«La verità è che il nostro sistema economico ci spinge sempre più verso la carità perché ha volutamente eliminato da tempo la giustizia dai suoi obiettivi. Ridefinirli è l’unica alternativa possibile per creare una società nuova e concretamente realizzabile».
Originaria di Modena, Elisabetta Garuti è laureata in Economia e Commercio ed è attualmente membro del Comitato scientifico della Fondazione don Oreste Benzi e del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Coordina dall’Italia il "Progetto Rainbow", un modello di intervento multisettoriale su larga scala per bambini orfani dell’AIDS e minori in difficoltà, a cui ha dato vita nel 1997 in Zambia e che oggi opera anche in Kenya e Tanzania.
Lo scorso 6 settembre, durante la conferenza "Economia di giustizia – Società del gratuito, economia e lavoro", organizzata dalla Comunità nel quadro delle celebrazioni per il Centenario del fondatore, ha portato testimonianza della "Società del gratuito", a cui il suo progetto si ispira nel profondo.
«Quasi quarant’anni fa, alla missione di Mishikishi, una mamma mi portò il suo bambino. Non camminava, non parlava e non stava seduto. Lo accompagnai in un ospedale missionario e un medico olandese mi disse: "Non è malato, ha semplicemente fame. Dagli un uovo al giorno e vedrai che si riprenderà". Tornai dalla mamma felice di quella soluzione così semplice. Ma lei mi chiese: "Per quanti giorni?". In quel momento capii che per lei dare un uovo al giorno a uno solo dei figli era uno sforzo immenso. Fu allora che compresi quanto fosse impossibile, per chi ha sempre avuto di che nutrirsi, capire davvero la disperazione di chi non ha nulla».
«In quegli anni – ricorda – la malnutrizione era solo uno dei tanti drammi dello Zambia. L’epidemia di HIV/AIDS stava decimando intere generazioni e lasciava dietro di sé un numero impressionante di orfani. Decidemmo di sostenere il meccanismo tradizionale della famiglia estesa, puntando sulle risorse umane e culturali già presenti. Non si trattava di carità, ma di giustizia».
Col tempo il progetto si è ampliato. Oggi Rainbow gestisce centri di cura e prevenzione per bambini malnutriti, mense scolastiche e centri nutrizionali per anziani. Sostiene ragazzi nel percorso scolastico e dà opportunità lavorative alle persone. Promuove orsi di orticoltura domestica per le mamme e avvia programmi di microcredito per donne sole e anziani con famiglia a carico, così da favorire piccoli allevamenti di capre e attività sostenibili.
«Mettiamo al centro i bisogni della persona e il bene della sua comunità – spiega Elisabetta – Ridiamo dignità e una vita decorosa a chi altrimenti resterebbe ai margini. Credo che ripartire dalle persone anche su larga scala sia l’unica via per affrontare i grandi problemi che affliggono il pianeta».
Foto di Valentina Balbi
Il suo sguardo si allarga al sistema globale:
«Il potere è nelle mani di chi detiene il capitale e mira a massimizzarlo. È un reato contro l’umanità che non solo rimane impunito, ma viene imposto ai governi con tutti i mezzi: guerre, colpi di Stato, monopoli economici, ingerenze nelle politiche nazionali. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: nuove povertà, desertificazione, carestie, epidemie, bambini soldato, tratta di esseri umani».
Per questo, insiste, è urgente un cambio di rotta: «È ora di smettere di ridurre l’uomo a mero fattore di produzione. Dobbiamo rimuovere le cause profonde della miseria, promuovendo nelle scuole e nelle università una nuova cultura sociale ed economica, capace di ispirare anche i sistemi più complessi».
La prospettiva è quella della Società del gratuito, dove anche l’economia risponde alla dignità della persona e il profitto diventa uno strumento, non il fine.
«Don Oreste ci credeva fermamente, e anch’io credo che sia possibile. Non sarà facile, ma è l’unica via: l’attuale modello economico non fa il bene delle persone, e noi non possiamo restare a guardare».