti i comportamenti che creano dipendenza ma le opportunità che permettono di uscire dalla dipendenza.»

C’è un luogo di confronto tra voi operatori e i politici che hanno il compito di fare le leggi?

«Il nuovo governo ha recentemente fatto una consultazione delle varie Comunità, e ha poi licenziato una revisione dei criteri di accreditamento delle realtà che si occupano di tossicodipendenza. Il documento è stato trasmesso ora alla Conferenza Stato-Regioni, dato che sono queste ultime a legiferare in materia.»

Cosa prevede?

«Si va verso una spinta alla sanitarizzazione dell’intervento. Si chiede ad esempio che ogni struttura abbia un direttore sanitario.»

Condividi questo approccio?

«Vedremo come sarà l’attuazione. Per il momento siamo riusciti a far riconoscere le specificità del trattamento residenziale. Riconoscere gli aspetti sanitari in sé può essere giusto, gli studi di neurologia hanno fatto balzi in avanti rispetto a quando sono nate le comunità terapeutiche. Si rischia però di far passare in secondo piano l’aspetto relazionale, l’aiutare le persone vittime delle dipendenze a ritrovare il senso di una vita che valga la pena di essere vissuta: questo per noi rimane il punto finale.»

Passiamo alla prevenzione: in Veneto è operativo da 10 anni il progetto Reti di comunità. In che cosa consiste e quali risultati ha prodotto?

«Per presentarlo usiamo il paragone del dentista: nelle CT si cura la carie, ma avevamo il desiderio di insegnare alla gente a lavarsi i denti in modo corretto, al fine di prevenirla. L’obiettivo è seminare nella popolazione quei fattori protettivi che promuovono la vita in maniera efficace. Se ho una serie di abilità, posso essere più in grado di affrontare anche il rischio che deriva dal contatto con sostanze o pratiche che creano dipendenza. Si tratta di un progetto articolato, reperibile sul web all’indirizzo retidicomunità.apg23.org. Coinvolgiamo la scuola, le famiglie, i vari ambiti sociali. A scuola, ad esempio, con i bambini della Primaria si lavora sulle competenze emotive, sulla prevenzione del bullismo, dell’autolesionismo, sull’affettività. Cerchiamo di sviluppare life skills per vivere in maniera appagante. Alle Medie invece, dove il rischio dipendenza può essere già presente, si punta sulla sua intercettazione precoce e sugli strumenti per intervenire.»  

Come fa un genitore o un educatore ad accorgersi quando un ragazzo è a rischio di dipendenza?

«È importante avere attenzione a come sono i tuoi figli, per notare se ci sono cambiamenti repentini di umore, oppure una chiusura prolungata in se stessi, che oggi è molto diffusa, correlata anche all’uso patologico di internet. Occorre capire se c’è un cambiamento che va oltre le normali dinamiche legate allo sviluppo adolescenziale.»

A chi ci si può rivolgere per chiedere aiuto?

«Intanto a se stessi. Dobbiamo recuperare le competenze genitoriali che ci sono in noi e di cui a volte non siamo consapevoli. Poi ci si può rivolgere ai servizi per le dipendenze per avere una consulenza e capire quale può essere l’intervento più adeguato. L’importante è non puntare sulla delega, pensando di consegnare il figlio affinché ci venga restituito a posto. È un percorso da fare assieme.»